Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c3
Girolamo Sciullo I beni paesaggistici
Notizie Autori
Girolamo Sciullo è già professore ordinario di Diritto amministrativo presso la Facoltà di
Giurisprudenza dell’Università di Bologna. Ha insegnato in molteplici corsi
organizzati dalla SPISA di Bologna e dalla Scuola superiore di pubblica
amministrazione, in tema di contratti e di affidamento di servizi pubblici. Ha
svolto attività di consulenza per numerosi organismi pubblici e privati nel
campo dei servizi culturali, nella tutela del patrimonio culturale e nella
contrattualistica pubblica, collaborando anche con il Ministro per i beni e le
attività culturali.
Abstract
La prima questione che i beni paesaggistici pongono è data dal loro rapporto
con il paesaggio. In termini generali i beni paesaggistici "fanno parte" del
paesaggio, costituendone un ambito ristretto. Sui poteri (e sul ruolo) dello Stato e
della regione significativi interventi rappresentano la sentenza della Corte
costituzionale 164/2021 e quella del TAR Veneto, sez. II, 1280/2022, ambedue con
riferimento al decreto della DGABAP del MiC 1676 del 5 dicembre 2019. La pronuncia
del TAR Veneto 1280/2022 si pone in ideale prosecuzione della sentenza della Corte
costituzionale, di cui riporta in forma estesa le argomentazioni. In particolare,
l’incongruità dell’istruttoria non consente di accertare il rispetto del principio
di proporzionalità (nelle scansioni della idoneità, necessarietà e adeguatezza o
proporzionalità in senso stretto) con riferimento alla disciplina d’uso
"dettagliata, puntuale e pervasiva" introdotta dal decreto. In via analogica,
andrebbero utilizzate le forme procedurali previste dal Codice agli artt. 138
ss.
1. Beni paesaggistici e paesaggio
La prima questione che i beni
paesaggistici pongono è data dal loro rapporto con il paesaggio. In termini generali i
beni paesaggistici «fanno parte» del paesaggio, costituendone un ambito ristretto. In
termini più accurati può affermarsi che, mentre il paesaggio attiene al territorio
complessivamente considerato (annoverando ai sensi della Convenzione di Firenze anche i
«paesaggi della vita quotidiana» e perfino i «paesaggi degradati»), i beni paesaggistici
rappresentano le emergenze (o eccellenze) culturali/identitarie del paesaggio. Essi,
infatti, secondo la nozione del Codice
[1]
(art. 2, c. 3), sono «gli immobili e le aree costituenti espressione dei
valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici indicati all’art. 134
oppure altrimenti individuati dalla legge o in base alla legge». Questi immobili ed aree
corrispondono a quelli che l’art. 131, c. 2, dello stesso Codice indica come «aspetti e
caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell’identità
nazionale, in quanto espressione di valore culturale». La cifra culturale spiega perché
i beni paesaggistici insieme ai beni culturali di cui agli artt. 10 ss. compongono,
secondo l’art. 2, c. 1, il «patrimonio culturale», e dà ragione del fatto che, al pari
di quelli culturali, sono sottoposti ad un regime di tutela, ossia in particolare ad
un’azione della PA volta a conformare e regolare diritti e comportamenti in relazione al
loro uso (art. 3, c. 2), conformazione che può spingersi fino ad imporre la loro immodificabilità
[2]
.¶{p. 70}
2. I tipi
Il Codice indica all’art. 134 tre
tipi di beni paesaggistici: (i) gli immobili e le aree di cui
all’art. 136, (ii) le aree di cui all’art. 142,
(iii) gli ulteriori immobili e aree sottoposti a tutela dai
piani paesaggistici di cui agli artt. 143 e 156.
Quelli del primo tipo (c.d. beni
paesaggistici provvedimentali), già disciplinati dalla l. 1497/1939 ma ora comprendenti
anche i centri e i nuclei storici, si segnalano per un significativo carattere di
bellezze naturali, singolarità geologica o memoria storica e sono individuati con atto
amministrativo regionale o statale, il cui procedimento è disciplinato dagli artt. 138
ss.
Quelli del secondo tipo (c.d. beni
paesaggistici ex lege) vengono direttamente individuati dalla legge all’art. 142.
Fondamentalmente riprendono le aree considerate dalla l. 431/1985 (Galasso).
