La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c6
Proprio a riguardo
dell’organicità del sistema di apprendistato duale, è stato recentemente rivolto da
Confindustria Piemonte un interpello all’Ispettorato nazionale del lavoro (INL) in
merito alla possibilità di trasformazione o
¶{p. 208}successione di
contratti di apprendistato, anche in conformità con la normativa sugli incentivi al
lavoro e gli sgravi contributivi. L’INL ha risposto con nota n. 1026 del 23 novembre
2020, confermando che il d.lgs. n. 81/2015 permette la «trasformazione» di un
contratto di apprendistato in un altro solo per il passaggio dal primo al secondo
livello (apprendistato professionalizzante) secondo le indicazioni contenute
all’art. 43, c. 9. Nel merito della stipula di un contratto di apprendistato di alta
formazione e ricerca a seguito del completamento di un apprendistato di primo
livello, l’Ispettorato ha riconosciuto che:
Non si ravvisano, in assenza di esplicite previsioni normative o contrattuali, ragioni ostative alla «successione» di un nuovo contratto di apprendistato, sempreché il piano formativo sia diverso rispetto a quello già portato a termine secondo quanto già chiarito dal Ministero del lavoro, circostanza certamente ravvisabile laddove il nuovo contratto di apprendistato sia finalizzato ad acquisire un titolo di studio ulteriore rispetto a quello già conseguito anche in virtù di un precedente contratto di apprendistato di primo livello.
In altre parole, è sancita la
possibilità, precedentemente ipotizzata solo in dottrina, di costruire una filiera
di apprendistato duale.
Sarebbe però necessario un
passaggio ulteriore che consenta l’integrazione verticale del percorso formativo in
apprendistato con la necessaria semplificazione burocratico-amministrativa, proprio
a partire dall’eliminazione del vincolo di interruzione di un contratto al
conseguimento del titolo per poter accedere al successivo.
In ultimo, è necessario
ricordare che contribuiscono a penalizzare fortemente la diffusione
dell’apprendistato di primo livello (per la qualifica e il diploma professionale, il
diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione
tecnica superiore) anche i vincoli posti dalle norme sulla tutela del lavoro
minorile (ad es. sul lavoro notturno, turni) che, per determinati settori e profili,
non consentono di attuare una piena «dualità» dei percorsi.¶{p. 209}
6.2. Alcune proposte
La prima esigenza attiene alla
riforma di alcuni aspetti del quadro normativo vigente, che limitano
significativamente il potenziale di diffusione del contratto di apprendistato duale.
Occorre innanzitutto procedere
all’estensione dell’apprendistato di primo livello oltre i 25 anni, rendendolo così
accessibile a tutti i lavoratori. Tale esigenza diviene a maggior ragione necessaria
e urgente in considerazione della domanda di riqualificazione professionale che già
sta emergendo e si manifesterà sempre più forte con la ripresa economica e in forza
dell’impulso alla transizione digitale ed ecologica impresso dal PNRR
[46]
.
Sempre sul versante normativo
occorre prevedere una modifica finalizzata a consentire, nell’ambito di vigenza di
un unico contratto di apprendistato (ad es. diploma, poi laurea ecc.), l’attivazione
di più percorsi formativi per il conseguimento di titoli di studio progressivi,
senza l’obbligo, oggi previsto, di chiusura e successiva riapertura di differenti
contratti di apprendistato duale.
L’adozione di tale possibilità
richiederebbe l’adeguamento della durata del contratto di apprendistato in coerenza
con la durata ordinamentale prevista per il conseguimento dei titoli di studio (tra
il primo e il terzo livello e all’interno del terzo livello del contratto di apprendistato)
[47]
.
Il vantaggio derivante dalle
proposte sopra indicate è riconducibile prioritariamente nella riduzione del carico
burocratico, nella semplificazione dei rapporti contrattuali
¶{p. 210}tra apprendista e datore di lavoro e nel consolidamento di
una filiera formativa «duale» verticale (dalla formazione iniziale alla formazione
terziaria).
