La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c2
Nei corsi del duale l’allievo non si è
reso conto che quelli che per lui spesso erano semplicemente «prof» erano in realtà
professionisti provenienti da organizzazioni (e in taluni casi anche da imprese) differenti,
una vera e propria presa in carico multiprofessionale che gli hanno permesso un percorso
«complesso», fatto di una pluralità di opportunità ricomposte sulle sue specifiche esigenze.
In questo caso non c’è stato l’inciampo che ha reso difficile il programma Youth
Guarantee per cui il firmatario del patto di servizio che prevedeva una
sequenza di azioni (dall’orientamento specialistico o di secondo livello, alla formazione
mirata all’inserimento lavorativo, al reinserimento di giovani 15-18enni in percorsi
formativi, all’accompagnamento al lavoro, fino all’apprendistato o al tirocinio) avrebbe
dovuto sapere in modo autonomo individuare di volta in volta il nuovo professionista a cui
affidarsi, districandosi tra le molte offerte e tenendo conto dei tempi diversi di
finanziamento e attuazione di ciascuna di esse. Un percorso a ostacoli che presupponeva
perseveranza e autonomia di comportamento che sono per definizione due competenze
socioemotive poco presenti nei soggetti più difficili e a bassa scolarità che si affacciano
al lavoro.
¶{p. 96}
E non è peraltro un caso se, proprio là
dove si è più consolidato il duale nel rapporto con le imprese, anche le competenze
socioemotive sono divenute più centrali nella programmazione delle istituzioni formative. Un
cambiamento molto rilevante che la ricerca di Daniele Marini analizza in profondità ma che
ha trovato terreno fertile in un sistema consolidato, robusto in tutte le sue parti, capace
di gestire nello stesso tempo e talvolta nella stessa classe allievi in impresa e allievi in
classi «normali», allievi tout court e allievi lavoratori perché
titolari di contratto di apprendistato: è questo il compito fondamentale del centro di
formazione. Il salto in avanti è stato possibile in quanto si è innestato su questo sistema
storico, rodato in molte delle sue parti, dotato di rapporti già consolidati con le imprese
e il territorio, con quasi tutti gli enti di formazione che già operavano anche come APL, ma
soprattutto perché erano presenti strutture dotate di professionisti della formazione, di
aule, di laboratori qualificati, e di molta esperienza, con una tradizione riconosciuta
relativa a un’offerta legata a tutta la filiera formativa, unica condizione che permette
alle aziende di scegliere in un menu ampio di possibilità. Non dobbiamo dimenticare che il
duale non è per tutti ma, soprattutto quando parliamo di ragazzi minori o molto giovani,
sappiamo che è necessario potere offrire in complementarietà ambedue le possibilità, il
corso tradizionale e l’alternanza vera e propria con l’apporto formativo diretto da parte
delle imprese. Non sempre si possono costituire classi intere composte da alunni assunti in
impresa, la multiprofessionalità propria delle istituzioni formative permette nei suoi corsi
la gestione contemporanea di curvature ed esigenze diverse. La presenza consolidata e
capillare dell’intera filiera verticale è la prima condizione perché si possa garantire
anche un’offerta più elastica, più specifica, personalizzata, immediata nella risposta alle
esigenze dei ragazzi e delle imprese come quella consentita dal duale. Anche per questo
nelle regioni in cui il sistema è consolidato, la modalità «impresa simulata» non ha
praticamente avuto diritto di cittadinanza e la modalità impresa formativa e/o impresa vera
e propria è stata largamente maggioritaria.¶{p. 97}
«Duale» e IeFP non sono entità diverse,
il «duale» è possibile in quanto esiste la IeFP organizzata in tutte le parti della sua
filiera, ne è uno sviluppo, un complemento naturale. Anche l’auspicata apertura del «duale»
ai disoccupati adulti presuppone infatti strutture, laboratori attrezzati e professionalità,
l’attenzione al fatto che questa tipologia di offerta è una parte (molto rilevante e
innovativa) di un sistema complesso che va consolidato in tutte le sue parti.
