La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c4
• Un sistema di offerta più
flessibile, come sopra tratteggiato, non può che adottare un’ottica e soluzioni di
certificazione di micro-competenze in grado di costruire percorsi formativi
tailor made sulla base delle caratteristiche del discente e del
mercato del lavoro.
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2. Il sistema duale: alcuni modelli
Tra gli strumenti più preziosi
introdotti dal sistema duale e orientati al work based learning c’è
l’apprendistato di primo livello, una tipologia di contratto di lavoro che l’allievo può
siglare in qualsiasi annualità di qualsiasi corso di qualifica o diploma. Attraverso
l’attivazione di un contratto di apprendistato formativo l’allievo svolge una parte
della formazione, tipicamente scolastica, direttamente in azienda: queste ore vengono
riconosciute come se fossero svolte in aula in quanto «appartengono» al corso
scolastico, ma sono svolte in un contesto completamente diverso. Chi viene assunto è
formalmente dipendente dell’azienda e il rapporto che si crea con essa è diverso
rispetto allo stage perché c’è la firma di un contratto di lavoro vero e proprio, con
naturalmente un ingaggio più rilevante nell’impresa. Il contratto di apprendistato, che
non è garantito a tutti come lo stage, spinge gli studenti che desiderano attivarlo a
mettersi in gioco, a fare uno di quei famosi scatti in avanti: indipendentemente dal
fatto che l’apprendistato si trasformi successivamente in un contratto a tempo
indeterminato, i ragazzi si preparano all’ingresso professionale nel mondo adulto.
L’apprendistato di primo livello sta
però accusando i colpi della crisi pandemica: le imprese in crisi sono riluttanti ad
attivare i contratti di apprendistato in questo momento storico, lasciando disattesa
l’esigenza di molti ragazzi di sperimentarsi in un vero ambiente lavorativo.
Per fronteggiare questa situazione,
si sono fatti strada modelli in cui formazione e impresa si sovrappongono in un contesto
lavorativo creato ad hoc. I modelli che meglio rispondono
all’esigenza di far fare esperienza ai ragazzi, in una struttura snella e a basso costo
sono la company academy e l’impresa formativa. In entrambi i
modelli, il centro di formazione professionale diventa anche luogo di lavoro e di
produzione ed è per questo che deve esser capace, innanzitutto, di svincolarsi dagli
orari standard di lezione e rimanere aperto per accogliere le esigenze di tutti,
in primis delle imprese.¶{p. 147}
Le company
academy si rifanno ai modelli che nel recente passato hanno fatto storia,
come la Scuola Allievi Fiat, e vedono gli allievi assunti in apprendistato di primo
livello dall’azienda partner, che li forma già come dipendenti con l’obiettivo di
costruire un rapporto lavorativo di lunga durata. Il progetto definisce un tipo di
alleanza tra istituzione formativa e impresa connotata da particolare sensibilità nei
confronti delle persone e delle comunità, che supera la concezione individualistica del
lavoro e conferisce sostanza e profondità all’opera mirata alla formazione e
valorizzazione delle risorse umane.
Nell’impresa formativa non
simulata, invece, gli allievi frequentano le lezioni in
classe/laboratorio ma si recano in un’impresa formativa per svolgere la professione in
un vero contesto lavorativo. L’impresa formativa è di fatto un’impresa vera e propria
inserita nel centro di formazione, che ha l’obiettivo di «piegare» il percorso di
formazione per renderlo sempre più vicino alla realtà produttiva. In quest’ottica, le
attività formative sono orientate dall’impresa stessa (e non viceversa) e l’impresa
formativa diventa sia il laboratorio in cui sperimentarsi sia il luogo di produzione dei
servizi. Gli obiettivi dell’impresa formativa vengono definiti in accordo con i
formatori, così come gli obiettivi del progetto formativo vengono definiti assieme a chi
gestisce l’impresa.
Entrambi i modelli riescono a essere
vincenti perché colgono le opportunità offerte dal sistema duale e
innovano l’idea di formazione professionale guardando al successo occupazionale solo
come a uno tra gli obiettivi da raggiungere: diventano prioritari la crescita e
l’affermazione dei giovani come individui attivi nella società e, in questo processo, si
rivela indispensabile il dialogo tra l’ente di formazione professionale, le imprese e le
istituzioni.
Tema di cruciale importanza per gli
enti formativi e le aziende partner si conferma l’importanza di formare alle competenze
trasversali, la cui mancata acquisizione è spesso alla base di quelle criticità che in
un ambiente di lavoro «normale» favoriscono l’interruzione del contratto.
