Re(l)-azioni
DOI: 10.1401/9788815410795/c8
Capitolo ottavo
Conflitti socioambientali, comitati, comunità
di Stefania Benetti, Stefania Toso e Elena dell’Agnese. Ai fini di valutazione, il paragrafo 1 è da attribuirsi a Elena dell’Agnese, il paragrafo 2 a Stefania Toso, i paragrafi 3, 4 e 6 a Stefania Benetti e il paragrafo 5 a Benetti e Toso
Notizie Autori
Stefania Benetti è ricercatrice di Geografia economico-politica presso il
Dipartimento per lo Sviluppo Sostenibile e la Transizione Ecologica
dell’Università degli Studi del Piemonte Orientale. Si occupa di aree
protette, servizi ecosistemici, questioni di giustizia ambientale, conflitti
socioambientali e rappresentazioni simboliche del paesaggio.
Notizie Autori
Stefania Toso è architetto con specializzazione in Progettazione urbana e
territoriale. Ha conseguito il dottorato in Studi Urbani presso il
Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di
Milano-Bicocca con una tesi sul turismo delle seconde case nell’Astigiano.
Dal 2016 opera come progettista culturale per la valorizzazione del
patrimonio in aree rurali e marginali e dal 2022 come facilitatrice di
percorsi di coprogettazione con le comunità locali.
Notizie Autori
Elena dell’Agnese è professoressa ordinaria di Geografia presso
l’Università di Milano-Bicocca. Dopo essere stata vicepresidente
dell’International Geographical Union e della Società geografica italiana, è
ora la presidente dell’Associazione delle geografe e dei geografi italiani.
Al suo attivo ha oltre 130 pubblicazioni, fra monografie, volumi in
collaborazione e articoli scientifici. Si è occupata di deprivazione degli
spazi a domanda debole (spazi rurali, aree montane, piccole isole) sin dagli
inizi della sua carriera.
1. Introduzione
Nelle aree interne italiane e, in particolare, nelle aree periferiche e ultraperiferiche è presente la maggior parte del patrimonio ambientale d’Italia, con alta densità di biodiversità ed elevata qualità degli habitat [Carrosio e de Renzis 2021]. Tuttavia, anche nelle aree rurali dotate di grandi potenzialità «paesaggistiche», il paesaggio risulta talora «violentato» da un passato di industrializzazione che oggi lascia «vuoti» imponenti, capannoni coperti di amianto e vecchi stabilimenti abbandonati. Il caso che verrà analizzato in questo capitolo si riferisce a una di queste circostanze: un vecchio impianto produttivo non più in attività collocato nel quadro di un’area attualmente designata come Patrimonio dell’Umanità Unesco, la proposta di rifunzionalizzazione, con il rischio di ulteriori danni al paesaggio e all’ambiente, la mobilitazione di una parte della popolazione, la gestione del conflitto.
In questo capitolo, ci focalizziamo su quei casi in cui la creazione di un network sociale nasce proprio in relazione alle azioni di difesa e conservazione dell’ambiente e del paesaggio. Tali azioni nascono quando un agente esterno altera o vuole alterare le relazioni preesistenti tra le popolazioni che, a vario titolo, frequentano un dato contesto e il territorio, oppure quando alcuni esponenti di quelle popolazioni decidono di modificarne il rapporto con l’ambiente, influenzando gli interessi altrui [Folchi 2001].¶{p. 192}
Questi momenti di confronto possono essere definiti conflitti ambientali [Faggi e Turco 2000], o socioambientali. Indipendentemente dalla qualità dei luoghi, sia gli interventi che modificano il contesto ambientale sia, al contrario, le iniziative che mirano al mantenimento degli ecosistemi, innescano una crescente domanda di protagonismo dei cittadini nei confronti di un territorio vissuto e costruito collettivamente [De Marchi 2004; 2011]. Talora, questo protagonismo si traduce in forme di democrazia locale, con il proliferare di diversi tipi di manifestazioni autorganizzate per la difesa del proprio territorio. Tali organizzazioni possono essere sostenute e collaborare o, all’opposto, essere in contrasto, con le istituzioni del governo locale [Allegretti et al. 2021].
In questo capitolo analizziamo un particolare conflitto socioambientale che nasce nel comune di Quaranti (AT) e si trasforma in una lotta transcomunale. L’obiettivo è quello di comprendere se e come l’insorgere di conflitti socioambientali possa essere uno stimolo alla costruzione di legami e relazioni che «fanno territorio», trasformando i contesti rurali e marginali in spazi di confronto diretto, informale e spontaneo, utile alla (ri)composizione delle comunità rurali, nella loro contemporanea pluralità. Il conflitto, la contestazione e la resistenza a progetti territoriali di notevole impatto sul paesaggio sociale e culturale possono divenire occasione di relazione e riformulazione dei rapporti tra gruppi di attori, fino a quel momento privi di reciproche connessioni. L’arena del confronto è lo spazio rurale: la piazza del piccolo insediamento che diviene anfiteatro per il dibattito pubblico, la recinzione della seconda casa che ospita striscioni di protesta, il campo agricolo da cui monitorare il progredire del cantiere in atto, la cascina che accoglie le riunioni degli abitanti della frazione in protesta.
