Matelda Reho, Filippo Magni (a cura di)
Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c3

Girolamo Sciullo I beni paesaggistici

Notizie Autori
Girolamo Sciullo è già professore ordinario di Diritto amministrativo presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna. Ha insegnato in molteplici corsi organizzati dalla SPISA di Bologna e dalla Scuola superiore di pubblica amministrazione, in tema di contratti e di affidamento di servizi pubblici. Ha svolto attività di consulenza per numerosi organismi pubblici e privati nel campo dei servizi culturali, nella tutela del patrimonio culturale e nella contrattualistica pubblica, collaborando anche con il Ministro per i beni e le attività culturali.
Abstract
La prima questione che i beni paesaggistici pongono è data dal loro rapporto con il paesaggio. In termini generali i beni paesaggistici "fanno parte" del paesaggio, costituendone un ambito ristretto. Sui poteri (e sul ruolo) dello Stato e della regione significativi interventi rappresentano la sentenza della Corte costituzionale 164/2021 e quella del TAR Veneto, sez. II, 1280/2022, ambedue con riferimento al decreto della DGABAP del MiC 1676 del 5 dicembre 2019. La pronuncia del TAR Veneto 1280/2022 si pone in ideale prosecuzione della sentenza della Corte costituzionale, di cui riporta in forma estesa le argomentazioni. In particolare, l’incongruità dell’istruttoria non consente di accertare il rispetto del principio di proporzionalità (nelle scansioni della idoneità, necessarietà e adeguatezza o proporzionalità in senso stretto) con riferimento alla disciplina d’uso "dettagliata, puntuale e pervasiva" introdotta dal decreto. In via analogica, andrebbero utilizzate le forme procedurali previste dal Codice agli artt. 138 ss.

1. Beni paesaggistici e paesaggio

La prima questione che i beni paesaggistici pongono è data dal loro rapporto con il paesaggio. In termini generali i beni paesaggistici «fanno parte» del paesaggio, costituendone un ambito ristretto. In termini più accurati può affermarsi che, mentre il paesaggio attiene al territorio complessivamente considerato (annoverando ai sensi della Convenzione di Firenze anche i «paesaggi della vita quotidiana» e perfino i «paesaggi degradati»), i beni paesaggistici rappresentano le emergenze (o eccellenze) culturali/identitarie del paesaggio. Essi, infatti, secondo la nozione del Codice [1]
(art. 2, c. 3), sono «gli immobili e le aree costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici indicati all’art. 134 oppure altrimenti individuati dalla legge o in base alla legge». Questi immobili ed aree corrispondono a quelli che l’art. 131, c. 2, dello stesso Codice indica come «aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell’identità nazionale, in quanto espressione di valore culturale». La cifra culturale spiega perché i beni paesaggistici insieme ai beni culturali di cui agli artt. 10 ss. compongono, secondo l’art. 2, c. 1, il «patrimonio culturale», e dà ragione del fatto che, al pari di quelli culturali, sono sottoposti ad un regime di tutela, ossia in particolare ad un’azione della PA volta a conformare e regolare diritti e comportamenti in relazione al loro uso (art. 3, c. 2), conformazione che può spingersi fino ad imporre la loro immodificabilità [2]
.{p. 70}

2. I tipi

Il Codice indica all’art. 134 tre tipi di beni paesaggistici: (i) gli immobili e le aree di cui all’art. 136, (ii) le aree di cui all’art. 142, (iii) gli ulteriori immobili e aree sottoposti a tutela dai piani paesaggistici di cui agli artt. 143 e 156.
Quelli del primo tipo (c.d. beni paesaggistici provvedimentali), già disciplinati dalla l. 1497/1939 ma ora comprendenti anche i centri e i nuclei storici, si segnalano per un significativo carattere di bellezze naturali, singolarità geologica o memoria storica e sono individuati con atto amministrativo regionale o statale, il cui procedimento è disciplinato dagli artt. 138 ss.
Quelli del secondo tipo (c.d. beni paesaggistici ex lege) vengono direttamente individuati dalla legge all’art. 142. Fondamentalmente riprendono le aree considerate dalla l. 431/1985 (Galasso).
Nel terzo tipo, infine, rientrano immobili o aree che presentano i caratteri dei beni del primo tipo, ma che sono individuati dai piani paesaggistici, ad esito di una condivisione fra Stato e regione (ex artt. 135, c. 1, e 143, c. 2). Con riferimento all’effetto che discende dalla triplice modalità di qualificazione di un immobile o di un’area come bene paesaggistico si parla di vincoli rispettivamente del primo, secondo e terzo tipo.

