Paolo Conte
Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c4
Entrambi i suoi soggiorni erano stati caratterizzati da un’intensa attività politica. Nel primo caso, aveva dato alle stampe due pamphlet dall’alto contenuto patriottico: uno, intitolato De la liberté et de la répression de la presse, era uscito nel novembre del 1797 ed era servito a difendere la libertà di stampa da progetti di censura avanzati da alcuni membri dei Consigli; l’altro, Agonie du gouvernement anglais, era pubblicato solo qualche mese più tardi e gli aveva permesso di esortare un rilancio della guerra in Europa, nella convinzione che «la révolution française ne pouvait pas se circonscrire dans les limites de la France» [11]
. Del resto, anche nella seconda esperienza parigina, articolatasi fra l’estate 1799 e l’autunno 1800, egli aveva ribadito le sue convinzioni circa l’imprescindibilità del ruolo della Francia nei destini della penisola. A tal fine, aveva pubblicato sulle prestigiose colonne del «Moniteur» un articolo in cui, sull’onda dell’entusiasmo innescato dalla vittoria elettorale neo-giacobina del 30 pratile, aveva sostenuto che «c’est du sort du Piémont que dépend le sort de l’Italie et qu’à celui de l’Italie est lié le sort de la France» [12]
. Nel maggio successivo, inoltre, come molti suoi compatrioti era riuscito, grazie alla protezione del ministro Fouché, a sottrarsi all’ordine del prefetto Dubois e a prolungare il suo esilio fino all’autunno [13]
, allorquando a Torino la riforma imposta da Jourdan per introdurre il filo-francese «governo dei tre Carli» gli aveva aperto nuove prospettive di carriera, permettendogli di ottenere prima l’incarico di bibliotecario all’Università e poi quello di sotto-direttore della lotteria [14]
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Dunque, due anni più tardi, quando ormai il Piemonte diveniva territorio francese, Hus aveva, per origini famigliari e competenze linguistiche, diverse frecce al proprio arco con cui provare ad avviare la propria ascesa nelle istituzioni napoleoniche in patria. D’altronde, anche il suo percorso politico l’autorizzava a nutrire tali speranze, essendo stato un convinto patriota sin dagli anni del Triennio, ma poi pur sempre tenutosi lontano dalla fazione unitaria capeggiata da Giuseppe Cavalli dopo Marengo, quando invece aveva militato a sostegno della tendenza annessionista.
Tuttavia, i suoi trascorsi non gli valsero la tanto desiderata ascesa amministrativa, e a tal scopo piuttosto inutili si rivelarono anche i tentativi con cui subito provò a manifestare il proprio gradimento per l’annessione, fornendo alle autorità consolari proposte volte a velocizzare il contatto fra le due aree. Nel gennaio 1803, infatti, inviava al ministro della giustizia Régnier una memoria che serviva ad avanzare le proprie idee «sur le mode de fondre plus promptement les deux nations l’une dans l’autre» [15]
. Vi proponeva diversi mezzi per «consolider la réunion du Piémont à la France et y attacher un grand nombre d’individus»: fra questi, il più importante consisteva – e non certo casualmente – nel favorire l’immissione dei piemontesi nelle istituzioni statali, ossia nell’aumentare «les places que le gouvernement accorde en France aux ci-devant Piémontais». Non priva di finalità era pure, per lui madrelingua francese, la proposta d’«augmenter la connaissance de la langue française par une grande augmentation dans le nombre des maîtres pour les écoles primaires et secondaires du ci-devant Piémont». Altre modalità con cui facilitare tale contatto dovevano essere quella di favorire i matrimoni fra uomini e donne delle due nazionalità e quella d’incentivare l’«émigration de propriété, c’est-à-dire une mutation de bienfonds qui feraient aller s’établir un grand nombre de propriétaires piémontais en France et d’anciens Français en Piémont» [16]
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Il desiderato incarico, però, tardava ad arrivare e proprio l’instabilità professionale in cui egli continuava a versare dopo l’annessione fu probabilmente la causa della sua decisione di trasferirsi a Parigi nel maggio 1804, questa volta non più da esule costretto a porsi in salvo oltralpe, bensì da cittadino francese che provava a sfruttare una situazione istituzionalmente favorevole per cercare fortuna in una città ricca di opportunità. Così, giunto sulle rive della Senna nei giorni della proclamazione dell’Impero, subito fece pervenire al Ministero della polizia una nuova proposta – anche in questo caso tutt’altro che disinteressata – con cui suggeriva di «charger quelque individu d’une