Nel terzo tipo, infine, rientrano
immobili o aree che presentano i caratteri dei beni del primo tipo, ma che sono
individuati dai piani paesaggistici, ad esito di una condivisione fra Stato e regione
(ex artt. 135, c. 1, e 143, c. 2). Con riferimento all’effetto che discende dalla
triplice modalità di qualificazione di un immobile o di un’area come bene paesaggistico
si parla di vincoli rispettivamente del primo, secondo e terzo tipo.
3. I problemi
I beni paesaggistici in sede
interpretativa e applicativa pongono non pochi problemi, taluni comuni ai tre tipi,
altri specifici. In rapida sintesi possono evidenziarsi i seguenti.
1. Natura della discrezionalità esercitata
dall’autorità di tutela nella loro individuazione (e di conseguenza
dell’apposizione del vincolo), tradizionalmente considerata di carattere
tecnico-scientifico (cfr., ad es., Cons. St., sez. VI, 914/2016).
2. Indennizzabilità o meno del vincolo
apposto, con risposta risalente negativa (e diversamente che per i vincoli
urbanistici, cfr. Corte cost. 56/1968).¶{p. 71}
3. e 4. Con riferimento ai beni paesaggistici
ex lege, individuazione sul territorio (localizzazione e perimetrazione), nonché
inizio di operatività del relativo vincolo (per lo più da risolversi in
relazione al carattere autoapplicativo o meno dello stesso).
5. Vestizione del vincolo: tradizionalmente i
vincoli si distinguono in «nudi», quando si limitano ad individuare il bene
paesaggistico, e «vestiti», allorché è anche dettata la disciplina d’uso del
bene. Il Codice prevede che sia il piano paesaggistico a provvedere alla
vestizione dei vincoli «nudi» a meno che, per quelli provvedimentali, non se ne
sia già occupato il MiC o la regione (artt. 143, c. 1, lett. b e c, art. 140, c.
2, e 141-bis), ma non precisa se in assenza del piano chi e
come possa/debba provvedere a proposito dei vincoli ex lege (per loro natura
«nudi»).
6. Rapporto fra vincolo e piano: il Codice
specifica che il piano provveda alla ricognizione degli immobili e delle aree
oggetto di vincolo ex lege e provvedimentale (art. 143, c. 1, lett. b e c) e per
i vincoli provvedimentali sancisce esplicitamente la loro insuscettibilità di
rimozione e modifiche (art. 140, c. 2), ma si discute se il piano, in quanto
atto destinato a formulare un assetto organico della disciplina del paesaggio,
abbia margini di intervento sulla configurazione del vincolo
[3]
.
7. Poteri dello Stato e della regione nella
individuazione e gestione dei beni paesaggistici, e conseguente rispettivo
ruolo.
4. Poteri e ruolo dello Stato e della regione: la sentenza della Corte cost. 164/2021
Sui poteri (e sul ruolo) dello Stato
e della regione significativi interventi rappresentano la sentenza della Corte
costituzionale 164/2021 e quella del TAR Veneto, sez. II, 1280/2022, ambedue con
riferimento al decreto della DGABAP del MiC 1676 del 5 dicembre
2019.¶{p. 72}
Con tale atto, assunto sulla base
dell’art. 138, c. 3, del Codice veniva dichiarata di notevole interesse pubblico (e
pertanto sottoposta a vincolo provvedimentale) l’area alpina compresa tra il Comelico e
la Val d’Ansiei di oltre 420 chilometri quadrati. Il relativo allegato recava una
disciplina d’uso molto dettagliata e penetrante
[4]
. L’area in questione in larga misura
[5]
risultava già assoggettata a vincolo paesaggistico ex art. 142, c. 1, ossia
ex lege.
Il giudice costituzionale viene
investito della questione di legittimità del decreto con ricorso per conflitto di
attribuzione promosso dalla Regione del Veneto.
In via preliminare la Corte, mentre
dichiara inammissibili (e rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo) le
censure avanzate con riguardo alla illegittimità dell’«esercizio in concreto» del potere
esplicato dallo Stato (punto 4 in diritto), rileva che nel conflitto di attribuzione
l’oggetto non è ristretto alla contestazione circa l’appartenenza del potere, ma si
estende anche alle ipotesi in cui si assuma che dall’illegittimo esercizio di un potere
spettante sia conseguita la menomazione delle attribuzioni costituzionalmente assegnate
al soggetto ricorrente (punto 8 in diritto).
