Territori in bilico
DOI: 10.1401/9788815374240/c6
Capitolo sesto
Tre territori in bilico nell’area metropolitana
milanesedi Veronica Conte, Luca Daconto e Simone Caiello
Abstract
In questo capitolo si esaminano le traiettorie e i percorsi di sviluppo dei tre territori in bilico, per meglio cogliere i tre contesti selezionati alla luce della loro storia socioterritoriale ed economica. Il primo paragrafo illustra il percorso economico e produttivo locale dei tre territori a partire dal processo di deindustrializzazione delle tre aree e dalle strategie messe in atto per identificare una nuova vocazione. Nel secondo paragrafo si presentano le dinamiche della coesione sociale nei tre territori di riferimento. Infine, nell’ultima sezione, dedicata ai percorsi di sviluppo locale sostenibile, si affrontano i temi del consumo di suolo e della rigenerazione urbana.
Introduzione
In questo capitolo si esaminano le
traiettorie e i percorsi di sviluppo dei tre territori in bilico, per meglio cogliere i
tre contesti selezionati alla luce della loro storia socio-territoriale ed economica. Il
primo paragrafo illustra il percorso economico e produttivo locale dei tre territori a
partire dal processo di deindustrializzazione delle tre aree e dalle strategie messe in
atto per identificare una nuova vocazione. Nel secondo paragrafo si presentano le
dinamiche della coesione sociale nei tre territori di riferimento. Infine, nell’ultima
sezione, dedicata ai percorsi di sviluppo locale sostenibile, si affrontano i temi del
consumo di suolo e della rigenerazione urbana.
1. Percorsi di sviluppo locale: tra passato industriale e la ricerca di una nuova vocazione produttiva
La regione metropolitana milanese è
storicamente un’area fortemente produttiva, il cui passato industriale, spesso associato
alla grande fabbrica fordista del Novecento, ne ha rappresentato il principale volano di
crescita economica e demografica [Foot 2003]. Tuttavia, come tante altre grandi regioni
metropolitane europee, anche quella di Milano ha vissuto un processo di forte
deindustrializzazione, terziarizzazione e globalizzazione che ha posto nuove sfide allo
sviluppo territoriale locale. Tra il 1970 e il 1990, infatti, la sola città di Milano
perde circa il 54% degli addetti nel settore manifatturiero [Balducci 2003], tra il 1991
e il 2001 ¶{p. 92}quasi il 37% [Gibelli 2016]. Tuttavia, Milano non
perde attrattività ma riesce a riposizionarsi, sfruttando i vantaggi
dell’agglomerazione, diversificando la propria economia urbana e puntando sul settore
dei servizi e su moda, design, media, comunicazione, ricerca e sviluppo, finanza e real
estate [Bigatti 2016].
Inizialmente l’hinterland milanese
assorbe la forza lavoro manifatturiera «espulsa» dal capoluogo. Si assiste, così, al
consolidamento di alcune nuove centralità metropolitane a nord della città e lungo
l’asse del Sempione. In particolare, gli studi condotti sul sistema metropolitano
milanese [Balducci 2003] individuano le nuove centralità nel territorio del Nord Milano,
area che ha non solo saputo investire su un tessuto diversificato di piccole e medie
imprese ma che ha anche trasformato i vuoti urbani della dismissione in centri terziari
[ibidem], e l’Alto Milanese, il cui sviluppo ha beneficiato
della crescita della città di Legnano e della prossimità al polo fieristico di Rho e
all’aeroporto di Malpensa.
Storicamente, i territori da noi
analizzati sono stati caratterizzati da una vocazione industriale di lungo periodo,
seppur con delle differenze sostanziali in termini di settori di specializzazione
produttiva e organizzazione del sistema industriale. L’industrializzazione del Nord
Milano si inserisce in un contesto fertile, sia dal punto di vista produttivo (es. la
tradizione serica presente dal secolo precedente), sia da un punto di vista morfologico
(es. accessibilità e infrastrutturazione). La rilevanza del polo industriale, a livello
regionale e nazionale, cresce negli anni grazie all’insediamento dell’industria
metallurgico-meccanica che assume un peso fondamentale sull’organizzazione
socio-territoriale e, nel tempo, ne rappresenta un elemento identitario e culturale.
Negli anni Settanta e Ottanta del XX
secolo inizia gradualmente il processo di deindustrializzazione del territorio, che si
acuisce con la dismissione dei principali stabilimenti produttivi, quali la Ercole
Marelli, la Magneti Marelli, la Breda e, negli anni Novanta, la Falck. A partire da
quegli anni, segnati da un forte calo occupazionale, l’area entra
¶{p. 93}nell’Obiettivo 2 della Comunità Europea
[1]
. Le amministrazioni locali lavorano in squadra, «in un’ottica sistemica e
cooperativa» (Int. 3), riuscendo ad attrarre risorse pubbliche, sia nazionali che
comunitarie, a sostegno delle piccole e medie imprese e dello sviluppo territoriale. Il
Comune di Sesto San Giovanni diventa un target dei fondi comunitari
per la reindustrializzazione delle aree in declino, delle risorse nazionali per la
bonifica dei territori e, infine, dei fondi regionali per la nascita delle start-up
[Savini 2014].
Nel 1996, grazie ai finanziamenti
nazionali della legge per il risanamento industriale della Bagnoli Sesto, viene creata
l’Agenzia di Sviluppo Nord Milano, una partnership a guida pubblica che include i comuni
dell’area, l’allora Provincia di Milano, la Camera di Commercio e la Falck. Questa
esperienza, come sottolineato da una nostra intervistata, fu particolarmente innovativa
in quanto non solo creava un dialogo con altre esperienze nazionali ma si «collocava in
un contesto europeo» (Int. 1), abilitando una serie di risorse territoriali ed
extra-territoriali fondamentali per la programmazione dello sviluppo.