Nella maggior parte delle regioni del
Centro-Sud resta invece negata ai ragazzi l’opportunità di formarsi in questi percorsi
caratterizzati dal «fare», dalla laborialità, dalla finalizzazione al lavoro, dalla
personalizzazione, ma anche, e forse soprattutto, dalla vocazionalità propria di una presa
in carico molto legata alla forte distintività che caratterizza i grandi enti nazionali di
formazione. Un requisito quest’ultimo non irrilevante per controbilanciare, soprattutto con
gli allievi più difficili, la perdita di significato degli apprendimenti che è una delle
ragioni principali che rendono problematici e di insuccesso i percorsi scolastici dei
ragazzi. Mentre nel Nord è molto presente l’offerta delle istituzioni formative accreditate
(i CFP), nel Centro-Sud queste sono presenti in modo sporadico e insufficiente, ed è di gran
lunga maggioritaria l’offerta degli istituti professionali, in particolare nella forma della
sussidiarietà integrativa. Una situazione che, soprattutto in queste regioni, ha contribuito
a determinare la sostanziale assenza di regolamentazione regionale. In molte regioni del Sud
il sistema, nella sua parte delle istituzioni formative (CFP), quelle più specializzate e
con risultati migliori, anche per la loro identità storica di tipo vocazionale, per lo più
legata al mondo cattolico (salesiani, Acli, giuseppini del Murialdo ecc.), nel corso degli
ultimi anni si è poco per volta destrutturato, nonostante rappresenti la parte più sana del
sistema di formazione professionale, non coinvolta negli scandali che hanno riempito le
cronache degli ultimi anni per i corsi «fantasma» finanziati in quegli stessi territori. In
alcune regioni il (sotto)sistema delle istituzioni formative (CFP) è ora del tutto azzerato,
in altre alcuni degli operatori tradizionalmente più specializzati hanno avuto vita sempre
più difficile tanto da giungere al fallimento e alla chiusura ¶{p. 98}dei
loro centri. Si è prodotta una situazione di «deserto» che occorrerebbe fronteggiare con
azioni forti: riprendere gli investimenti, attingere alle professionalità nei sistemi che le
hanno maturate, infrastrutturare (sedi e laboratori qualificati) per avere le condizioni di
base su cui poter fare leva per sviluppare nuove attività.
Non sempre in passato si è trattato di
scelte esplicite, di politiche dichiarate in atti formali; le difficoltà non hanno peraltro
a che fare con la scarsità delle risorse, che sono nettamente (e di molto) superiori proprio
nelle regioni del Sud. In molti casi è stata più rilevante l’inefficienza della
programmazione, la debolezza delle strutture regionali, quando non direttamente la scelta di
indirizzare le risorse su soggetti non necessariamente particolarmente qualificati o su
altri segmenti del sistema di formazione professionale. Effettivamente, mentre nelle regioni
del Nord la parte maggioritaria delle risorse pubbliche regionali ed europee per la
formazione professionale si concentra sulla IeFP, sui giovani da inserire nel lavoro, sullo
snodo della transizione al lavoro, nelle regioni meridionali sono prevalenti i corsi non
ordinamentali di specializzazione professionale rivolti a una platea di disoccupati più
adulta (necessari ma non sufficienti per una completa infrastrutturazione formativa del
territorio).
La differenziazione tra Nord e
Centro-Sud nell’offerta di IeFP, e più in generale di politiche del lavoro, dipende da un
complesso di responsabilità, di inadempienze attribuibili tanto alle regioni quanto allo
Stato: le peculiari condizioni di operatività conseguenti alle scelte che nel tempo ciascuna
regione ha adottato, l’esercizio (o non-esercizio, in alcuni casi) della competenza
esclusiva in materia assegnata dalla Costituzione, nonché il rispetto o meno dei livelli
essenziali delle prestazioni fissati quale condizione di omogeneità a livello nazionale (cui
corrisponde, dal lato dello Stato, un pressoché inesistente accertamento della loro
applicazione).