surveillance sur les Piémontais qui arrivent à Paris». Aggiungeva poi che, per garantire una sorveglianza «prompte, active et sûre», era indispensabile che questa fosse affidata a un «homme qui eut donné assez de gages à la révolution pour n’avoir jamais à craindre de lui une contre-police, ensuite qu’il ne fut ennemi du gouvernement impérial ni sous le rapport révolutionnaire démagogique, ni sous celui du royalisme bourbon ou piémontais». Insomma, senza mai fare il proprio nome (ma comunque precisando che occorreva «donner une rétribution» a tale figura), Hus si autocandidava a fare la spia dei suoi compatrioti già presenti a Parigi, così come di quelli che si prevedeva vi sarebbero giunti a stretto giro. Inoltre, al fine di assicurare informazioni sempre aggiornate, suggeriva di mettere in funzione un vero e proprio sistema di spionaggio il cui responsabile avrebbe dovuto non solo gestire i contatti con un «correspondant sûr» incaricato di fornire un «tableau de l’esprit public» del Piemonte, ma anche coordinare diversi «intermédiaires piémontais» ai quali spettava operare nei luoghi della sociabilità parigina. Fra questi erano segnalati «cafés, maisons de jeux» e in particolare il Palais Royal, «endroit précieux pour la police qu’il est rare qu’un étranger ne visite pas dans les premières 24 heures» [17]
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Tale proposta riscontrò l’approvazione sia del consigliere di Stato Jean Pelet de la Lozère, sia del ministro della polizia Fouché, i quali accettarono di buon grado di mettere a libro paga l’emigrante piemontese a patto che questi, come da sua intenzione, fornisse «jour par jour ou, au plus, [...] semaine par semaine, le tableau de situation ou la statistique d’opinion et de conduite des Piémontais à Paris» [18]
. Così, l’operato di Hus nelle istituzioni napoleoniche poteva, a suo modo, finalmente avviarsi, fornendo a noi oggi una straordinaria fonte per ricostruire caratteristiche sociali e profili politici degli uomini che, nei primi mesi dell’Impero, composero la comunità piemontese della capitale. Una fonte, questa, che ci sembra meritevole d’attenzione ancor più in considerazione del fatto che – come ha sottolineato Sylvie Aprile in un’acuta riflessione metodologica sulle potenzialità (e sulle insidie) delle fonti spionistiche – nelle forme di socializzazione dell’esilio «les espaces privés et publics ne sont pas délimités, le politique n’a pas de lieu précis» e soprattutto «espion et exilé partagent un quotidien, mais aussi une culture politique» [19]
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Certo, si tratta pur sempre di resoconti interessati, perché condizionati dalle convinzioni di un compilatore che in quegli anni non aveva mancato di assumere ben precise posizioni politiche. Certo, si tratta pur sempre di rapporti redatti da un uomo che aveva la costante necessità economica di soddisfare le richieste del suo «datore» per continuare un’attività reputata necessaria alla propria sopravvivenza. Non a caso, egli avrebbe a più riprese chiesto sia al prefetto Dubois che al consigliere Pelet rassicurazioni sulla continuazione della sua attività, al primo sottolineando la necessità di «quelque gratification» e al secondo implorando la prolungazione di una «bienveillance qui influera sur l’amélioration de [s]on existence» [20]
. Altrettanto influente, {p. 131}ancora, era la percezione della valenza che, per la delicatezza delle informazioni fornite, il ruolo di spia aveva nella lotta di potere fra le varie istituzioni preposte al controllo della polizia parigina: ad esempio, dopo poco più di un mese dall’avvio della sua attività, scriveva al consigliere Pelet per ingraziarsi ulteriormente i suoi favori proponendogli, al fine di favorirne l’ascesa nel duello che lo opponeva a Fouché, di inviargli i rapporti con un giorno d’anticipo [21]
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Ad ogni modo, anche al netto di queste puntualizzazioni, qui sembra che, sia per il profilo del compilatore sia per il contenuto delle rivelazioni, i rapporti che dall’agosto 1804 al gennaio 1806 Augusto Hus redasse «en qualité d’historien des Piémontais» per poi far pervenire alla polizia con una cadenza di circa 3-4 giorni restino una risorsa interessantissima. Tali documenti, infatti, ci permettono di meglio conoscere, e «dall’interno», abitudini personali e contrasti ideologici di un gruppo nazionale, quello dei piemontesi a Parigi agli albori dell’Impero, che, composto di oltre 150 unità, si rivelò tanto eterogeneo sul terreno sociale, quanto frazionato su quello politico.