Con l’apprendistato di primo
livello, l’ente di formazione professionale assume un ruolo di intermediario tra
¶{p. 148}il giovane e l’impresa, assume la natura di «agente per la
formazione e il lavoro» e rimane in costante contatto con i riferimenti dell’azienda, ma
anche con le ragazze e i ragazzi per i quali resta un’importante figura di riferimento.
In questa nuova visione di agenti di formazione, entra in gioco il profilo del tutor,
figura chiave dell’ente formativo, «ponte» tra l’impresa e l’allievo/lavoratore al fine
di promuovere le persone che devono essere collocate, nel rispetto delle esigenze
dell’azienda.
Gli enti di formazione professionale
stanno trasformando la loro identità da soggetti formatori, capaci di contrastare
l’abbandono scolastico e di consolidare specializzazioni professionali, a veri e propri
attori di «politiche attive del lavoro». In questa prospettiva devono essere in grado di
accrescere le loro competenze in tema di accoglienza (per offrire
nuove opportunità non solo ai giovani, ma a tutti coloro che necessitano di azioni di
inserimento lavorativo) e accompagnamento (fino all’inserimento
lavorativo con l’obiettivo di consolidarne le competenze), per divenire agenti
di formazione (formare l’abilità di sapere agire, di strutturare un
percorso e una progettualità di vita) che creano reti con altre realtà territoriali
interessate a sviluppare sinergie formative.
Sarà dunque fondamentale per gli
agenti di formazione presidiare filiere diverse e inserirsi in modo efficiente anche nei
meccanismi sempre più indispensabili di economia circolare, per affrontare i momenti di
crisi, da considerarsi ormai come elemento strutturale della società. In questo
scenario, la sovrapposizione di formazione professionale, servizi al lavoro e impresa
possono generare piccoli distretti di produzione di servizi con una prevalente vocazione
formativa che, in un unico contesto, potranno generare terreno fertile per i giovani
alla ricerca del loro primo lavoro, così come per gli adulti in cerca di ricollocazione.
Quella appena descritta è una
trasformazione utile anche a migliorare le performance in chiave europea per rispondere
alle raccomandazioni EU che chiedono alla formazione professionale di garantire l’82% di
inserimenti lavorativi a tre anni dalla qualifica, il 60% degli allievi coinvolti in
¶{p. 149}apprendistati formativi e l’8% di mobilità all’estero. Un
approccio, questo, che varca gli orizzonti territoriali e che dovrà essere supportato
attraverso azioni volte a promuovere innovazione, creatività e resilienza: sarà
fondamentale nel prossimo futuro accrescere le competenze internazionali degli enti di
formazione, ad esempio sperimentando unità formative in lingua straniera o accogliendo
nelle sedi giovani volontari in servizio civile.
Il sistema duale risulta quindi
essere vincente e, per darne spessore attraverso l’apprendistato di primo livello, sarà
necessario dare dignità all’apprendistato formativo facendolo diventare l’unica vera
tipologia di contratto di inserimento per acquisire una qualifica e fare esperienza
formativa, disincentivando parallelamente i tirocini extracurriculari che hanno
inflazionato molta della recente programmazione. Sarà anche fondamentale costituire una
piattaforma digitale di match e monitoraggio delle aziende che
assumono gli apprendisti e delle istituzioni formative che praticano il conseguimento
dei rispettivi titoli di studio attraverso l’apprendistato.
I risultati positivi in termini
occupazionali delle esperienze di apprendistato di primo livello inseriti nei percorsi
di formazione professionale per ragazzi, fanno auspicare che questa esperienza possa
essere estesa anche a categorie di maggiore età: in situazioni di
reskilling e upskilling, l’apprendistato
formativo potrebbe diventare l’opportunità per formarsi e lavorare contemporaneamente
anche per chi, giovane o meno giovane, perde il lavoro.
Riteniamo infine che, nel prossimo
futuro, formazione e lavoro debbano convergere generando piccoli distretti di produzione
di servizi con una prevalente vocazione formativa: gli attuali luoghi di formazione
diventeranno gli attivatori di «sistemi di resilienza» che in un unico contesto,
potranno generare terreno fertile non solo per i giovani alla ricerca del loro primo
lavoro, ma anche per ricostruire o elevare le competenze dei cosiddetti «disoccupati
tecnici».