La lettura ad alta voce condivisa
DOI: 10.1401/9788815410238/c6
Capitolo sesto Letture sconfinate: pratiche inclusive oltre la
riparazionedi Moira Sannipoli
Notizie Autori
Moira Sannipoli - PhD - è professoressa associata in Didattica e
Pedagogia speciale nel Dipartimento di Filosofia, Scienze Sociali, Umane e
della Formazione dell’Università di Perugia. È docente di Pedagogia della
diversità e delle differenze e di Pedagogia speciale nell’infanzia; insegna
nel Corso di specializzazione per le attività di sostegno presso l’Ateneo
perugino. È referente del Centro di Documentazione, Aggiornamento e
Sperimentazione sull’Infanzia della Regione Umbria. È autrice di numerose
pubblicazioni relative ai temi dell’infanzia, della disabilità,
dell’inclusione e delle povertà educative.
Abstract
Il mondo della disabilità è da tempo vittima di stereotipi e pregiudizi che ne limitano
fortemente la comprensione e l’accoglimento. Se il linguaggio negli ultimi anni,
almeno nei contesti scientifici e professionali, è fortemente mutato, la stessa
sorte non è ancora capitata agli immaginari comunemente espressi. Un professionista,
che voglia accogliere davvero la sfida inclusiva, ha la possibilità di misurare le
proprie mappe attraverso l’incontro con storie raccontate
dall’interno e da dentro, che prendono voce e possono
mostrare sensi oltre ai significati, culturalmente subiti e/o costruiti. Dentro il
tema del diritto alla lettura, va fatta una sottolineatura importante che concerne i
bambini e le bambine, ma anche i ragazzi e le ragazze, con «bisogni educativi
speciali» che possono avere gli stessi vantaggi e benefici dall’essere esposti fin
dall’infanzia a questa pratica, ma che pagano invece il prezzo di preconcetti e
supposizioni che ne ritardano e ne complicano l’esposizione. La lettura può farsi
anche occasione per prendere coscienza in maniera onesta della propria condizione di
fragilità o di svantaggio: incontrare le storie di altri può permettere di trovare
assonanze e concordanze con il proprio stare al mondo, fare pace con quella parte di
sé a volte ignota e nascosta, ma di cui è impossibile disfarsi.
1. A partire da dentro: la lettura per contrastare l’abilismo
Il mondo della disabilità è da tempo
vittima di stereotipi e pregiudizi che ne limitano fortemente la comprensione e
l’accoglimento. Se il linguaggio negli ultimi anni, almeno nei contesti scientifici e
professionali, è fortemente mutato, la stessa sorte non è ancora capitata agli
immaginari comunemente espressi. A essere dominante è ancora un approccio abilista che
tenta di «considerare inferiore una persona o una categoria di persone in base al suo
livello di abilità, valutata in relazione a standard fissati arbitrariamente dalla
società» [Acanfora 2021, 32]. Di fatto esiste una ricchissima letteratura specialistica
che sta cercando di proporre framework differenti sui temi della disabilità, ma non
sempre gli esiti in termini di percezione sociale sono immediati e significativi
[Fiorucci 2014; 2022; Fiorucci e Pinnelli 2020; Gaggioli e Sannipoli 2021]. Ne deriva un
controtempo molto evidente e contraddittorio tra politiche, linguaggi, pratiche e
visioni, tanto dei professionisti che della comunità in generale.
Una ricerca empirica condotta
recentemente sull’abilismo in Italia [Bellacicco et al. 2022]
conferma come il mancato contatto e la scarsa conoscenza di persone reali favorisca
visioni ancora molto medicalizzate. Visto che questo tipo di gap richiede interventi
culturali e sociali significativi e sul lungo termine, la lettura può in questa
direzione assumere un ruolo di importante mediatore, soprattutto se invita a meticciare
lo studio e l’approfondimento di testi maggiormente didascalici, con la bellissima
letteratura direttamente narrata da persone in situazione di
disabilità.¶{p. 154}
Canevaro [2008, 8] scrive:
per rappresentare la figura dei mediatori possiamo utilizzare la metafora di chi vuole attraversare un corso d’acqua che separa due sponde e non vuole bagnarsi: mette dunque i piedi sulle pietre che affiorano. Forse butta una pietra per costruirsi un punto di appoggio dove manca. Questi appoggi sono i mediatori, coloro che forniscono sostegno e che si collegano uno all’altro. Un mediatore è come un semplice sasso su cui appoggiare il piede per andare all’altra riva.
