Matelda Reho, Filippo Magni (a cura di)
Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c2
Ma altre differenze possono essere individuate, prendendo in considerazione ulteriori profili. Uno di questi può essere segnalato a proposito delle dinamiche che connotano i due tipi di intervento: come è stato notato, la valorizzazione del paesaggio consiste sempre in un facere, in quanto presuppone un intervento attivo diretto a incidere su di un bene o un’area, mentre la tutela può essere anche assicurata imponendo comportamenti passivi [6]
. Inoltre, i due scenari di azione attivano titoli legislativi differenti che legittimano l’intervento ora dello Stato, titolare di una potestà esclusiva in materia di «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», ora delle regioni, competenti invece per gli aspetti riguardanti la «valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali» (risp. art. 117, c. 2, lett. s, e c. 3). Non è sempre facile individuare con esattezza il confine tra i due titoli competenziali, come dimostrano le numerose sentenze al riguardo rese dalla Corte costituzionale in seguito a conflitti tra Stato e regioni, come da ultimo a proposito della legge regionale della Puglia, di promozione del turismo rurale, che estendeva le possibili azioni di ampliamento sui manufatti storici pugliesi (l.r. 43 del 9 agosto 2019) [7]
o della legge regionale dell’Abruzzo che autorizzava interventi di valorizzazione sui trabucchi abruzzesi (l.r. 7 del 10 giugno 2019) [8]
. Da tali pronunce emerge come «allo Stato la giurisprudenza costituzionale riserva di massima […] la disciplina di cosa non fare, mentre le regioni rimangono libere di valorizzare i beni paesaggistici consentendo che gli stessi siano sì utilizzati attivamente dall’uomo, ma in forme ragionevoli (che non pongano nel nulla quanto lo Stato prescrive di conservare, tutelando)» [9]
. E, infine, ulteriori spazi di differenziazione tra tutela e valorizzazione
{p. 64}del paesaggio possono essere misurati anche rispetto al rapporto con i privati, i quali godono di un favor legislativo, che ne promuove il coinvolgimento e la partecipazione, sia come singoli che in forma associata, nello svolgimento delle attività di valorizzazione (art. 6, c. 3, del Codice). In ciò si registra anche un ulteriore momento di attuazione del dettato costituzionale, che all’art. 9 lascia intendere come il pluralismo, sia nella prospettiva del rapporto tra differenti livelli di governo sia nella prospettiva del confronto tra pubblico e privato, debba caratterizzare tutte le funzioni di governo del paesaggio e dei beni paesaggistici.

3. Le azioni di valorizzazione per migliorare la qualità del paesaggio: piani, progetti, politiche

Tutela e valorizzazione del paesaggio e dei beni paesaggistici rimangono distinti anche riguardo agli strumenti che la legge mette a disposizione per garantirne gli obiettivi: più tradizionali e autoritativi quelli previsti per la tutela, trattandosi in questo caso di una funzione pubblica che implica l’esercizio di rilevanti poteri discrezionali; più innovativi e variegati quelli previsti per la valorizzazione, dovendo iscrivere tale attività ad una logica di servizio pubblico. Volendo, in particolare, concentrarsi su questi ultimi, si potrebbe dar conto di tre scenari di azione attraverso i quali realizzare interventi di valorizzazione paesaggistica: lo scenario pianificatorio, quello progettuale e quello delle politiche.
Il piano paesaggistico è per il Codice del 2004 il principale strumento di valorizzazione del paesaggio. Per espressa previsione legislativa, infatti, il piano paesaggistico deve contenere anche la «individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione compatibili con le esigenze della tutela» (art. 143, c. 1, lett. g). All’interno dei piani paesaggistici, quindi, possono essere definiti e dettagliati gli specifici progetti di valorizzazione del paesaggio, indicando anche le misure organizzative e gli attori chiamati a realizzarli. Il modello di {p. 65}pianificazione del paesaggio proposto dal Codice presenta, in parte, profili innovativi, ma sotto molteplici aspetti è in linea con la tradizione. Le regioni possono approvare un apposito piano paesaggistico oppure un piano urbanistico-territoriale che tenga anche conto dei valori paesaggistici. In ogni caso, l’attività di pianificazione del paesaggio è da considerarsi obbligatoria per le regioni, che la esercitano insieme al Ministero solo per i beni paesaggistici, mentre per il «paesaggio residuo» procedono autonomamente. L’attività di pianificazione non è fine a sé stessa, ma è strumentale a far conoscere, salvaguardare, pianificare e gestire il territorio in ragione dei valori che esso esprime. Oggetto del piano è il territorio regionale nella sua interezza e deve individuare e riconoscere «gli aspetti e caratteri peculiari, nonché le caratteristiche paesaggistiche», arrivando anche a delimitarne «i relativi ambiti» (art. 135). A oggi, solo cinque regioni hanno approvato i piani paesaggistici secondo l’impianto previsto dal nuovo Codice, ossia Puglia, Toscana, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Lazio, mentre la Sardegna lo ha approvato relativamente al solo ambito costiero.
