La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c11
In generale è abbastanza deprimente
riconoscere che la sociologia non ha capito molto di quanto stava succedendo. La crisi
ha preso i più alla sprovvista: si era creato troppo disordine, si poteva capire che
sarebbe potuto arrivare qualcuno che mettesse ordine nel caos, anzi, forse era
addirittura necessario che irrompesse sulla scena qualcuno capace di mettere ordine, e
poi, ristabilito l’ordine, si sarebbe potuto riprendere il corso normale della vita
sociale. Così la pensavano in molti e probabilmente anche molti sociologi. Anche Weber
tratteggiando la figura del capo carismatico da un lato ne auspicava la comparsa, ma
dall’altro rivendicava la centralità della funzione del Parlamento. Weber fu quindi
favorevole all’ipotesi di un regime presidenziale in quanto temeva l’effetto devastante
dell’instabilità politica sulla democrazia parlamentare in un sistema preda di
un’eccessiva frammentazione fra i partiti e le
¶{p. 249}fazioni al loro
interno. Forse, di fronte agli effetti che avrebbe prodotto in seguito il combinato
disposto degli articoli 48 e 53 della Costituzione weimariana (rispettivamente sulla
dichiarazione dello stato di emergenza e sui poteri del presidente di nominare e
revocare il capo del governo) avrebbe rivisto la sua posizione
[10]
. Sulla presenza/assenza della figura di Weber nella sociologia weimariana
avrò modo di tornare in seguito.
Che cosa i sociologi di allora non
hanno saputo cogliere o lo hanno colto solo in modo inadeguato? Per prima cosa, non
hanno fatto un’analisi convincente delle cause scatenanti della Prima guerra mondiale e
delle cause della sconfitta del Reich guglielmino. Non disponevano di una teoria capace
di spiegare il sistema delle relazioni internazionali e la minaccia che per l’equilibrio
di questo sistema rappresentava la potenza crescente, economica e militare, della
Germania. Bismarck era stato più prudente nell’evitare di doversi muovere su un doppio
fronte occidentale e orientale, verso la Russia da un lato e verso Francia e Inghilterra
dall’altro. Max Weber si era espresso in modo inequivocabile e determinato contro il
programma di potenziamento della flotta, cioè del riarmo della marina militare che
avrebbe suscitato allarme e apprensione da parte inglese e americana. Molti
intellettuali, ma anche molti sociologi, allora non avevano gli strumenti per capire che
la Germania era destinata alla sconfitta se avesse aspirato ad una posizione egemone in
Europa mettendosi contro tutti gli altri. Al contrario, vedevano la Germania come
vittima del gioco delle grandi potenze che non permettevano che essa salisse
¶{p. 250}al loro rango, rivendicando un proprio
Lebensraum. Nella secolare diatriba tra gli studiosi della
politica tra coloro che sostengono il primato della politica estera e coloro che vedono
anche le relazioni esterne come riflesso dei rapporti di poteri all’interno, i
sociologi, quasi senza rendersene conto, propendevano allora, e temo propendano ancor
oggi, per il primato della politica interna. Anche in questo caso, allora come oggi, la
frammentazione delle specializzazioni disciplinari fa perdere di vista le
interdipendenze.
È inoltre molto probabile che, come
molti altri intellettuali, anche molti sociologi aderissero alla leggenda della
sconfitta come «pugnalata alle spalle» dovuta all’alleanza tra l’opposizione interna (di
una parte della sinistra che guardava con simpatia alla rivoluzione comunista in
Russia), la «cospirazione ebraica» e le potenze straniere. La costruzione ideologica di
un «capro espiatorio» ha sicuramente impedito una visione adeguata delle cause e,
soprattutto, delle responsabilità della classe dirigente tedesca nella fase precedente
la guerra
[11]
.
In secondo luogo, la mancata
attribuzione della sconfitta alla politica imperiale perseguita dall’alleanza tra
l’aristocrazia prussiana e la borghesia industriale e finanziaria prosperata all’ombra
dello Stato, ha impedito di cogliere fino in fondo gli effetti sul ricompattamento,
nonostante la sconfitta, della vecchia classe dirigente guglielmina di fronte alla
minaccia rivoluzionaria, alimentata dall’esempio della rivoluzione d’ottobre in Russia.
In particolare, lo straordinario sviluppo industriale che era avvenuto nei decenni a
cavallo del cambio di secolo era stato indotto in larga misura dalle spese militari e
dalle spese per la costruzione delle grandi infrastrutture ferroviarie. Lo sviluppo era
promosso dall’alto, dallo Stato, sigillando una convergenza di interessi tra il ceto
degli industriali e il ceto dei militari e degli alti burocrati.