Le informazioni, i dati e le foto disponibili nella letteratura scientifica sul caso in esame, sui siti Internet ufficiali (come quello del Comune di Quaranti, dell’Unesco o dell’Istat), sulla rassegna stampa locale («La Stampa», «Radio Gold» ecc.), oltre che sui social network (in particolare i gruppi Facebook «Amici di Quaranti – Quaranti nel Cuore», «Sei di Mombaruzzo se» e altre fonti anonime) hanno ¶{p. 193}permesso la descrizione del contesto territoriale (par. 2) e la ricostruzione cronologica della storia legata al conflitto della ex fornace di Quaranti (par. 3). Al fine di dar voce ai vari punti di vista degli attori coinvolti nel conflitto (par. 4), le informazioni precedentemente raccolte sono state integrate dall’osservazione partecipante di una delle autrici, dalla ricerca visuale
[1]
e dall’inchiesta sul campo, che ha previsto anche interviste semistrutturate e in profondità a tre testimoni privilegiati (par. 5). Infine, nel paragrafo 6, le autrici discutono una differente modalità di costruzione di reti di relazione nel contesto delle aree rurali e interne.
2. Quaranti e dintorni
Quaranti
[2]
, nato in epoca romana come fundus, oggi è un comune della provincia di Asti, in Piemonte, classificato come comune intermedio all’interno della mappatura SNAI [Dipartimento per le Politiche di Coesione 2020]. La sua collocazione geografica (fig. 8.1), al confine con la provincia di Alessandria, in un’area marginale dal punto di vista delle infrastrutture e dei servizi alla cittadinanza, rende la popolazione dipendente dalle vicine città di Nizza Monferrato (AT) e Acqui Terme (AL). Situato a 273 metri sopra il livello del mare, ha una superficie di 2,96 km2 [Comune di Quaranti 2022] con due terzi del territorio piantati a vite. Difatti, l’economia è quasi esclusivamente vitivinicola e molte aziende conferiscono le uve alla cantina sociale del confinante comune di Mombaruzzo, la più antica di tutto il Piemonte. Quaranti rientra nella buffer zone dell’area vinicola di Nizza Monferrato, una delle cinque core zones
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dei paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato, riconosciuti come patrimonio mondiale dall’Unesco
[3]
(2014). La grande produzione di vini DOC (Barbera d’Asti, del Monferrato, Dolcetto d’Asti, Freisa e Cortese) e DOCG (Moscato d’Asti, Brachetto d’Acqui) rende Quaranti la più piccola Città del Vino d’Italia. In questo caso, «piccola» non si riferisce alla dimensione territoriale, quanto all’esiguo numero di abitanti. Come altre realtà delle aree rurali e interne italiane, anche qui gli abitanti difendono il proprio mondo dallo spopolamento (fig. 8.2), in atto da inizio Novecento e accentuatosi a partire dal dopoguerra a causa di dinamiche ibride di contrazione demografica e ristrutturazione dei modelli di produzione agricola [Lanzani e Curci 2018]. In questo territorio, il pro¶{p. 195}gressivo e lento abbandono, conseguenza della migrazione verso i poli urbani e metropolitani più vicini, ha determinato la modifica del sistema abitativo.
L’elevato valore paesaggistico dell’area e l’abbondante disponibilità di manufatti del patrimonio immobiliare rurale (talvolta di specifico interesse architettonico per le caratteristiche degli elementi costruttivi e dei materiali impiegati negli insediamenti storici), affiancati talvolta dal legame affettivo con la terra dei propri avi, sostengono, a Quaranti come nei comuni limitrofi, lo sviluppo di un turismo legato alle seconde case e talora di flussi migratori «di ritorno». Seppur numericamente invisibile nelle statistiche regionali e nazionali, la presenza dei villeggianti in questo contesto territoriale consente un precario presidio dei centri storici e delle frazioni più disperse e, nei casi più virtuosi, sostiene l’avvio e il mantenimento di iniziative di animazione della comunità locale.
Una recente comunità di neo-abitanti è poi costituita da quelli che possono essere definiti «migranti economici» [Membretti e Ravazzoli 2018], in buona parte stranieri,
¶{p. 196}attirati nell’area dalle occasioni di lavoro stagionale per lo più connesso alla viticultura e alle altre coltivazioni della zona e dall’offerta di impiego nei settori dell’edilizia e della piccola industria locale. La presenza di migranti, con valori maggiori concentrati nelle settimane dell’anno dedicate alla vendemmia, ha dato luogo a momenti di tensione ed emergenza abitativa, mettendo in luce pratiche di gestione inadeguate e l’assenza di una politica di governance efficace. Allo stesso tempo, offre lo stimolo al manifestarsi di forme di necessaria coabitazione, con il risultato di dar vita a buone pratiche di accoglienza come nel vicino comune di Canelli. Infine, occorre rilevare una tendenza che negli ultimi anni ha visto anche nel Sud Astigiano la crescita di una comunità di neo-rurali, eterogenea nella sua composizione, in relazione alle motivazioni di insediamento nell’area e per le prospettive individuali di lavoro e vita. Come accade in altre aree rurali e montane [Carrosio 2013; Dematteis 2018], anche qui si assiste all’arrivo di giovani famiglie, nuovi imprenditori agricoli, nomadi digitali, stranieri in cerca di uno stile di vita alternativo (in maggioranza di provenienza nordeuropea). Tuttavia, queste nuove popolazioni, permanenti o temporanee, con differenti occupazioni, progetti di vita, visioni del territorio e senso del luogo, difficilmente si incrociano all’interno di spazi sociali comuni e stentano a creare forme di comunicazione, a costruire luoghi di confronto e a identificarsi in un’unica dimensione comunitaria.
Note
[1] L’indagine videografica del caso in esame è stata sviluppata grazie alla realizzazione del cortometraggio No fanghi alla ex fornace di Quaranti del regista Alessandro Diaco e della produttrice Elena dell’Agnese. Il cortometraggio è una produzione GreenAtlas, finanziato dal progetto PRIN Greening the Visual: An Environmental Atlas of Italian Landscapes (num. prot. 2017BMTRLC) ed è disponibile al link https://greenatlas.cloud/no-fanghi-allex-fornace-di-quaranti/.