Alessandro Sicora, Silvia Fargion (a cura di)
Costruzioni di genitorialità su terreni incerti
DOI: 10.1401/9788815411365/c1
All’interno di questa ideologia, molti hanno sottolineato come l’essere genitore diventi una performance da misurare in base ai suoi risultati, come emerge anche dalla stessa invenzione, in ambito anglofono, del verbo parenting [Ramaekers e Suissa 2012; Daly 2013; Raffaetà 2015]. I genitori, e in
{p. 14}particolare le madri, hanno quindi la responsabilità di fornire ai figli tutte le opportunità e gli stimoli per avere successo nella vita [Smyth e Craig 2017; Ramaekers e Suissa 2012], ma le posizioni critiche sottolineano come questo abbia avuto un impatto non certamente positivo sulla vita quotidiana delle persone, come sostengono Faircloth, Hoffman e Layne [2013, 6]:
fornire ai bambini il tipo di ambiente «giusto» trasforma le normali attività genitoriali in una serie di compiti da realizzare. Toccare, parlare, nutrire, persino «amare», non sono più fini a sé stessi, ma strumenti che i genitori devono perfezionare per garantire uno sviluppo adeguato.
Molti sottolineano come la responsabilità attribuita alle madri/genitori e la rappresentazione dell’educazione dei figli come prestazione quasi professionale si accordino con una visione ricorrente dei genitori reali valutati come non all’altezza del compito, inadeguati, insicuri, bisognosi di essere guidati, formati e consigliati da esperti [Satta 2017; Macvarish 2014; Ramaekers e Suissa 2012; Richter e Andersen 2012]. Da qui la crescita del business di trasmissioni e pubblicazioni nonché del numero crescente di soggetti che rivendicano un’autorità su come i genitori dovrebbero svolgere il loro ruolo [Favretto 2013; Ramaekers e Suissa 2012; Satta 2017] e/o criticano e dettano ciò che dovrebbe o non dovrebbe essere fatto.
L’influenza dell’approccio tradizionalmente considerato alternativo a quello neoliberista, tipico dei paesi del Nord Europa [Fargion 2014; Gilbert, Parton e Skivenes 2011], sembra attualmente ridursi in termini di influenza [Sihvonen 2018]. Tale approccio, tuttora in parte presente e riconoscibile in alcune politiche anche in Italia (si veda la legge 328), considera l’educazione dei figli come una responsabilità sociale che si traduce in forti investimenti nei servizi sociali e nel sostegno sociale alle famiglie e ai bambini. In realtà i processi di globalizzazione hanno portato a una significativa contaminazione tra i diversi approcci. Se si considerano le politiche dei diversi paesi, si possono individuare elementi di ambiguità e contaminazione. Tuttavia, l’ideologia neoliberista si è diffusa in tutta Europa e ha avuto un impatto anche nei paesi del Nord Europa [Nyby et al. 2018]. I principali interventi nell’attuale orientamento consistono in programmi di formazione per coloro che sono deputati all’educazione dei figli per affrontare quella che viene definita «responsabilità indivisibile dei genitori». La definizione di standard genitoriali idealizzati sembra onnipresente [Lee et al. 2014; Peters 2012] e, come già detto, le politiche e i servizi si basano su una rappresentazione dei genitori come incompetenti per definizione, con un forte bisogno di guida da parte di esperti e professionisti [Widding 2018].
Una delle conseguenze della diffusione delle ideologie neoliberali che individualizzano la genitorialità è che esistono numerose ricerche sugli stili genitoriali e sulle conseguenze di una cattiva genitorialità [Daly 2013], ma c’è {p. 15}scarsità di studi che esplorano le esperienze e le prospettive situate di madri e padri, in particolare quando vivono condizioni difficili [Geinger, Vandenbroeck e Roets 2014; McDonald-Harker 2016; Bunting, Webb e Shannon 2017].