In terzo luogo, vi era scarsa
consapevolezza che il brusco passaggio alla repubblica non avrebbe consentito
un’ordinata e graduale costruzione del consenso sulle regole costituzionali
¶{p. 251}tra le più importanti correnti politiche dell’epoca, condizione
indispensabile per il funzionamento di una democrazia. L’estrema destra radicale, ma
anche quella conservatrice erano del tutto estranee politicamente oltre che
culturalmente all’ordinamento repubblicano e anche il centro cattolico non era
predisposto ad accogliere con convinzione il passaggio ad un regime democratico.
Restavano al sostegno della Costituzione weimariana i residui del liberalismo tedesco
(che erano stati sconfitti nel 1848) e i socialdemocratici che avevano appena consumato
la rottura con la componente rivoluzionaria e comunista che guardava con grandi
aspettative al modello della rivoluzione russa.
In quarto luogo, non vi era diffusa
consapevolezza del pericolo che le istituzioni democratiche corrono quando lo Stato non
riesce efficacemente a imporre il monopolio della violenza legittima. Molte formazioni
paramilitari composte da veterani erano rimaste attive dopo la ritirata e lo
scioglimento dell’esercito e venivano usate per esercitare minacce e vendette politiche,
spesso contro analoghe formazioni rivoluzionarie dell’estrema sinistra. Due militanti
intellettuali e simboli del movimento operaio, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht che
avevano organizzato a Berlino nel gennaio del 1919 la Lega degli Spartachisti che
avrebbe dovuto nei loro intenti accendere la miccia della rivoluzione, furono catturati
e uccisi da formazioni irregolari paramilitari di destra con la connivenza e
probabilmente la complicità dei socialdemocratici allora al governo. Come spesso succede
nel periodo immediatamente successivo a un conflitto militare, lo Stato non dispone di
strumenti efficaci per imporre il monopolio della violenza, l’uso delle armi non cessa
con la firma di un trattato di pace.
4. Assenza, presenza, palese o nascosta, del pensiero weberiano
A ben vedere, se i sociologi
weimariani fossero stati attenti lettori e studiosi dell’opera di Weber (il quale, come
già ricordato, fece appena in tempo a collaborare ai lavori preparatori della
Costituzione), forse avrebbero potuto rendersi ¶{p. 252}meglio conto di
quanto stava succedendo. Weber aveva ben capito che il perseguimento dell’interesse
nazionale doveva tener conto del contesto internazionale
[12]
, aveva altrettanto ben capito in quale direzione si sarebbe sviluppata la
rivoluzione russa (vedi, la conferenza sul socialismo)
[13]
, era ben consapevole che le costituzioni democratiche devono prevedere
garanzie contro il rischio delle derive demagogiche, anche se auspicava l’emergere di
una leadership carismatica, e sapeva benissimo che un ordinamento istituzionale di tipo
statuale non è in grado di ottenere legittimazione se si dimostra incapace di esercitare
il monopolio della violenza. Dopo la sua morte, la figura di Max entra nell’ombra per
ricomparire solo dopo la Seconda guerra mondiale. Nella Germania weimariana ad aver
esercitato una certa influenza sul dibattito sociologico è stato piuttosto il fratello
Alfred, di quattro anni più giovane, una singolare personalità di economista e
sociologo, capace di contributi significativi sia alla teoria della localizzazione delle
industrie, sia alla sociologia e filosofia della cultura, ma significativamente estraneo
alle contese ideologico-politiche del suo tempo.
Non si può però neppure sostenere
che la lezione weberiana sia rimasta del tutto inascoltata. Mi sembra che valga
ricordare almeno tre piste di indagine e riflessione sociologica non irrilevanti che,
direttamente o indirettamente, sono debitrici dell’insegnamento weberiano.
Una prima pista riguarda il tema
della disuguaglianza sociale. «Le ‘classi’, i ‘ceti’ e i ‘partiti’ costituiscono
precisamente fenomeni di distribuzione della potenza all’interno di una
¶{p. 253}comunità», scrive Weber in un famoso passo di
Economia e società. Un passo che da un lato segnala il debito e
dall’altro lato il distacco dalla concezione marxiana. Vi sono da un lato le classi
formate dalle relazioni asimmetriche di mercato e non intese necessariamente come attori
sociali del mutamento, ma accanto ad esse ci sono i ceti che nascono in epoca
pre-capitalistica, cambiano nel tempo e segnano la distribuzione dell’onore e del
prestigio e poi ci sono i partiti che organizzano interessi e rivendicazioni (materiali
e ideali) in cui la composizione riflette combinazioni variabili di classi e di ceti.
