L'educazione socio-emotiva
DOI: 10.1401/9788815370327/c3
Il secondo aspetto
(socializzazione normativa) si articola lungo tre linee:
imposizione, acquisizione e violazione delle regole. Nella classe osservata è indubbio
che l’aspetto normativo sia centrale: esistono regole per imparare, stare seduti, andare
in bagno, parlare, andare in mensa, giocare in cortile, chiedere scusa, tenere in ordine
la classe, avere cura dei propri libri e quaderni, interagire con i compagni e con le
insegnanti, chiedere la parola, comporre la fila per uscire dall’aula. Le regole sono
imposte unilateralmente dalle insegnanti che «sanno» che cosa va fatto e come, ma sono
sempre regole spiegate, di cui si condivide con i {p. 107}bambini «la
buona ragione» della regola, la sua utilità e le sue finalità. Questo aspetto normativo
che discende dagli adulti ai bambini non è tuttavia oggetto di negoziazione. È rilevante
secondo le insegnanti che la regola non sia imposta in quanto tale, bensì spiegata e
discussa. Non si urla nei corridoi perché si potrebbero disturbare altre classi; non si
corre per le scale perché ci si potrebbe fare male; si alza la mano per parlare perché
solo con i turni di parola si ascolta l’opinione altrui e la si può discutere. I bambini
quindi recepiscono la regola, ne comprendono il significato e con la reiterazione delle
situazioni in cui la regola trova applicazione, la imparano, facendola propria. Imparano
inoltre ad applicarla in altri contesti e con appropriatezza. È esemplare che nella
classe molte regole non richiedano un vero e proprio intervento delle insegnanti, ma
solo una sorta di memorandum, o operazioni di rinforzo. Si tratta infatti di un processo
di socializzazione normativa iniziato con il primo anno della scuola primaria e di cui
ora al termine del ciclo si raccolgono i frutti. I bambini infatti dimostrano di
possedere ottime capacità di controllo, di autolimitazione e agiscono per lo più in modo
responsabile. La violazione della regola comporta una sanzione che tuttavia non
corrisponde a una punizione o privazione, bensì a una discussione comune sul significato
della regola e la sua trasgressione. In tal modo i bambini sviluppano una capacità
critica e autocritica notevole, come è evidenziato dall’esperienza del circle
time che viene mensilmente ripetuta per valutare (e valutarsi) rispetto
alle attività del mese
[1]
. La capacità critica dei bambini evidenzia la loro capacità di distinguere
tra ciò che doveva essere fatto e ciò che è stato fatto. Esiste dunque
¶{p. 108}una chiara percezione di ciò che è l’ideale e ciò che è il
reale. La punizione quindi è sempre un’attività a sua volta educativa e rieducativa, il
cui obiettivo è lo sviluppo di una maggiore consapevolezza. Di grande rilevanza
educativa il metodo che incoraggia i bambini a essere autocritici e riflessivi e a dare
un giudizio su se stessi e il proprio operato. Si è osservato spesso un maggiore rigore
dei bambini verso se stessi che non verso i compagni, nei confronti dei quali si è
spesso indulgenti. Nel momento in cui ci si deve esprimere sull’attività svolta da
altri, i giudizi dei bambini tendono a essere per lo più incoraggianti, anche quando
vengono mosse delle critiche; i toni sono educati e rassicuranti; non c’è spazio per
l’accusa ma solo per osservazioni costruttive espresse con modi garbati. Si può quindi
concludere che nella classe siano state acquisite una capacità critica (che riguarda la
correttezza dell’operato dal punto di vista formale), una capacità relazionale (che
riguarda la capacità di interazione con gli altri anche quando ci si trova in un
confronto) e una capacità empatica (che riguarda la motivazione a migliorare che i
bambini mettono in campo verso i compagni).
