La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c6
I due aspetti sono
complementari e altrettanto decisivi. Senza l’uno, l’altro rimane inattuabile. Senza
una modalità di attribuzione delle risorse che corrisponda e sostenga una forma
personalizzata di offerta, quest’ultima rimarrebbe nel limbo della teoria. Ma anche
viceversa: senza un quadro di regole che prescriva e ordini, configurandola, una
determina
¶{p. 188}ta modalità di offerta, le risorse, da sole, non
produrrebbero ben poco o nulla.
Sul tema della programmazione
delle risorse si veda il punto successivo, dedicato specificamente a questo aspetto.
Per quanto riguarda invece l’altro aspetto, va osservato che proprio a livello
«ordinamentale» – concernente «il modo con cui un ente o un complesso di enti o di
elementi è ordinato, cioè collocato, disposto, oppure organizzato e regolato nel suo
funzionamento» (Treccani) – è possibile delineare il modello, fissando alcuni
paletti vincolanti su ciò che è essenziale e caratterizzante e lasciando al contempo
ampi margini di flessibilità alle istituzioni per poter offrire risposte formative
adeguate alle specifiche situazioni e ai target di utenza.
Su questo piano si può operare
già da ora con un duplice vantaggio. Il primo riguarda i LEP nazionali fissati dal
capo III del d.lgs. n. 226/2005, che sono stati costruiti – grazie a Dio – secondo
una logica non di regolamentazione stretta, bensì con la preoccupazione di fissare
solo gli elementi minimi necessari e sufficienti, lasciando ampio spazio
all’assunzione di responsabilità da parte degli attori. In una logica, quindi, di
autonomia.
La seconda condizione riguarda
la configurazione e il nuovo assetto degli standard di apprendimento, di cui ai
recenti accordi nazionali
[20]
, che presentano i seguenti aspetti positivi:
– maggiore articolazione degli
indirizzi e possibilità di combinarli, anche al di là del perimetro del profilo di
riferimento;
– forte interconnessione tra
dimensione culturale e dimensione tecnico-professionale (prospettiva STEM;
esplicitazione delle dimensioni di sapere implicate nelle procedure operative)
[21]
.
La leva degli indirizzi
permette di aderire alle specificità dei profili, che presentano continue evoluzioni
ed elementi ¶{p. 189}di trasversalità e contaminazione. Permette,
inoltre, un più immediato raccordo con i profili contrattuali, aspetto decisivo per
la progettazione dei percorsi in apprendistato. Il rapporto non più univoco ed
esclusivo tra indirizzo e profilo rende inoltre più agevole la gestione degli
allievi in sotto-gruppi, anche al di là dell’età anagrafica, con momenti di
apprendimento comuni e sviluppi diversificati (temporali, di contenuto e di modalità
d’aula o in contesto lavorativo, tramite alternanza o apprendistato) per i diversi
gruppi di apprendimento. L’interconnessione tra saperi e dimensioni operative
permette di progettare l’apprendimento culturale non a latere,
ma nella stessa esperienza lavorativa.
Dal punto di vista
normativo-istituzionale non sussistono, dunque, impedimenti ed elementi ostativi a
un’azione di revisione e rilettura complessiva della fisionomia del sistema
dell’offerta di IeFP. Nell’esercizio delle proprie competenze costituzionali in
materia, facendo salvi i suddetti livelli essenziali e le norme generali
dell’istruzione (di fatto già considerate nei LEP del d.lgs. n. 226/2005), le
regioni possono procedere con propria regolamentazione a definire l’assetto della
IeFP, assegnandole una fisionomia che non ricalca quella scolastica, con i connessi
effetti di «ingessatura», ma che è al contrario avanzata e rispondente alle nuove
sfide del contesto socioeconomico.
I freni a tale intervento sono
sia di natura «culturale» (ristrettezza, se non mancanza di
vision), sia riconducibili a presunti vincoli connessi agli
strumenti finanziari di sostegno (soprattutto laddove si fa ricorso a fondi di
origine comunitaria) seppur la stessa programmazione comunitaria ponga il focus
sempre più sul risultato, piuttosto che sui processi. Tali motivazioni evocano
quella inerziale resistenza al cambiamento presente in alcuni ambiti della PA,
ancorati all’immutabilità di categorie, schemi e riferimenti procedurali in uso.
Occorre dunque il forte commitment politico-strategico che ha
permesso ad alcune regioni di avviare già da tempo processi di riforma e di
rielaborazione dei propri modelli, codificando soluzioni che, opportunamente
adeguate, possono essere applicate anche in altri
territori.¶{p. 190}
Per affrontare questo processo
di cambiamento è però necessario che le regioni non si limitino a emanare atti di
natura amministrativa, inserendo (e disperdendo) disposizioni aventi natura
regolamentare in bandi e disposizioni per l’attivazione dei percorsi e
l’assegnazione delle risorse, in assenza di un quadro programmatorio dotato di
sufficiente durata temporale, organicità e visione di sistema
[22]
. È per contro necessario procedere verso una definizione ordinamentale
della IeFP, che sia compiuta e organica, seppure snella ed essenziale, non
ridondante come quella del TU dell’istruzione
[23]
. Abbandonando anche l’impostazione minimalista che affida a semplici
«linee» o «indicazioni» l’emanazione di regole valevoli per tutte le istituzioni del
sistema, scuole comprese (anche se erogata in via sussidiaria, per la IeFP
l’ordinamento di riferimento non è quello statale). Occorre operare a livello di
legge regionale sull’istruzione e formazione raccordata con l’orientamento
permanente e con il sistema di individuazione, validazione e certificazione delle
competenze (IVC), nel quadro più complessivo dei dispositivi normativi (si pensi ad
es. al d.lgs. n. 13/2013) e degli accordi nazionali ormai definiti in materia
[24]
. Anche su questo gli esempi non mancano.