4. L’approccio delle «family practices»

La nostra ricerca si inserisce in un filone di studi che, in posizione fortemente critica rispetto ai modelli normativi illustrati nel paragrafo precedente e ispirandosi all’approccio sistematizzato da Morgan [2011a], guarda ai modi concreti in cui i soggetti «fanno famiglia» costruendo e dando un senso alla propria genitorialità. La ricerca Constructions of Parenting on Insecure Grounds: What Role for Social Work? (CoPInG), ovvero Costruzioni della genitorialità su terreni instabili: quale ruolo per il servizio sociale?, esplora sia le rappresentazioni di genitorialità di madri e padri, sia come le visioni di professionisti e assistenti sociali si collocano rispetto a queste rappresentazioni.
Morgan propone di evitare di guardare alla famiglia come a un qualcosa di statico, anzi suggerisce di evitare del tutto il termine «famiglia» come sostantivo, e propone di utilizzarlo invece come aggettivo o verbo. In questo senso il concetto di family practices, cioè di pratiche familiari, permette di riconoscere nello stesso tempo la fluidità dei contesti relazionali e la centralità dell’esperienza dei soggetti. Quest’ottica diventa particolarmente significativa in un contesto in cui la diversità e la dinamicità nelle relazioni intime e personali si sono in parte accentuate e richiedono sempre di più un riconoscimento delle specificità delle circostanze di vita. Lo sguardo sulle pratiche apre la possibilità di cogliere lo sforzo compiuto dai genitori in differenti situazioni per (ri)creare nuovi modi di cura ed educazione dei loro figli [Smart e Neale 1999; Morgan 2011a]. Secondo Morgan, l’utilizzo stesso del termine «famiglia» come oggetto di studio penalizza le diversità e le varietà, non solo in relazione alle coppie LGBT, ma anche alle situazioni di genitori single o di nuclei ricomposti e di tutta la varietà di pattern relazionali che si sono sviluppati o sono diventati visibili nella società attuale. Lo studio delle pratiche, delle diverse forme del «fare famiglia» (doing family) mette quindi l’accento sul ruolo attivo dei soggetti, sulla processualità nel costruirsi dei ruoli e delle stesse regole [Morgan 2011b]. Studiare la vita familiare e le pratiche, invece che comparare le esperienze familiari e genitoriali con standard e modelli predefiniti, permette di evitare giudizi di adeguatezza, conformità o difformità rispetto agli standard. Al contrario consente di cogliere nuove modalità di fronteggiamento create dai genitori che vivono situazioni di vita sempre più diffuse, ma decisamente lontane dall’immagine statica della familiare stereotipata: la cosiddetta famiglia dei Cornflakes Packet [Morgan 2011a] che in Italia potremmo chiamare la «famiglia del Mulino Bianco». {p. 16}
In questo senso la nostra ricerca, che si ispira all’approccio di Morgan [2011a], propone uno sguardo sulle narrazioni della vita familiare da una prospettiva in cui la diversità e la mutevolezza delle situazioni non è a priori definita come instabilità o in termini di problematicità. Anzi, comprendere le situazioni in cui le routine quotidiane sono sconvolte e gli sforzi per ricostruire una normalità rappresentano un’opportunità per cogliere ciò che viene dato per scontato e quindi invisibile nelle rappresentazioni sociali della vita familiare.

5. La ricerca

L’ispirazione a questa ricerca nasce anche dal fatto che nell’attuale clima culturale che si caratterizza per una sorta di diluvio di istruzioni ai genitori e di rappresentazioni negative della genitorialità, la voce di coloro che sono direttamente coinvolti nell’impresa di allevare i figli, la conoscenza del modo in cui madri e padri percepiscono i loro compiti, delle loro teorie pedagogiche «laiche», sono state poco studiate. C’è una scarsità di ricerche che esplorano la prospettiva dei genitori, in particolare quando la genitorialità avviene in circostanze difficili a causa di problemi materiali, culturali o relazionali. Questo progetto mira proprio a colmare questa lacuna esplorando il modo in cui i genitori e i professionisti costruiscono la genitorialità ed evitando il presupposto che una rappresentazione debba essere presa come parametro per valutare le altre. Più specificamente, il nostro studio ha affrontato tre principali domande:
  • nell’attuale contesto sociale e relazionale, come costruiscono la genitorialità coloro che hanno la responsabilità di allevare i figli, in particolare quando si trovano ad affrontare circostanze difficili? Quali sono i loro modi di affrontare le sfide connesse?