Infine, l’ultimo aspetto riguarda
gli apprendimenti e si articola lungo due linee: il valore degli
apprendimenti e lo stile didattico per favorirli. Premettiamo che la classe presenta
molte difficoltà sul versante degli apprendimenti curricolari, a causa di condizioni di
svantaggio pregresso e per la scarsità di risorse culturali delle famiglie. La scuola
costituisce l’unica occasione veramente formativa per i bambini. Lo svolgimento del
programma curricolare è associato, da parte delle insegnanti, a un messaggio educativo:
nella loro prospettiva l’apprendimento, per quanto misurabile attraverso voti e giudizi,
è primariamente un processo individuale, in cui deve essere valorizzata la cumulatività
delle conoscenze, i dispositivi cognitivi per acquisirle, il metodo e il progresso verso
la padronanza di nozioni, informazioni, dati, abilità, competenze. Per questo gli
insegnamenti sono differenziati, per gruppi di bambini e talora per singolo bambino,
cercando di individuare il metodo più efficace, ma anche innescando processi di
responsabilizzazione e di cooperazione tra pari. Ne deriva un gruppo classe estremamente
coeso e coopera¶{p. 109}tivo. L’insuccesso non è motivo di discredito
tra i pari ma di sostegno reciproco, la competizione è modesta.
La didattica, che fa da sponda a
questa visione, viene svolta da entrambe le insegnanti in modo tradizionale: lezioni
frontali, lavori a gruppi, uso della lavagna tradizionale, uso dei libri di testo. Viene
però rivolta particolare attenzione ai modi in cui gli apprendimenti possono realizzarsi
ed essere favoriti. Riprendendo la classificazione di Besozzi [2010], gli apprendimenti
vengono veicolati sì attraverso un approccio tradizionale, ma favoriti attraverso nuovi
processi della mente (di esplorazione, di memorizzazione, di associazione) e attraverso
saperi «circolanti», in cui informazioni e conoscenze sono diffuse in molti ambiti e
situazioni. Se ne ricava una visione degli apprendimenti centrata sulle
capabilities più che sui funzionamenti: ossia, non è al centro
la performance in quanto tale, piuttosto è cruciale il darsi obiettivi e raggiungerli;
migliorare lungo una linea immaginaria che è la carriera scolastica; reagire agli
insuccessi con maggiore impegno e determinazione.
La finalità primaria della
relazione educativa in questa classe è costituita dalla cooperazione tra bambini e
dall’orientamento all’inclusione. I bambini, che sentono in modo forte la propria
appartenenza a una micro-comunità (la loro classe), mostrano livelli di responsabilità
superiori alla media dell’età: questo è l’esito di un percorso educativo di cinque anni,
in cui la stabilità del gruppo e delle insegnanti hanno contribuito a costruire le
identità dei bambini e le loro capacità di agency. I bambini della
classe, pur presentando quindi livelli di responsabilità e autonomia notevoli, restano
pienamente bambini, non vi è traccia di elementi di adultizzazione.
5. Le competenze degli alunni
Dopo aver tracciato il profilo
generale della scuola, degli alunni e del clima di classe, è ora il momento di passare a
osservare le competenze socio-emotive dei bambini in azione. Le competenze osservate
sono state le seguenti: ¶{p. 110}cooperazione, resistenza allo stress,
perseveranza e responsabilità, creatività, socievolezza. Ogni competenza ha avuto modo
di manifestarsi singolarmente ma più frequentemente sono state osservate associazioni
tra competenze, con esiti di rinforzo reciproco. In particolare questo è avvenuto tra:
– creatività e cooperazione;
– resistenza allo stress e
cooperazione;
– perseveranza/responsabilità e
cooperazione;
– socievolezza e cooperazione.
Si evince che quindi la competenza
cooperazione costituisca la cifra distintiva di questo gruppo
classe. Una competenza favorita in modo esplicito dalle insegnanti che prevedono momenti
di lavoro a gruppi, sollecitano il confronto e l’aiuto tra pari, premiano gli esiti
positivi di attività svolte in gruppo. Questo approccio educativo trova applicazione sia
nelle attività didattiche, sia nei momenti extradidattici (mensa, ricreazione, gioco).