La ricchissima narrativa che oggi
abbiamo a disposizione può svolgere questa funzione e invitarci a sconfinare rispetto
all’esistente. Un professionista, che voglia accogliere davvero la sfida inclusiva, ha
la possibilità di misurare le proprie mappe attraverso l’incontro con storie raccontate
dall’interno e da dentro, che prendono voce e possono mostrare sensi oltre ai
significati, culturalmente subiti e/o costruiti. Mi piace allora pensare che nei
contesti formativi iniziali e in itinere si debbano proporre
letture capaci di essere maggiormente attivanti magari rispetto a una modalità di studio
argomentativa dei temi. Incontrare le storie potrebbe invitare ad assumere una
punteggiatura delle relazioni di cura che sappiano chiamare per nome piuttosto che per
deficit, per prospettive inedite piuttosto che conosciute e scontate. Alcuni testi
possono così creare uno spazio mentale che consenta all’altro di non rimanere
schiacciato in una categoria, che sia di negazione o di pietismo; parallelamente per
attivare un percorso di reciproco riconoscimento, nello svelarsi dell’altro con i suoi
punti di forza e di debolezza, anche il lettore abbraccia la sua identità più intima e
autentica.
In questa direzione, in modo
dialogico tanto per chi racconta la storia che per chi la riceve, «narrare coincide
essenzialmente con l’essere in grado di rigenerare quote di libertà, rimuovendo blocchi
e paure» [Baricco 2022, 13].
L’opportunità di modificare queste
visioni ingenue può di fatto essere affidata anche al mondo della scuola che ha il
compito, fin dai servizi per la prima infanzia, di proporre narrazioni che possano
rafforzare culture di validità, di riconoscimento e di comprensione. Alcune letture sono
¶{p. 155}espedienti per ribaltare alcuni immaginari soprattutto nei
confronti di bambini e bambine in situazioni di svantaggio e fragilità, che pagano
ancora il prezzo di visioni fortemente medicalizzate. Parallelamente esistono
attualmente delle ricchissime proposte in ambito di letteratura per l’infanzia che
richiamano contenuti che consentono con attenzione e «leggerezza» il confronto e il
dialogo con i temi della diversità e delle differenze. Allora nella scelta dei testi da
offrire ai bambini, oltre alle attenzioni legate alla qualità ritmico-sonora, alla
comprensibilità dell’immagine in rapporto con il testo, alla performatività, alla
qualità dialogica e originalità della storia, al criterio di progressione (dai libri
cartonati, a quelli con foto di facce, rime e filastrocche, fino a testi con pagine di
carta con veri e propri racconti, ai libri illustrati), possono essere selezionate
storie che affrontano con coraggio e delicatezza queste tematiche [Terrusi e Sola 2009;
Emili e Macchia 2020]. Il dono della lettura può diventare così occasione per permettere
al pensiero di farsi tenero. «La tenerezza è quella tonalità emotiva che consente alla
mente di protendersi verso (tenerum) l’altro
ammorbidendo (teneritia) ogni asperità discorsiva: intenerire i
tessuti della mente per renderla luogo aperto che fa posto all’alterità» [Mortari 2013,
124]. La possibilità di partire dall’infanzia con questa capacità di pensare e sentire è
sicuramente una sfida interessante e vincente: apprendere fin da piccoli in modo
semplice può essere sicuramente più fecondo e costruttivo che disapprendere da adulti.
2. Il diritto alla lettura: verso un’accessibilità al plurale
La precocità dell’intervento, il
coinvolgimento delle famiglie e l’universalità rappresentano tre caratteristiche
fondamentali per la pratica della lettura ad alta voce. Dentro il tema del diritto alla
lettura, va fatta una sottolineatura importante che concerne i bambini e le bambine, ma
anche i ragazzi e le ragazze, con «bisogni educativi speciali» che possono avere gli
stessi vantaggi e benefici dall’essere esposti fin dall’infanzia a questa pratica, ma
che pagano invece ¶{p. 156}il prezzo di preconcetti e supposizioni che
ne ritardano e ne complicano l’esposizione [Costantino 2011]. I motivi di questo ritardo
possono risiedere in differenti ragioni. Innanzitutto, l’aver ricevuto una diagnosi in
età infantile modifica profondamente le relazioni familiari. In alcuni casi l’esperienza
del «lutto» rispetto al figlio sognato e atteso [Caldin e Giaconi 2022], porta la coppia
genitoriale a una serie di azioni che hanno maggiormente tinte risarcitorie e
riabilitative. La centralità nei primi anni di vita della presenza del sapere medico
genera una vera e propria fede e dedizione nei confronti di una serie di specialismi per
cui appare costruttivo solo ciò che è tecnico e in un certo senso correttivo. In
un’ottica di recupero, sono privilegiati tutti gli interventi speciali che prendono il
sopravvento su quelli ordinari che sono sospesi, non frequentati, non vissuti. In realtà
sappiamo bene come «in nome del valore dell’efficacia dell’intervento [...] non si può
perdere il valore della partecipazione sociale del soggetto alla normalità» [Ianes 2006,
40]. Si tratta allora fin da subito di promuovere una dialogica tra specialità e
normalità che consenta anche a questi bambini di essere esposti a pratiche di cura che
fanno bene a tutti e quindi anche a loro, che permettano anche alla famiglia di
cogliersi dentro un orizzonte di capacità e abilitazione più che di continua invalidità.