3. I problemi

I beni paesaggistici in sede interpretativa e applicativa pongono non pochi problemi, taluni comuni ai tre tipi, altri specifici. In rapida sintesi possono evidenziarsi i seguenti.
1. Natura della discrezionalità esercitata dall’autorità di tutela nella loro individuazione (e di conseguenza dell’apposizione del vincolo), tradizionalmente considerata di carattere tecnico-scientifico (cfr., ad es., Cons. St., sez. VI, 914/2016).
2. Indennizzabilità o meno del vincolo apposto, con risposta risalente negativa (e diversamente che per i vincoli urbanistici, cfr. Corte cost. 56/1968).{p. 71}
3. e 4. Con riferimento ai beni paesaggistici ex lege, individuazione sul territorio (localizzazione e perimetrazione), nonché inizio di operatività del relativo vincolo (per lo più da risolversi in relazione al carattere autoapplicativo o meno dello stesso).
5. Vestizione del vincolo: tradizionalmente i vincoli si distinguono in «nudi», quando si limitano ad individuare il bene paesaggistico, e «vestiti», allorché è anche dettata la disciplina d’uso del bene. Il Codice prevede che sia il piano paesaggistico a provvedere alla vestizione dei vincoli «nudi» a meno che, per quelli provvedimentali, non se ne sia già occupato il MiC o la regione (artt. 143, c. 1, lett. b e c, art. 140, c. 2, e 141-bis), ma non precisa se in assenza del piano chi e come possa/debba provvedere a proposito dei vincoli ex lege (per loro natura «nudi»).
6. Rapporto fra vincolo e piano: il Codice specifica che il piano provveda alla ricognizione degli immobili e delle aree oggetto di vincolo ex lege e provvedimentale (art. 143, c. 1, lett. b e c) e per i vincoli provvedimentali sancisce esplicitamente la loro insuscettibilità di rimozione e modifiche (art. 140, c. 2), ma si discute se il piano, in quanto atto destinato a formulare un assetto organico della disciplina del paesaggio, abbia margini di intervento sulla configurazione del vincolo [3]
.
7. Poteri dello Stato e della regione nella individuazione e gestione dei beni paesaggistici, e conseguente rispettivo ruolo.