La cooperazione non annulla la competizione tra pari ma prevale sempre la dimensione
dell’aiuto, l’individuo cede il passo al gruppo.
Il clima di classe ha condotto i
bambini a sviluppare anche autonomamente la spinta alla collaborazione, che si declina
in due diversi modi: collaborazione come lavoro di gruppo finalizzato esplicitamente a
un risultato (in risposta quindi a un mandato dell’insegnante rispetto al quale i
bambini propongono il lavoro a gruppi, o anche solo con un compagno, e con una capacità
di adattamento in qualsiasi gruppo e con qualsiasi compagno); ma anche collaborazione
come sostegno e aiuto nei momenti di difficoltà, spesso in modo spontaneo, senza che
questa disponibilità sia richiesta o incoraggiata dalle insegnanti. Ha svolto un ruolo
fondamentale in questo processo di consolidamento della cooperazione come metodo di
lavoro, di studio e di relazione lo stile educativo delle insegnanti che si colloca sul
tipo «democratico» [Lewin, Lippitt e White 1939], pur con una forte presenza
dell’autorevolezza delle figure docenti. La cooperazione ha raggiunto il consolidamento,
osservabile nelle dinamiche di apprendimento e di relazione in aula, attraverso tre
fasi, cronologicamente e analiticamente distinte: «sperimentazione della collaborazione»
(su indicazione delle ¶{p. 111}docenti che stimolano i bambini ad
adottarla), poi divenuta «prassi della collaborazione» (ossia routine adottata dagli
stessi bambini senza direttive da parte delle insegnanti, ma in ottemperanza a
un’indicazione comunque precedente; quindi in questa fase i bambini accettano di buon
grado e realizzano spontaneamente la modalità cooperativa, ma prevalentemente perché
intuiscono che questo sia atteso da loro); e infine «preferenza per la cooperazione»,
quando sono i bambini stessi, con la propria agency, a scegliere la
cooperazione come metodo più efficace, più soddisfacente, più efficiente. Questo ultimo
passaggio richiede una notevole capacità di riflessione e di metacognizione (altra
competenza annoverata tra le compound skills nel modello delle
Big Five), nonché la capacità di scegliere tra alternative
possibili e valutarne l’impatto.
In questo senso la cooperazione si
salda alla perseveranza e responsabilità, le migliora, le rende
maggiormente efficaci. I bambini ottengono risultati migliori lavorando insieme, e
riescono a farlo in gruppi diversi, il che alimenta la loro autostima e il senso di
autoefficacia (altra compound skill). La perseveranza trova un
elemento di rinforzo nel gruppo, che impedisce di «mollare». Il gruppo è una risorsa,
sia perché ci si appoggia ad esso, pur dando ciascuno il proprio contributo; sia perché
è una relazione alla pari in cui vige democraticamente una condizione di assoluta parità
e dove si valorizzano le competenze e qualità di ciascuno. I bambini in gruppo lavorano
meglio, raggiungono risultati migliori, portano a termine le consegne. Il gruppo
richiede responsabilità perché nel gruppo ognuno ha un ruolo: è per questo che i bambini
non solo accettano la divisione degli incarichi mensili, ma anche la valutazione altrui
e possono esprimere la propria (ne è ancora un esempio la pratica del circle
time che prevede un momento di confronto tra pari sullo svolgimento dei
compiti assegnati). La responsabilità si manifesta poi oltre l’ambiente didattico in
senso stretto. I bambini sanno autolimitarsi anche nel gioco e negli altri momenti
ludici, sono pochi e circoscritti gli interventi delle insegnanti; essi comprendono
nella maggior parte dei casi il rapporto causale che lega gli eventi (se tiro troppo
forte il ¶{p. 112}pallone posso fare male a un compagno; se salgo sulla
sedia posso cadere; se non ripasso la spiegazione di geometria non passerò il compito in
classe).