Senza dubbio l’impostazione weberiana ha lasciato traccia in un’opera esemplare nella
storia degli studi sulla stratificazione sociale e cioè nell’opera di Theodor Geiger,
una figura assai significativa nel panorama sociologico weimariano. Geiger è considerato
uno dei sociologi che per primi – almeno in Europa – hanno parlato di disuguaglianza in
termini di stratificazione sociale. Le fratture prodotte dalle disuguaglianze non sono
così nette come postulato dalla teoria marxiana delle classi, nel senso che tra gli
estremi si collocano numerose posizioni intermedie che i soggetti possono occupare, sia
nella successione delle generazioni, sia nell’arco della propria esistenza, dando vita a
processi di mobilità sociale
[14]
.
In questa prospettiva, un filone
importante della sociologia weimariana è l’attenzione all’ascesa degli impiegati, un
ceto/gruppo, in sé piuttosto eterogeneo, che si colloca come terzo elemento tra
borghesia e classe operaia e in quanto tale favorisce l’immagine di una società nello
stesso tempo di massa e di ceto medio. Tra le figure più significative in questa
direzione, oltre a Theodor Geiger, è da ricordare senz’altro Siegfried Kracauer e il suo
tentativo di far rientrare gli impiegati nelle maglie dell’analisi marxiana delle classi
che prevedeva la scomparsa della classe media. La spinta rivoluzionaria del proletariato
si è esaurita di fronte all’ascesa degli impiegati e alla capacità dei sindacati di
incanalare le rivendicazioni e le proteste attraverso la regolamentazione del conflitto
industriale. Kracauer si rende
¶{p. 254}però conto che per cogliere la
novità espressa dalla classe/ceto degli impiegati non ci si può limitare ad osservare la
loro posizione nell’ambito della produzione, ma bisogna studiare i loro gusti, i loro
stili di vita, le loro aspirazioni e non ci si può stupire che quando la loro
collocazione sociale è messa in discussione da una crisi essi possano rivolgersi alle
sirene dei movimenti eversivi di destra.
Note
[10] Sull’interpretazione della concezione weberiana della democrazia plebiscitaria si è aperto un grande dibattito in seguito alla pubblicazione di un celebre saggio di W.J. Mommsen, Max Weber und die deutsche Politik 1890-1920, Tübingen, Mohr, 1959 (trad. it. Max Weber e la politica tedesca, Bologna, Il Mulino, 1993). In questo dibattito la posizione più equilibrata mi sembra quella assunta da R.M. Lepsius, Das Modell der charismatischen Herrschaft und seine Anwendbarkeit auf den ‘Führerstaat’ Adolf Hitlers, in R.M. Lepsius, Demokratie in Deutschland, Göttingen, Vandenhock & Ruprecht, 1993 (trad. it. Il modello del potere carismatico e la sua applicabilità allo «stato dittatoriale» di Hitler, in M.R. Lepsius, Il significato delle istituzioni, Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 171-202). Su questo punto si veda anche M. Ponso, Una storia particolare. «Sonderweg» tedesco e identità europea, Bologna, Il Mulino, 2011, pp. 296-300.
[11] Questo giudizio sommario, come vedremo, non si applica però a tutti coloro che potevano essere considerati dei sociologi.
[12] Si veda M. Weber (ed), Gesammelte politische Schriften, a cura di J. Winckelmann, Tübingen, Mohr, 1958, 19885. Gli scritti sull’attualità politica tedesca negli anni dell’immediato dopoguerra sono ora raccolti nella Gesamtausgabe, vol. I/16: W.J. Mommsen (ed) in collaborazione con W. Schwentker, Zur Neuordnung Deutschlands. Schriften und Reden 1918-1920, Tübingen, Mohr, 1988. Per la traduzione italiana condotta sulla Gesamtausgabe di un’ampia selezione degli scritti politici weberiani, si veda Scritti Politici, Roma, Donzelli, 1998.
[13] Il testo della conferenza, tenuta agli ufficiali dell’Imperial Regio Governo, fu pubblicata a Vienna nel 1918, a pochi mesi dalla Rivoluzione di Ottobre. Di recente è stata ripubblicata una traduzione italiana: M. Weber, Il Socialismo, Roma, Castelvecchi, 2018.
[14] Mi piace ricordare la bella monografia su Geiger scritta da P. Farneti, Theodor Geiger e la coscienza della società industriale, Torino, Giappichelli, 1966.