4. Poteri e ruolo dello Stato e della regione: la sentenza della Corte cost. 164/2021

Sui poteri (e sul ruolo) dello Stato e della regione significativi interventi rappresentano la sentenza della Corte costituzionale 164/2021 e quella del TAR Veneto, sez. II, 1280/2022, ambedue con riferimento al decreto della DGABAP del MiC 1676 del 5 dicembre 2019.{p. 72}
Con tale atto, assunto sulla base dell’art. 138, c. 3, del Codice veniva dichiarata di notevole interesse pubblico (e pertanto sottoposta a vincolo provvedimentale) l’area alpina compresa tra il Comelico e la Val d’Ansiei di oltre 420 chilometri quadrati. Il relativo allegato recava una disciplina d’uso molto dettagliata e penetrante [4]
. L’area in questione in larga misura [5]
risultava già assoggettata a vincolo paesaggistico ex art. 142, c. 1, ossia ex lege.
Il giudice costituzionale viene investito della questione di legittimità del decreto con ricorso per conflitto di attribuzione promosso dalla Regione del Veneto.
In via preliminare la Corte, mentre dichiara inammissibili (e rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo) le censure avanzate con riguardo alla illegittimità dell’«esercizio in concreto» del potere esplicato dallo Stato (punto 4 in diritto), rileva che nel conflitto di attribuzione l’oggetto non è ristretto alla contestazione circa l’appartenenza del potere, ma si estende anche alle ipotesi in cui si assuma che dall’illegittimo esercizio di un potere spettante sia conseguita la menomazione delle attribuzioni costituzionalmente assegnate al soggetto ricorrente (punto 8 in diritto).
Il ricorso avanzato dalla Regione del Veneto rientrava in questa seconda ipotesi. Da un lato, infatti, veniva dedotta la mancanza del presupposto della «straordinarietà» per l’esercizio del potere di cui all’art. 138, c. 3, la quasi totalità del territorio sottoposto a vincolo dal decreto risultando già soggetto a tutela paesaggistica, dall’altro, si denunciava che il decreto, riferendosi ad una area vasta e multiforme, e recando vincoli puntuali e dettagliati sull’uso del territorio, costituiva un vero e proprio atto di pianificazione. Di conseguenza risultavano violati tanto il principio della elaborazione congiunta del piano paesaggistico quanto le competenze regionali in tema di valorizzazione dei beni ambientali e di governo del territorio nel suo sviluppo urbanistico (punti 3, 5 e 6 in fatto e punti 2 e 8 in diritto). {p. 73}
La Corte respinge però le censure avanzate e dichiara infondato il ricorso: il principio di elaborazione congiunta del piano paesaggistico non significa che in difetto del consenso regionale lo Stato non possa vincolare alcun bene (punto 9.3 in diritto); non vi è, inoltre, alcunché di straordinario o di eccezionale nella potestà riconosciuta ad un organo statale dall’art. 138, c. 3 (punto 9.2 in diritto); la circostanza, poi, che larga parte del territorio sia già tutelata per legge non toglie che la dichiarazione di notevole interesse pubblico possa sopraggiungere proprio per incrementare il grado di protezione dell’area (punto 9.4 in diritto).
Al di là della confutazione delle singole censure avanzate risulta di notevole rilievo l’impianto argomentativo utilizzato dalla Corte anche sulla scorta della sua consolidata giurisprudenza.
Punto di avvio è la considerazione del paesaggio come bene «complesso e unitario» che costituisce un «valore primario e assoluto» e la cui tutela rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato (punto 9.1 in diritto). Da tale base («postulato») vengono desunti taluni corollari.
Anzitutto è ricordata la (tradizionale) «prevalenza assiomatica» della tutela dell’ambiente (inteso come paesaggio) sugli interessi urbanistico-edilizi, da cui consegue sia la preclusione per la regione di opporre alla scelta conservativa dello Stato l’esigenza di alterare il bene paesaggistico in vista dello sviluppo del territorio e della promozione delle attività economiche, sia la possibilità che la dichiarazione di interesse paesaggistico venga accompagnata da prescrizioni intese a regolamentarne l’uso, e perfino di vietarlo del tutto (punto 9.4 in diritto).
Viene poi menzionata, per effetto del conferimento della competenza legislativa esclusiva in tema di tutela del paesaggio, la potestà per lo Stato di individuare il livello di governo più adeguato ad esercitare le relative funzioni amministrative, il che rende del tutto coerente con il disegno costituzionale la previsione di cui all’art. 138, c. 3, del Codice che consente all’autorità statale di individuare beni paesaggistici anche in dissenso con la regione. Anzi, precisa la sentenza, «è necessario che restino inequivocabilmente
{p. 74}attribuite allo Stato […] la disciplina e l’esercizio unitario delle funzioni destinate alla individuazione dei beni costituenti il patrimonio culturale nonché la loro protezione e conservazione». Ciò peraltro non esclude, sempre ad avviso della Corte, che il legislatore statale possa coinvolgere le regioni nella identificazione dei beni paesaggistici, trattandosi di un compito distinto ma connesso a interventi di valorizzazione rientranti nella competenza concorrente regionale (punti 9.2 e 9.3 in diritto).
Note
[1] Con tale termine si allude al Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 42 del 22 gennaio 2004).
[2] Corte cost. nn. 176 e 246 del 2018, richiamate dalla pronuncia 164/2021 (punto 9.4 in diritto).
[3] Cfr. S. Amorosino, Introduzione al diritto del paesaggio, Roma-Bari, Laterza, 2010, pp. 165 ss.
[4] Cfr. TAR Veneto, sez. II, 1280/2022.
[5] Cfr. infra, par. 5.