Il ricorso avanzato dalla Regione
del Veneto rientrava in questa seconda ipotesi. Da un lato, infatti, veniva dedotta la
mancanza del presupposto della «straordinarietà» per l’esercizio del potere di cui
all’art. 138, c. 3, la quasi totalità del territorio sottoposto a vincolo dal decreto
risultando già soggetto a tutela paesaggistica, dall’altro, si denunciava che il
decreto, riferendosi ad una area vasta e multiforme, e recando vincoli puntuali e
dettagliati sull’uso del territorio, costituiva un vero e proprio atto di
pianificazione. Di conseguenza risultavano violati tanto il principio della elaborazione
congiunta del piano paesaggistico quanto le competenze regionali in tema di
valorizzazione dei beni ambientali e di governo del territorio nel suo sviluppo
urbanistico (punti 3, 5 e 6 in fatto e punti 2 e 8 in diritto). ¶{p. 73}
La Corte respinge però le censure
avanzate e dichiara infondato il ricorso: il principio di elaborazione congiunta del
piano paesaggistico non significa che in difetto del consenso regionale lo Stato non
possa vincolare alcun bene (punto 9.3 in diritto); non vi è, inoltre, alcunché di
straordinario o di eccezionale nella potestà riconosciuta ad un organo statale dall’art.
138, c. 3 (punto 9.2 in diritto); la circostanza, poi, che larga parte del territorio
sia già tutelata per legge non toglie che la dichiarazione di notevole interesse
pubblico possa sopraggiungere proprio per incrementare il grado di protezione dell’area
(punto 9.4 in diritto).
Al di là della confutazione delle
singole censure avanzate risulta di notevole rilievo l’impianto argomentativo utilizzato
dalla Corte anche sulla scorta della sua consolidata giurisprudenza.
Punto di avvio è la considerazione
del paesaggio come bene «complesso e unitario» che costituisce un «valore primario e
assoluto» e la cui tutela rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato
(punto 9.1 in diritto). Da tale base («postulato») vengono desunti taluni corollari.
Anzitutto è ricordata la
(tradizionale) «prevalenza assiomatica» della tutela dell’ambiente (inteso come
paesaggio) sugli interessi urbanistico-edilizi, da cui consegue sia la preclusione per
la regione di opporre alla scelta conservativa dello Stato l’esigenza di alterare il
bene paesaggistico in vista dello sviluppo del territorio e della promozione delle
attività economiche, sia la possibilità che la dichiarazione di interesse paesaggistico
venga accompagnata da prescrizioni intese a regolamentarne l’uso, e perfino di vietarlo
del tutto (punto 9.4 in diritto).
Viene poi menzionata, per effetto
del conferimento della competenza legislativa esclusiva in tema di tutela del paesaggio,
la potestà per lo Stato di individuare il livello di governo più adeguato ad esercitare
le relative funzioni amministrative, il che rende del tutto coerente con il disegno
costituzionale la previsione di cui all’art. 138, c. 3, del Codice che consente
all’autorità statale di individuare beni paesaggistici anche in dissenso con la regione.
Anzi, precisa la sentenza, «è necessario che restino inequivocabilmente
¶{p. 74}attribuite allo Stato […] la disciplina e l’esercizio unitario
delle funzioni destinate alla individuazione dei beni costituenti il patrimonio
culturale nonché la loro protezione e conservazione». Ciò peraltro non esclude, sempre
ad avviso della Corte, che il legislatore statale possa coinvolgere le regioni nella
identificazione dei beni paesaggistici, trattandosi di un compito distinto ma connesso a
interventi di valorizzazione rientranti nella competenza concorrente regionale (punti
9.2 e 9.3 in diritto).
Note
[1] Con tale termine si allude al Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 42 del 22 gennaio 2004).
[2] Corte cost. nn. 176 e 246 del 2018, richiamate dalla pronuncia 164/2021 (punto 9.4 in diritto).
[3] Cfr. S. Amorosino, Introduzione al diritto del paesaggio, Roma-Bari, Laterza, 2010, pp. 165 ss.
[4] Cfr. TAR Veneto, sez. II, 1280/2022.
[5] Cfr. infra, par. 5.