  • come si collegano queste rappresentazioni alle politiche sociali effettive relative alla genitorialità?
  • in che modo la comprensione della genitorialità da parte dei servizi sociali e degli operatori sociali si relaziona con le opinioni dei genitori, in particolare quando definiscono il loro ruolo nei confronti delle famiglie e dei bambini?
La selezione degli specifici contesti relazionali origina da un precedente studio esplorativo sulla genitorialità che aveva consentito di mettere a fuoco le situazioni che venivano definite come maggiormente complesse o poco conosciute da genitori e professionisti dell’area sociale. In particolare sono state selezionate quattro realtà: la genitorialità in situazione di povertà, la genitorialità LGBT, la genitorialità nella migrazione forzata e la genitorialità in situazioni di divorzio altamente conflittuale. Si tratta di situazioni molto differenti tra di loro, tuttavia ciò che le accomuna è che rispetto ai modelli stereotipati di famiglia rappresentano pattern di relazione non ancora so{p. 17}cialmente accettati o non riconosciuti nelle loro specificità. Si tratta inoltre di situazioni in cui sono frequenti per diversi motivi i contatti con i servizi sociali e con le istituzioni.
Le situazioni su cui abbiamo focalizzato la ricerca, quindi, non sono solo interessanti in sé, ma sono occasioni in cui ciò che è normalmente tacito può essere reso esplicito e il carattere costitutivo delle pratiche familiari può essere reso evidente [Morgan 2011a]. Questo modo di studiare la vita familiare valorizza la narrazione dei genitori, e illumina le pratiche educative, ma consente anche di cogliere l’influenza del contesto sociale e culturale. Quanto gli ideali normativi di cui è impregnato il discorso dominante sulla genitorialità influenzano i modi di dare significato all’esperienza genitoriale, sia dei soggetti stessi sia dei professionisti? Dalla prospettiva delle pratiche genitoriali si apre uno spazio per esplorare come soggetti in situazioni differenti si pongano rispetto agli stereotipi di famiglia e di genitorialità, come percepiscano, resistano, o siano in posizione di vulnerabilità rispetto alle pressioni sociali connesse per esempio alla cultura dell’intensive parenting. Nello studio abbiamo mirato a cogliere come i genitori affrontino situazioni di diversità e spesso di sfida facendo emergere nell’ascolto delle loro narrazioni sulle pratiche quotidiane qual è l’idea di educazione e l’intenso lavoro per la costruzione di un senso di «normalità» in situazioni incerte o poco stabili.
La strategia di ricerca adottata si ispira al modello della grounded theory, in particolare al modello costruttivista di Charmaz [2014] che permette di accedere alla prospettiva dei soggetti e di capire il modo in cui essi concettualizzano le pratiche di genitorialità. Grounded theory significa letteralmente «costruzione di teoria a partire dai dati». Per molti versi questo modello è apparso da subito coerente con l’approccio di ricerca presentato nel paragrafo precedente in quanto si tratta di un modello che comporta il mettere da parte le teorie sul tema studiato e propone di analizzare i dati ed estrapolare la teoria da essi senza schemi cognitivi precostruiti. L’elemento caratterizzante la grounded theory riguarda il fatto che l’analisi dei dati viene fatta in concomitanza con la raccolta degli stessi e la influenza [Ghirotto 2019]. La codifica avviene in tre stadi: nel primo si parla di codifica aperta e vengono identificate le principali categorie utilizzate dagli intervistati per rappresentare la propria esperienza. Nella seconda fase si parla di codifica focalizzata nel senso che le categorie vengono connesse in modo da arrivare a macro-categorie e a un modello di concettualizzazione più astratta. La terza fase comporta una connessione tra concettualizzazioni in modo da identificare una teoria. Questo processo è ispirato anche da un’attenzione a quello che viene definito il main concern dell’intervistato, e cioè la preoccupazione principale che si legge nel suo discorso. Nel nostro caso si è previsto che l’analisi dei dati cominciasse dalle prime interviste e le interviste sono state codificate per fare emergere i modi di concettualizzare l’esperienza degli intervistati. La codifica di ciascuna intervista è stata fatta da due ricercatori per una triangolazione dell’analisi, e {p. 18}poi si è attuato un confronto di gruppo, facendo ricorso a tratti alla consulenza di Marco Ghirotto, uno degli esperti italiani di grounded theory.