Va precisato infatti che:
il termine riabilitazione si riferisce alle strategie di intervento e alle tecnologie che aiutano le persone con disabilità acquisite a recuperare determinate abilità, mentre il termine abilitazione si riferisce alle strategie di intervento e alle tecnologie che aiutano le persone con disabilità di sviluppo a maturare per la prima volta abilità [Beukelman e Mirenda 2014, 27].
Spesso la pratica della lettura è
invece evitata perché, in presenza di una disabilità complessa e/o di un disturbo della
comunicazione, si ritiene che i testi non possano essere fruibili e che i bambini stessi
non siano pronti per la lettura. In queste circostanze a livello comunicativo gli adulti
sono portati a utilizzare un linguaggio meno interattivo di quello utilizzato con i
coetanei, più strutturato e povero di ¶{p. 157}contenuti, con domande
chiuse e risposte già note, che di fatto ne limitano anche l’ampliamento e il
potenziamento. L’assenza di libri adeguati ai bisogni di questi bambini, non accessibili
su un piano fisico e comunicativo, nella grafica e nelle immagini, porta famiglie e
personale educativo a non provare a percorrere la strada della lettura condivisa.
Negli ultimi anni invece sono stati
molti gli interventi che permettono il diritto alla lettura, a partire dalla varietà dei
testi disponibili, per arrivare agli spazi e alle modalità di avvicinamento e
familiarizzazione con i testi e la pratica del leggere.
La disponibilità e la presenza di
una molteplicità di libri (di cui una parte direttamente accessibili e fruibili in
autonomia dai bambini/studenti e una parte dedicati esclusivamente alla lettura ad alta
voce da parte dell’adulto) arricchiscono gli effetti della lettura e garantiscono la
formazione a lungo termine di lettori forti e autonomi. In questo senso anche scegliere
e allestire il setting è un atto di cura che dà importanza alla
pratica della lettura. È sufficiente, se possibile, che sia predisposto uno spazio
dedicato e riconoscibile, dove la disposizione dei giovani ascoltatori sia comoda e
libera. È preferibile che l’ambiente adibito sia morbido e caldo, tenendo conto che i
piccoli lettori devono trascorrere un tempo consistente in ascolto. D’altra parte, se
non fosse possibile concretamente allestire un angolo/sala lettura, si può contribuire a
rendere confortevole e significativa la disposizione all’ascolto anche spostando banchi
e sedie, disponendosi in cerchio, stendendo qualche coperta o cuscino.
È inoltre possibile immaginare testi
in cui si possano aggiungere elementi facilitanti che ne permettano la consultazione
come feltrini, mollette, abbassa lingue oppure ipotizzare che il testo scritto possa
essere tradotto in simboli, facendo riferimento all’ambito multidisciplinare della
Comunicazione aumentativa alternativa (CAA). Nel primo caso l’editoria dei libri tattili
è un riferimento molto interessante e da approfondire. I libri tattili illustrati sono
testi ideati e realizzati per i bambini con deficit visivo che presentano illustrazioni
in rilievo realizzate con materiali
¶{p. 158}e
texture diversi, testo scritto sia in Braille sia a caratteri
ingranditi [Piccardi 2011]. Nel secondo caso possiamo immaginare libri in simboli
[Costantino 2011]: esistono albi illustrati modificati e tradotti oppure libri su
misura, testi personalizzati che nascono a partire dai bisogni, interessi e dai
funzionamenti dei più piccoli. In alcune situazioni si possono ipotizzare anche letture
virtuali attraverso audio-storie, video-storie con la Lingua dei segni italiana (LIS) e
con gli stessi simboli (CAA).