Sempre sul versante della
revisione del quadro normativo si presenta, in ultimo, l’esigenza di affrontare la
revisione di quei vincoli normativi connessi alla tutela del lavoro minorile che
condizionano la diffusione del contratto di apprendistato di primo livello. Pur
mantenendo, come prima irrinunciabile preoccupazione, la tutela del minore e la
prevenzione di ogni possibile forma di sfruttamento, è senz’altro possibile
introdurre forme di flessibilità delle regole circoscritte a iniziative formative
on the job promosse in ambiti protetti dedicati e
controllati.
Oltre alle proposte di
revisione normativa sopra illustrate, è utile, in ultimo, porre attenzione ai
seguenti fattori funzionali al potenziamento delle azioni a sostegno della
diffusione dell’apprendistato a livello regionale e nazionale:
– riconoscimento di contributi
pubblici a integrazione della retribuzione
dell’apprendista, condizionati al conseguimento dei
risultati di apprendimento. Il quadro normativo vigente ha ridotto
significativamente il costo del lavoro, con particolare riferimento
all’apprendistato di primo livello; se per un verso questo può contribuire ad
incentivare le assunzioni, per l’altro ha reso l’apprendistato meno appetibile per i
giovani (e per le famiglie): il monteore retribuito non ricomprende, infatti, le ore
di formazione presso l’organismo di formazione e riconosce solo il 10% delle ore di
formazione interna all’azienda (i salari risultano, così, quasi dimezzati e troppo
penalizzanti se confrontati con le indennità percepite dai tirocinanti);
– il riconoscimento ai datori
di lavoro di contributi a parziale copertura delle spese del tutor aziendale, a
suggello del pieno riconoscimento della centralità di questa funzione nel processo
formativo.¶{p. 211}
7. Sviluppo formativo delle «soft skills»
7.1. Una dimensione decisiva
Il tema delle soft
skills o competenze trasversali è ormai da tempo al centro
dell’attenzione. È comunemente condiviso che esse rappresentano un fattore decisivo
per la riuscita della persona nell’ambito della propria vita, in quello sociale e in
particolare lavorativo. Basta scorrere velocemente le proposte online dei pacchetti
formativi progettati in rapporto alle competenze più richieste dal mondo del lavoro;
o considerare l’attenzione crescente assegnata a queste dimensioni dalle aziende per
la selezione e lo sviluppo del proprio personale. Per queste ultime diventa sempre
più necessario interrogarsi sulle proprie dinamiche interne e la propria cultura,
per individuare le skill adeguate al contesto, al
team o al ruolo che si intende far ricoprire ai dipendenti.
Si impone progressivamente la necessità di bilanciare le competenze tecniche e
professionali (c.d. hard) con una personalità aperta e
adattabile, che sia compatibile con la specifica strategia e cultura aziendale. Vera
e propria discriminante nella ricerca di candidati con una marcia in più, le
soft skills costituiscono quelle caratteristiche che, se
possedute dal personale interno a ogni livello, accrescono la competitività
dell’impresa. Così nelle job description è ormai frequente
trovare accanto alla voce hard skills (competenze tecniche),
quella relativa alle soft skills.
Secondo lo Stanford Research
Institute International, il 75% del successo di un lavoro a lungo termine dipende
dalla padronanza delle soft skills, contro il 25% delle
competenze tecniche. Secondo un’indagine condotta da Linkedin su 5.000
professionisti nel mondo delle risorse umane e dei manager, tra le tendenze che
influenzeranno il mondo del lavoro all’interno delle aziende nei prossimi anni, le
soft skills saranno determinanti per il 91% degli
intervistati, seguite da flessibilità lavorativa (72%), cultura anti-molestie (71%)
e trasparenza retributiva (53%).