L’Alto Milanese segue una traiettoria
simile a quella del Nord Milano: l’insediamento delle grandi fabbriche e la presenza di
un tessuto articolato di piccole e medie aziende rendono il territorio «una delle aree
d’Italia a più alto grado di occupazione» [Tosi e Vitale 2011, 6]. Il processo di
deindustrializzazione inizia gradualmente negli anni Settanta, prima con la crisi del
tessile e la chiusura dei cotonifici e, in un secondo momento, con la crisi del comparto
meccanico ed elettromeccanico [ibidem]. Tuttavia, «mentre si
consumava la crisi delle imprese alto milanesi più grandi» [Samorè 2011, 59], negli anni
Ottanta emerge il nuovo protagonismo delle piccole e medie imprese meccaniche.
¶{p. 94}
Come nel caso del Nord Milano, anche
l’Alto Milanese rientra nell’Obiettivo 2 comunitario. Al sostegno europeo si sommano
numerose risorse pubbliche, aspetto che «dimostra una capacità delle élite economiche e
politiche territoriali di tessere relazioni verticali e, in alcuni casi (…) di
anticipare la domanda del mercato» [Tajani 2011, 126]. Nel 1996 il territorio si dota di
un’agenzia, Euroimpresa, una società consortile a guida pubblica, che presto diventa «il
luogo principale di concertazione territoriale» [ibidem, 127] e che
porterà alla nascita dell’Energy Cluster e di un incubatore d’impresa. Tuttavia, al
contrario del Nord Milano, dove la dismissione dei grandi stabilimenti viene da subito
accompagnata da una terziarizzazione del settore produttivo grazie all’insediamento
degli headquarters di numerose aziende, nell’Alto Milanese il
processo di terziarizzazione è, come sottolinea una partecipante alla nostra ricerca,
«stato successivo alla crisi [del 2008-2009, nda] ed è stato imposto dalla crisi che ha
colpito il comparto manifatturiero» (Int. 42) [Migliavacca e Vitale 2011, 71].
In linea con quanto accaduto nel
Nord Milano e nell’Alto Milanese, l’industrializzazione del territorio vigevanese (e
pavese) subisce diverse battute d’arresto nel periodo tra gli anni Settanta del 1900 e
gli anni Dieci del XXI secolo. L’economia provinciale viene in un primo momento colpita
dalla crisi del settore manifatturiero e dalla dismissione della grande industria e,
successivamente, dalla crisi del modello di industrializzazione diffusa, guidato dalle
piccole e medie imprese del territorio, tra le quali quelle appartenenti al distretto
meccano-calzaturiero di Vigevano
[2]
[Benzi et al. 2019]. A partire dagli anni Ottanta del
1900, la Provincia di Pavia registra, infatti, un ritardo rispetto alla crescita
economica regionale e metropolitana, soprattutto in seguito al calo dell’occupazione
manifatturiera, non compensato da un aumento dell’occupazione terziaria. All’inizio del
nuovo millennio, essa presenta un tessuto economico sofferente a causa della mancanza di
grandi imprese con funzione-guida ¶{p. 95}e della scarsa capacità di
promuovere nuove forme di imprenditorialità [Ufficio Studi della Camera di Commercio di
Pavia e Consorzio Pavese Studi Post-Universitari 2000], tanto che nel 2016 il «Corriere
della Sera» definisce il territorio pavese come la «nobile decaduta del Mezzogiorno lombardo»
[3]
.
Il Vigevanese, storicamente
caratterizzato dalla coesistenza della produzione di scarpe e di riso, a partire dal
Secondo dopoguerra vede moltiplicarsi le esperienze imprenditoriali ad alto livello di
specializzazione e internazionalizzazione, arrivando a contare, alla fine degli anni
Ottanta, 1.000 aziende calzaturiere e 300 imprese meccano-calzaturiere, per un totale di
16.000 addetti [ibidem]. A partire dal decennio successivo la
traiettoria positiva del distretto calzaturiero si interrompe. In particolare, alcune
aziende del comparto calzaturiero, che avevano rappresentato il fiore all’occhiello
dell’economia territoriale, vengono messe alla prova dalla crescente competizione
internazionale, complice la scarsa capacità degli attori territoriali di elaborare una
strategia comune per lo sviluppo dell’area e la posizione di marginalità del territorio
all’interno della regione metropolitana milanese.
2. Percorsi di coesione sociale
Rispetto al tema della coesione
sociale, le traiettorie dei territori in bilico si differenziano in base alle specifiche
risposte emerse alla transizione postfordista dell’area metropolitana milanese e alle
crisi sistemiche degli ultimi decenni. Con la crisi del regime fordista e la rottura
dell’equilibrio tra competitività e coesione sociale, si assiste a una frammentazione
delle traiettorie dei vari territori che compongono l’arcipelago
metropolitano.
¶{p. 96}
Note
[1] Nella programmazione dei Fondi Strutturali 2000-2006 l’Unione Europea individua tre Obiettivi: O1. promuovere lo sviluppo e l’adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo; O2. sostenere la riconversione socioeconomica delle zone con difficoltà strutturali; O3. sostenere l’adeguamento e l’ammodernamento delle politiche e dei sistemi di istruzione, formazione e occupazione per le regioni escluse dall’Obiettivo 1.
[2] Per un approfondimento si rimanda al capitolo 8 del presente volume.
[3] Articolo disponibile al seguente indirizzo: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/16_maggio_12/pavia-nobile-decaduta-mezzogiorno-lombardo-12754c16-17b2-11e6-aaf6-1f69bf4270d2.shtml (ultimo accesso: 26/5/2022).