4.3. Soluzioni e proposte
La regolamentazione regionale
deve consentire la predisposizione di «curricoli personalizzati e
verticali», con progressioni anche
trasversali alle diverse annualità e fasce d’età, caratterizzati da un’architettura
modulare che assicura ampia flessibilità, «capitalizzazione» e spendibilità delle
acquisizioni nelle altre filiere dell’istruzione e formazione (secondaria,
terziaria, continua e di specializzazione) e nel lavoro. Ciò permetterebbe alla IeFP
di mantenere il proprio dominio e target di riferimento (DDIF) e al contempo di
¶{p. 191}posizionare in modo più corretto il target della
popolazione adulta. In un modello che prevede soluzioni estremamente personalizzate
e modularizzate, non legate in modo rigido ai blocchi classe e al percorso annuale,
è infatti possibile prevedere, accanto ai percorsi ordinari, «pacchetti» su misura,
finalizzati all’arricchimento, sviluppo o specializzazione delle competenze, per il
completamento del proprio percorso dopo i 18 anni o di formazione continua, in
continuità col percorso professionalizzante precedentemente avviato in DDIF. Si
offrirebbe una soluzione più flessibile e sostenibile di quelle già attuate che
applicano agli adulti gli stessi standard formativi, la stessa durata e tipologia di
percorso previsti per giovani in DDIF.
Tale schema implica una
concezione diversa dell’offerta e del servizio: passare a un modello personalizzato
significa attribuire centralità non solo alla formazione, ma anche ai servizi di
tutoraggio e placement, integrandoli e ripensandoli nella loro
stessa fisionomia e ambito di intervento in una prospettiva di presa in carico della
persona e di «verticalità», anche oltre i tempi dei percorsi del DDIF.
In sintesi (e con riferimento a
quanto già attuato in alcune regioni) si suggeriscono le seguenti piste di lavoro,
percorribili a contesto normativo nazionale vigente:
• superamento dello
schema del gruppo classe. Si tratta di aprire alla possibilità di
organizzare gli studenti in gruppi di apprendimento anche trasversali alle diverse
annualità e fasce d’età, per livelli, interessi, indirizzi di profilo, aree di
competenza ecc. e con apertura anche a target di popolazione extra-DDIF. Questa
soluzione è già vigente nell’ordinamento di IeFP della Regione Lombardia (DGR n.
12550/2013, Allegato A, Indicazioni regionali per l’offerta
formativa, peraltro in via di aggiornamento e revisione), che lascia
alle istituzioni formative ampia autonomia per quanto riguarda la configurazione dei
gruppi di apprendimento, tenendo fermo lo schema del «gruppo classe» solo per le
iscrizioni e ai fini dell’esame conclusivo del percorso, del quadro degli
insegnamenti e di quello orario degli studenti;
• modularization del
percorso. Rappresenta la leva complementare a quanto proposto al
punto precedente. ¶{p. 192}Dal punto di vista dei LEP, l’unica
condizione è quella del rispetto dei monteore complessivi (annuali e triennali)
[25]
che devono essere assicurati agli studenti e l’attivazione delle
«tipologie» di percorso triennale e quadriennale
[26]
. Le soluzioni modulari devono pertanto costituire una sub-articolazione
delle condizioni prescritte come livello essenziale. Va ricordato che ai fini del
computo dello standard minimo orario concorrono anche le determinazioni quantitative
orarie dei crediti formativi riconosciuti;
• quadri orari
flessibili e autonoma definizione degli «insegnamenti». La
definizione dei quadri orari può legittimamente discostarsi dal modello – rigido –
della scuola, dove sono fissati aprioristicamente gli ambiti disciplinari e i
relativi monteore nelle diverse annualità. È possibile disarticolare questi livelli,
prevedendo ad esempio:
– l’autonomia delle
istituzioni:
a) nel
definire gli ambiti (c.d. «materie») di insegnamento, in rapporto alle diverse
variabili delle risorse professionali a disposizione (competenze effettive dei
docenti e degli attori coinvolti nel processo formativo), delle specificità dei
profili da formare e dei curricoli personalizzati. Invece di ricalcare l’attuale
segmentazione disciplinare della scuola, tali ambiti potrebbero inoltre essere
accorpati e configurati in modo ampio, in rapporto ai blocchi di competenza degli
attuali standard nazionali;
b)
nell’attribuire gli specifici monteore agli insegnamenti individuati;
– il vincolo del rispetto di
quote orarie complessive per le macroaree culturale di base e tecnico-professionale
riferite alla durata totale del percorso (ad es. triennalità) e con ampi range di
flessibilità. Questo consentirebbe, ad esempio (ferme restando le suddette quote
complessive), di spostare le percentuali di ore dedicate allo sviluppo delle
dimensioni culturali o di quelle professionali in modo diversificato sia nelle
annualità, sia per i diversi gruppi e curricoli
personalizzati.
¶{p. 193}
Note
[20] Accordo in Conferenza Stato-Regioni del 19 agosto 2019 e Accordo in Conferenza dei Presidenti delle Regioni del 18 dicembre 2019.
[21] Vedi «Nuova professionalità», 3, gennaio-febbraio 2020.
[22] Vedi parte sulla programmazione dell’offerta.
[23] D.lgs. n. 297/1994, TU istruzione.
[24] Accordo in CU del 10 luglio 2014 su apprendimento permanente e Accordo in CU del 20 dicembre 2012 su orientamento permanente.
[25] D.lgs. n. 226/2005, art. 17, c. 1.
[26] Ibidem.