Anche nel mondo della scuola il
tema inizia a fare breccia, seppur ancora in termini ipotetici e di prima di¶{p. 212}scussione
[48]
, rimanendo le pratiche e la cultura didattica ancora saldamente
incentrate sulla componente hard delle conoscenze e competenze
culturali e di indirizzo. Diverso invece il contesto della formazione professionale
e della stessa IeFP, non solo culturalmente più predisposto, ma dove si documentano
già pratiche diffuse che vanno nella direzione di uno sviluppo esplicitamente
dedicato di queste dimensioni. In generale nell’ambito della formazione non trova
accoglienza l’obiezione (fortemente ideologica) della funzionalità delle
soft skills alle logiche produttivistiche del mercato del
lavoro; se ne afferma, per contro, il valore in termini di formazione integrale e di
valorizzazione della persona, in funzione del successo nei diversi ambiti, anche di
vita e sociale.
7.2. Quadro regolamentare
Per il secondo ciclo di
istruzione e formazione, relativamente alle c.d. dimensioni
soft va sottolineata la presenza sul piano normativo e
ordinamentale di alcune condizioni di sistema, in sostanza riconducibili:
– alle competenze chiave per
l’apprendimento permanente
[49]
quale framework e standard rappresentativo di tutti gli esiti di
apprendimento dell’istruzione e dell’IeFP;
– al profilo educativo,
culturale e professionale (PECuP) di cui all’Allegato A al d.lgs. n. 226/2005,
cardine di tutti i quadri degli esiti di apprendimento del secondo ciclo.
Le key competences
costituiscono il riferimento vincolante per la declinazione più specifica
e la codifica degli esiti di
¶{p. 213}apprendimento realizzata
autonomamente dalle istituzioni scolastiche e formative, ossia per la definizione
delle competenze/skills da loro effettivamente sviluppate sul
piano didattico-formativo. Riguardo ad esse va evidenziato che tutte sono
caratterizzate in termini personali e sociali e che alcune lo sono in modo specifico
(competenze personali, sociali e di apprendimento; competenze civiche; competenze
imprenditoriali; competenze in materia di consapevolezza ed espressione culturale).
Ad ogni key competence sono poi connessi gli «atteggiamenti»,
ossia dimensioni per così dire più profonde della persona (fiducia, curiosità,
disponibilità al dialogo critico e costruttivo ecc.), inevitabilmente implicate e
messe in gioco nel loro sviluppo. Di fatto la dimensione degli atteggiamenti è
strettamente connessa a quella delle soft skills.
Note
[46] L’urgenza di un intervento in tal senso è rappresentata dal fatto che essa permetterebbe di ricomprendere tutti i target del programma Gol (Garanzia occupazione lavoratori) promosso nell’ambito del PNRR e per i quali sono previste azioni di upskilling e reskilling che potrebbero così essere svolte in apprendistato.
[47] A tal fine sarebbe sufficiente intervenire al capo V del d.lgs. n. 81/2015, modificandolo in analogia a quanto disposto dall’art. 43, c. 9, che espressamente consente la «trasformazione» del contratto di apprendistato di primo livello in apprendistato professionalizzante; tale previsione dovrebbe essere estesa anche al passaggio tra apprendistato di primo e terzo livello, come pure tra titoli diversi dell’alta formazione.
[48] Così ad es. M. Tiriticco, L’importanza delle soft skills, in «Edscuola», 8 febbraio 2021 (https://www.edscuola.eu/wordpress/?p=141075): «nella scuola di una società democratica e fondata anche e soprattutto sulla formazione del cittadino, le competenze relazionali, le soft skills, dovrebbero costituire obiettivi di comportamento non meno importanti di quelli che riguardano le discipline di apprendimento. Perché, di fatto, competenze professionali e competenze civiche in un paese democratico sono strettamente legate».
[49] Raccomandazione del Consiglio del 22 maggio 2018 (2018/C 189/01).