La ricerca si è svolta a partire da uno studio pilota in cui sono state esplorate le modalità di definire e concettualizzare le situazioni di genitorialità che ci si è proposti di esplorare. Questa prima fase ha comportato 69 tra interviste e focus group con professionisti che operano in servizi sociali che si occupano di genitorialità (51), con accademici esperti sul tema della genitorialità (13) e con rappresentanti di associazioni di genitori (5). Nella seconda fase sono stati intervistati genitori e assistenti sociali. In particolare sono state intervistate 119 madri e 90 padri su tutto il territorio italiano e 93 assistenti sociali con esperienza di lavoro con le famiglie negli specifici ambiti scelti nella ricerca.
Le questioni etiche affrontate sono state diverse e complesse. Il progetto è stato approvato dai comitati etici delle università partecipanti al progetto di ricerca. Ci si è però immediatamente resi conto che le questioni aperte andavano al di là del consenso informato e della riservatezza. In effetti coinvolgere genitori che vivono situazioni difficili significa toccare temi cosiddetti sensibili, ovvero, nel nostro caso, significa toccare temi che sollevano emozioni profonde. Per questo è stata organizzata una formazione specifica sulla gestione delle emozioni nelle interviste e si sono organizzati momenti di debriefing e supervisione durante la fase di raccolta dei dati.

6. La struttura del libro

I sei capitoli che seguono presentano alcuni spunti di riflessione trasversali agli esiti emersi nelle quattro aree della ricerca. Alcuni concetti, infatti, hanno attraversato più frequentemente di altri le narrazioni dei genitori e degli assistenti sociali «addensandosi» attorno a parole chiave quali stereotipo, riconoscimento, posizionamento, intersezionalità, superdiversità e pratiche anti-oppressive.
Nel capitolo 2 Monaco e Nothdurfter avviano il loro contributo dal presupposto che la famiglia non sia immune da stereotipi e significati ideologici. Tra questi può essere collocata la cosiddetta cultura della genitorialità intensiva, ovvero un approccio di tipo normativo che considera il fare famiglia come una sorta di performance, valutata più o meno positivamente a seconda di quanto ciascun nucleo familiare aderisce a standard prescrittivi. Gli autori descrivono come gli stereotipi sulla «buona genitorialità» si manifestano nell’attuale contesto italiano, concentrando la loro analisi sulla natura delle credenze stereotipiche e sugli effetti che queste esercitano sui genitori che vivono in condizioni di incertezza.
Gui e Sanfelici, nel capitolo 3, sostengono in esordio che la categoria del riconoscimento, cruciale nei processi di costruzione della propria identità,
{p. 19}permette di analizzare le interazioni, le pratiche e l’agire dei soggetti guardando alle intersezioni tra le diverse sfere delle relazioni affettive, comunitarie e politico-giuridiche. Tali processi si sviluppano anche nelle interazioni tra assistenti sociali e genitori nell’ambito di relazioni di aiuto che possono veicolare o ostacolare il reciproco riconoscimento. Gli autori, alla fine del loro contributo, propongono un modello utile a comprendere come tali processi si costruiscano in relazione a diverse variabili micro e macro dando o sottraendo forza a relazioni di mutuo riconoscimento.