La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c7
Nello stesso tempo i
nazionalsocialisti dicevano di voler contrastare gli effetti potenzialmente distruttivi
dell’aspirazione all’autonomia individuale. Da un lato identificavano questi effetti con
gli ebrei, da loro bollati come superficiali e materialisti, e dall’altro si sforzarono
di integrare le aspirazioni all’autonomia individuale in un progetto collettivo, la cui
realizzazione avrebbe creato i presupposti per la «libera possibilità di ascesa» di ciascuno
[17]
. Nella futura «comunità di popolo» l’autonomia individuale non avrebbe
potuto deviare verso
¶{p. 188}l’isolamento personale e proprio per
questo avrebbe avuto modo di dispiegarsi come mai in precedenza. Come Hitler aveva avuto
modo di affermare già nel Mein Kampf, infatti, la comunità che egli
aveva in mente sarebbe dipesa dalle «azioni di singoli soggetti particolarmente capaci»
[18]
.
3. Differenti continuità
Questo contributo ha posto
l’attenzione sul grande rilievo assunto dall’autonomia individuale negli anni della
Repubblica di Weimar. All’epoca, questo principio non fu assolutamente considerato come
un semplice relitto del XIX secolo, cui si sarebbe rinunciato in favore di ideali
collettivistici.
Molti tedeschi, infatti, rimasero
tenacemente attaccati a varianti di autonomia individuale risalenti al passato, mentre
altri cercarono il modo di adattare queste stesse varianti a condizioni di vita ormai
radicalmente cambiate. C’erano di nuovo varianti che si possono intendere come parte di
una più vasta tendenza alla modernizzazione, o che erano il risultato – in un certo
senso eruttivo – della cesura rivoluzionaria dell’immediato primo dopoguerra. Per
diversi motivi queste aspettative si infransero spesso contro la realtà della Repubblica
di Weimar. Parlare di «aspirazioni» all’autonomia individuale
significa anche richiamare l’attenzione sulle contraddizioni, gli effetti indesiderati e
le delusioni che ne derivarono. Il che può spiegare perché in un contesto politicamente
quanto mai difficile e complesso le forze democratiche incontrarono grosse difficoltà
nel venire incontro a simili aspirazioni. L’esempio della Repubblica di Weimar mostra
come il principio dell’autonomia individuale non risulti sempre congeniale all’idea e
alla realtà di una democrazia liberale.
Come Thomas Nipperdey ha dimostrato
in un saggio che è ormai un classico, nella Repubblica di Weimar si possono rintracciare
linee di continuità molto diverse tra loro. Una ¶{p. 189}considerazione
che si può estendere anche alle aspirazioni alla autonomia individuale. Le quali sotto
molti aspetti si basavano su norme e sviluppi del XIX secolo, come lasciano intendere le
idee degli artigiani, degli ufficiali e dei politici socialdemocratici. Sotto altri
aspetti, d’altro canto, esse appartenevano al XX secolo, con il suo consumismo di massa
e la sua tendenza all’emancipazione delle donne e delle minoranze sessuali. Le
aspirazioni all’autonomia che si manifestarono negli anni della Repubblica di Weimar
anticiparono anche alcuni tratti caratteristici della Repubblica federale tedesca (BRD),
dove a partire dagli anni Sessanta cominciò a radicarsi il principio della libera scelta
in politica, nella società e nella vita personale. La questione dell’autonomia
individuale, d’altro canto, trovò spazio anche nella Repubblica democratica tedesca
(DDR): nei primi anni di vita del regime i comunisti cercarono di ottenere il consenso
promettendo al singolo uno sviluppo personale che la società capitalistica non sarebbe
mai stata in grado di assicurare. Come già era avvenuto ai tempi della Repubblica di
Weimar, tuttavia, si trovarono anch’essi alle prese con il problema di come conciliare
questa promessa di libertà con la necessità di non incrinare la disciplina organizzativa
e di non deviare dall’ortodossia ideologica. Dal momento che la SED non seppe trovare,
al riguardo, convincenti soluzioni, dissidenti politici e cittadini insoddisfatti ne
trassero sempre nuovi spunti per riflessioni e attacchi critici.
Dopo quanto detto, mi preme
sottolineare ancora una volta che i nazisti riuscirono ad appropriarsi ed insieme ad
approfittare con successo dell’aspirazione all’autonomia individuale – prima ma anche
dopo il 1933. Il regime hitleriano riconobbe all’iniziativa privata, purché la si
esercitasse all’interno di confini politicamente ben definiti, più spazio di altre
dittature del XX secolo. Si può dire, anzi, che la incoraggiò visto che in tal modo si
poterono liberare energie che, da un lato, si indirizzarono contro la minoranza ebraica,
e dall’altro agevolarono l’espansionismo imperialistico della Germania. Per quanto
fondata sulla missione collettiva del «popolo», anche l’ideologia ufficiosa non cessò
mai di sottolineare quanto fossero importanti la responsabilità personale, l’autonomia
decisionale ¶{p. 190}e l’intraprendenza in contrasto con le regole
istituzionali e le convenzioni sociali. Negli ultimi anni di guerra la propaganda
insistette sulla presunta, speciale capacità dei tedeschi di agire di propria
iniziativa, capacità su cui si chiedeva di far leva per contrastare la superiorità
numerica dei russi e quella tecnologica degli americani. Questo aspetto è rimasto a
lungo nell’ombra perché nel dopoguerra era molto più facile prendere le distanze
dall’autoritarismo prussiano, dall’anonima società di massa e dal sistema capitalistico
piuttosto che confrontarsi con il ruolo che l’iniziativa personale ebbe negli anni del
Terzo Reich. Negli ultimi decenni le cose a questo riguardo sono cambiate – e quindi
vale senz’altro la pena approfondire il tema delle aspirazioni all’autonomia individuale
come fenomeno centrale della Repubblica di Weimar, con le sue numerose varianti e
conseguenze.