La Costituzione attribuisce infatti allo
Stato la competenza di dettare anche per il sistema di Istruzione e Formazione Professionale
principi, regole e condizioni di unitarietà, in primis i LEP (Livelli
essenziali delle prestazioni). Le ina¶{p. 99}dempienze di alcune regioni,
lasciate negli anni crescere dall’assenza di controllo/accompagnamento statale sono le
principali cause del molto elevato grado di incoerenza tra i sistemi territoriali e i
principi di unitarietà stabiliti a livello nazionale. Le differenze sono evidenti
soprattutto rispetto al numero e alla tipologia di allievi iscritti, alle risorse impiegate,
alle regole utilizzate e ai risultati conseguiti (numero di giovani qualificati o inseriti
nel lavoro). Una disuguaglianza di opportunità resa possibile anche dalla sostanziale
assenza delle politiche statali. Un ruolo centrale è stato assunto per la regolamentazione,
dalla Conferenza Stato-Regioni. Tra le regioni si è sviluppata concorrenza sui criteri di
riparto delle risorse statali che poco per volta hanno premiato le regioni più efficienti,
valutando soprattutto i qualificati vs gli iscritti o le coorti della
popolazione in età formativa. Una scelta nata per rendere più efficiente il sistema che
però, reiterandosi e ingigantendosi nel tempo, senza significativi correttivi, fa «piovere
sul bagnato» e comunque non è controbilanciata con aiuti o azioni di sostegno per chi
decidesse di ripartire e di strutturare un nuovo sistema. L’Inapp ha meritoriamente prodotto
ogni anno interessanti report sul tema ma, a fronte delle evidenti disuguaglianze di
opportunità per i giovani e per il sistema produttivo, nessuno a livello centrale si è
strutturato per segnalare caveat o per esercitare poteri sostitutivi
nelle regioni inadempienti. L’impressione è che non si voglia vedere l’evidenza, sia perché
è sempre molto delicato essere invasivi in una competenza esclusiva di altri, sia perché
sono necessarie competenze e conoscenze, sia infine perché i ministeri sono spaventati dai
possibili costi di un intervento centrale, sostitutivo in una regione inadempiente. Anche
tenendo conto di quanto previsto dal PNRR, in assenza di una chiara assunzione di
responsabilità per il rispetto dei LEP da parte del governo centrale, il timore è che il
divario tra le regioni sia destinato a crescere, nonostante l’ingente quantità di risorse.
Un divario che non è soltanto legato
alla quantità dei giovani che percorrono i diversi canali dell’istruzione superiore quanto
soprattutto alla qualità delle filiere educative proposte, alla loro varietà, al loro legame
con il lavoro, alle ¶{p. 100}caratteristiche dei laboratori, delle
professionalità e delle strutture educative a disposizione. Un divario rispetto al quale la
qualità della programmazione regionale, la sua capacità di regolamentare, valutare,
sostenere, accompagnare, correggere, indirizzare, avviare iniziative di discriminazione
positiva nelle situazioni più difficili, costruire ponti con i sistemi dell’istruzione e del
lavoro ecc. è centrale, ma soprattutto è altrettanto indispensabile la presenza di
un’autorità nazionale che si faccia garante della qualità dei sistemi formativi, sia
rielaborando e rendendo sempre più efficaci i LEP, sia soprattutto valutando quanto avviene
nelle diverse realtà regionali perché dotata della volontà e dei poteri necessari di
intervento quando le situazioni sfuggono al minimo considerato indispensabile. Da questo
punto di vista la recente «sperimentazione duale» è stata un esempio importante perché è
stata gestita, nel rispetto dei ruoli istituzionali e delle competenze delle regioni, con
una cabina di regia istituita in Conferenza Stato-Regioni che ha definito standard di
esecuzione, condizionalità, verifica e seguito passo passo l’attuazione con un importante
sistema di accompagnamento da parte di Anpal Servizi degli atti di programmazione e di
gestione territoriali.
Già nel 2019 Forma (Associazione
nazionale degli enti di formazione professionale) e Cenfop (Coordinamento enti nazionali per
la formazione e l’orientamento professionale) descrivevano la condizione dell’offerta di
IeFP a livello nazionale. Gli evidenti punti di forza documentati rispetto all’istruzione
professionale, confermati dalle percentuali di successo formativo e di inserimento
lavorativo dei giovani, derivano dalla natura inclusiva dei percorsi di IeFP, dalla loro
maggiore flessibilità e capacità di raccordo con la dimensione del lavoro, nonché dalla
tendenza alla verticalizzazione, anche se per ora limitata ai percorsi quadriennali. Accanto
a questi innegabili aspetti, se ne devono però richiamare altri,
che sono ancora di forte criticità. Il primo di questi è la «disomogeneità». Almeno tre sono gli aspetti di questa disomogeneità. La disomogeneità, innanzitutto, geografica dei percorsi formativi che dà vita a un quadro che, come afferma il Censis (2018) è¶{p. 101}troppo differenziato a livello regionale, incapace di offrire pari opportunità a tutti. La seconda è temporale: una disomogeneità che crea destabilizzazione anche nei soggetti operanti per il mancato allineamento temporale nell’inizio dei percorsi formativi rispetto a quello scolastico in molte regioni italiane. La terza permane nei meccanismi di finanziamento: pur essendo intervenuti negli ultimi anni importanti cambiamenti che hanno contribuito a rilanciare un’offerta almeno ricorrente, le erogazioni rimangono instabili e non accenna a risolversi il problema dell’assenza di una visione unitaria dei costi della IeFP, che sconta la difficoltà a definire costi standard validi sul territorio nazionale [...] [5] .
Note
[5] Un sistema di IeFP tra punti di forza e di criticità, 14 maggio 2019.