Questi aspetti evidenziano però un
effetto collaterale, ossia la mancanza o scarsità di autonomia. I bambini infatti si
appoggiano talora eccessivamente al gruppo; questo deprime la loro individualità, la
capacità di iniziativa autonoma. Il gruppo diventa la loro identità che spesso si
sovrappone e annulla quella individuale. Specialmente per bambini con condizioni di
fragilità e svantaggio particolarmente marcate il gruppo è la risorsa indispensabile per
il métier d’élève. Anche senza che siano stati osservati leader
naturali nei gruppi, è indubbio che alcuni bambini si collochino in una posizione di
seconda fila, trainati da compagni più determinati e intraprendenti.
Le osservazioni hanno inoltre
consegnato un altro elemento interessante: la competenza capacità a
cooperare risulta essere particolarmente utile nelle occasioni di
stress. È infatti in queste situazioni che la cooperazione
diventa palesemente una risorsa. Le situazioni di stress osservate in aula riguardano
principalmente tre ambiti: stress da prestazione, stress da carico emotivo
extrascolastico, stress da conflitto con i pari. Nel primo caso i bambini sperimentano
una situazione ansiogena di fronte a compiti in classe e verifiche, sia perché temono il
giudizio delle insegnanti (espresso non tanto nel voto ma nella valutazione positiva o
negativa dell’insegnante, cui deriva l’apprezzamento o la critica verso il proprio
lavoro e il metodo di studio adottato), sia dei genitori (che pur non essendo
particolarmente esigenti e presenti nella vita scolastica dei figli hanno comunque
aspettative). La cooperazione con i pari, in termini di aiuto reciproco nello studio
(talora anche previsto in aula in modo esplicito con affiancamenti) e confronto nel
metodo riduce lo stress dei bambini e li pone in condizioni ottimali per affrontare
test, interrogazioni e verifiche. Le situazioni di stress da carico emotivo sono
riconducibili al profilo delle famiglie: fratrie affollate e sovraccarico di cura sugli
adulti (le madri in particolare), con processi di delega ai figli maggiori rispetto ai
minori (e nella classe osservata non sono rari i casi in cui
¶{p. 113}i
bambini siano gravati da compiti di cura e responsabilità familiari); ma anche fragilità
economica da cui esitano gravi conseguenze per i nuclei (perdita della casa, intervento
dei Servizi, trasferimento in comunità alloggio) e anche per i bambini che mostrano in
alcuni casi anche segni di regresso sia cognitivo, sia relazionale rispetto all’età e
rispetto alla situazione antecedente all’evento spiazzante della biografia familiare. I
bambini condividono il loro vissuto esperienziale con i pari e con le insegnanti, in
quanto considerano la classe l’unico luogo rassicurante e non soggetto a mutamenti
improvvisi. Infine, le situazioni di stress da conflitto tra pari: esse sono state rare
all’interno della classe, proprio in ragione dell’elevata coesione del gruppo. Ma quando
esse si sono verificate (in un’occasione durante l’attività sportiva tra squadre
contrapposte; in un secondo caso in un’interazione in classe tra compagni, durante un
laboratorio che simulava il confronto tra pari su un tema specifico), la propensione
alla cooperazione ha neutralizzato o fortemente ridotto lo stress individuale.
Note
[1] Il circle time è un’attività che consiste nella discussione aperta tra bambini con la mediazione delle insegnanti. Tutti gli alunni sono seduti per terra in cerchio, ogni bambino deve rendicontare agli altri in merito all’attività mensile assegnata (raccogliere i tappi di plastica, ordinare i quaderni delle ricerche, misurare la temperatura esterna sul davanzale, curare la raccolta differenziata, ecc.). I compagni esprimono, argomentando, una valutazione sull’attività degli altri e si giunge a una decisione condivisa (se l’attività sia stata svolta bene, male o se possa essere migliorata).