2. Un «buon francese» fra italianisti e filo-sardi

Ciò che più colpisce dei rapporti di Hus è che essi si concentravano non solo sulla descrizione delle attività quotidiane degli uomini sorvegliati, ma anche sulla delineazione del loro profilo politico. Si trattava, cioè, del risultato delle indagini di una spia tenuta a informare la polizia soprattutto sulle posizioni ideologiche dei propri connazionali, anche se, ovviamente, dalla particolare angolatura da cui egli traeva le sue informazioni (ovverosia quella di un uomo operante all’interno del gruppo di cui era chiamato a render conto) non poteva che scaturire una descrizione alquanto interessata e parziale.{p. 132}
L’esempio più eclatante è costituito dalle valutazioni inerenti gli uomini a cui egli si sentiva più vicino, ossia quei politici come Botta e Bossi con cui aveva collaborato nel biennio avviatosi con la riforma Jourdan dell’autunno 1800. Sebbene dopo l’annessione alla Francia i due avessero rappresentato una fonte di preoccupazione per la polizia parigina, Hus aveva per loro parole decisamente elogiative. Ad esempio, nell’ottobre 1804, annunciando l’arrivo a Parigi di Botta in qualità di deputato al Corpo legislativo, lo descriveva come un uomo straordinario, in quanto, oltre a essere un «médecin profond qui aux connaissances physiques lie les politiques et les littéraires», aveva in quegli anni mostrato «sa bonne logique politique» e il suo profondo attaccamento alla Francia [22]
. Discorso simile era riproposto un mese più tardi per Bossi, il quale, dal canto suo, proprio come Botta avrebbe trascorso in Francia il resto della vita ricoprendo tra l’altro prestigiosi incarichi prefettizi per poi spegnersi a Parigi nel 1823. Dopo aver ricordato come questi fosse stato «le premier motionnaire dans le gouvernement provisoire en faveur de notre glorieuse réunion à la France», lo definiva come «l’homme le plus fort en conceptions politiques de la 27ème Division», concudendo poi che su di lui non era nemmeno il caso di dilungarsi perché «l’homme de génie n’a pas besoin de longues apologies» [23]
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Emergeva, dunque, la grande stima politica nutrita da Hus verso i sostenitori della fazione che, schierata su posizioni patriottiche nel Triennio, aveva in seguito optato per l’annessione alla Francia. Giudizi positivi, infatti, erano riservati a tutti coloro i quali avevano prima partecipato all’amministrazione piemontese attiva dall’autunno 1800 e poi accolto di buon grado la prospettiva annessionistica due anni più tardi. Fra questi spiccava anche il terzo componente del governo istituito da Jourdan, quel Carlo Giulio che nel novembre 1804 giungeva a Parigi (dove comunque
{p. 133}sarebbe rimasto solo poche settimane) per assistere all’incoronazione imperiale del 2 dicembre: di lui sosteneva che «cet homme brillant dans les sciences physiques comme dans l’administration est un des hommes qui font le plus d’honneur à la 27ème Division» [24]
. Analoghe valutazioni erano riservate anche all’ex impiegato delle dogane Corrin, descritto come «partisan des idées libérales et très estimable», e alla principessa Maria di Carignano, unica donna a spiccare in mezzo a tanti uomini [25]
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Note
[11] A. Hus, De la liberté et de la répression de le presse, Paris, Leroux, 1797; Id., Agonie du gouvernement anglais, Paris, Imprimerie de rue Tison, 1798.
[12] «Moniteur universel», 11 messidoro VII (29/06/1799).
[13] ANF, F/7, cart. 7657, dr. 59.
[14] ANF, BB/11, cart. 146/B, dr. 2789.
[15] ANF, F/7, cart. 8471, Aperçu sur les moyens de donner un plus grand développement à la réunion morale du ci-devant Piémont à la République française.
[16] Ibidem.
[17] ANF, F/7, cart. 6359, dr. 788, Quelques vues d’organisation concernant une inspection de la 27ème division à Paris.
[18] Ibidem.
[19] S. Aprile, L’espion, frère du proscrit. Regards croisés sur la surveillance politique des exilés sous le second Empire, in «Cultures et Conflits», 53, 2004, online: http://conflits.revues.org/989.
[20] ANF, F/7, cart. 6359, dr. 788, Lettres du 4 et du 28 brumaire an XIII (26/10/1804 e 19/11/1804).
[21] «Pour que vous ayez les rapports directement, j’enverrai au ministre le lendemain ce que j’aurai l’honneur de vous envoyer la veille, ainsi vous aurez toujours l’avance d’un jour sur lui», cfr. ANF, F/7, cart. 6359, dr. 788, Lettre à Pelet (Paris, 11 vendémiaire XIII: 3/10/1804).
[22] ANF, F/7, cart. 6359, dr. 788, Rapport du 16 vendémiaire an XIII (8/10/1804).
[23] ANF, F/7, cart. 6359, dr. 788, Rapport du 29 brumaire an XIII (20/11/1804).
[24] ANF, F/7, cart. 6359, dr. 788, Rapport du 9 frimaire an XIII (30/11/1804).
[25] ANF, F/7, cart. 6359, dr. 788, Rapports du 12 brumaire an XIII (3/11/1804); 21 brumaire an XIII (12/11/1804).