In molte regioni italiane la valorizzazione del patrimonio paesaggistico regionale è stata affidata anche a specifici strumenti progettuali, spesso identificati proprio come progetti di valorizzazione del paesaggio. A tale particolare scenario di azione possono essere ricondotte differenti esperienze regionali, che si distinguono tra loro per il collegamento più o meno strumentale del progetto di valorizzazione con il più ampio piano paesaggistico. Esso è evidente e molto marcato nella legge regionale dell’Emilia-Romagna, la l.r. 24 del 21 dicembre 2017, che disciplina i Progetti regionali di tutela, recupero e valorizzazione del paesaggio (art. 67) [10]
. Si tratta di strumenti attraverso i quali la regione persegue il miglioramento della qualità territoriale e il rafforzamento delle diversità locali, attraverso il recupero delle aree compromesse o degradate e la produzione di nuovi valori paesaggistici, {p. 66}ma tale iniziativa deve essere sviluppata all’interno di quei contesti identitari individuati dal PTPR. Tra l’altro, la promozione di tali progetti presuppone il coinvolgimento degli enti territoriali, mediante accordi ai quali possono aderire anche gli organi periferici del Ministero o altre amministrazioni statali e il ruolo di supporto finanziario da parte della regione. L’accordo con il Ministero acquista una particolare importanza nei casi in cui i progetti di paesaggio riguardano le aree indicate dall’art. 67, c. 2, come preferenziali, ossia i territori sui quali insistono immobili o aree di notevole interesse pubblico, ai sensi del Codice del 2004.
In parte diverso è l’approccio seguito dalla l.r. 14 del 16 giugno 2008, della Regione Piemonte, un provvedimento legislativo contenente le norme per la valorizzazione del paesaggio, attraverso le quali promuovere politiche e azioni per migliorare la qualità dei paesaggi e l’integrazione degli stessi all’interno dei vari contesti di governo del territorio. Contribuiscono a queste strategie i progetti per la qualità paesaggistica (art. 3), strumenti con i quali le amministrazioni pubbliche locali, ma anche i privati, possono contribuire a migliorare i beni paesaggistici presenti sul territorio, grazie anche a contributi finanziari all’uopo riconosciuti dalla regione. I progetti presentati non necessariamente si devono collegare a strategie pianificatorie, ma, se presentati in quanto previsti nell’ambito di strumenti di pianificazione comunale adeguati ai contenuti degli strumenti di pianificazione paesaggistica oppure in quanto riconducibili a siti UNESCO o a parchi, hanno una priorità rispetto agli altri.
L’esempio richiamato dell’esperienza regionale piemontese ci permette di approfondire l’ultimo degli scenari ipotizzati in tema di valorizzazione del paesaggio: quello delle politiche. È ormai opinione comune l’idea secondo la quale la promozione dei valori paesaggistici, anche attraverso la loro ricostruzione e l’implementazione della loro qualità, sia fondamentale per le comunità di riferimento, considerato il contributo positivo che essi offrono al benessere delle popolazioni e all’implementazione, in generale, delle iniziative economiche e sociali e, nello specifico, di quelle turistiche. A conferma di quanto appena detto, basta segnalare che {p. 67}da alcuni anni il paesaggio insieme al patrimonio culturale è indicato come parametro di riferimento del rapporto annuale con il quale l’ISTAT registra il livello di benessere equo e sostenibile in Italia. Nel Rapporto BES (benessere equo e sostenibile) del 2022, viene evidenziato lo sforzo dei pubblici poteri nel promuovere la qualità paesaggistica attraverso specifiche politiche, anche di finanziamento, considerata la maggiore consapevolezza sull’importanza che i beni paesaggistici hanno assunto nella vita e nella quotidianità degli individui. Tuttavia, allo stesso tempo, emerge anche un serio aumento del grado di insoddisfazione e di preoccupazione della popolazione per quei fenomeni di degrado e deterioramento che su di essi incidono. È un segno evidente di come stiano crescendo nel nostro paese la considerazione sociale per il paesaggio, il riconoscimento del suo valore e la preoccupazione per la sua salvaguardia.
Le politiche pubbliche che hanno ad oggetto la promozione della qualità paesaggistica spesso, si diceva, si intrecciano con altre politiche in una dinamica di integrazione che ne dovrebbe potenziare gli effetti. Gli esempi che si potrebbero portare sono diversi, ma basta richiamarne due. Il primo è rappresentato dalla c.d. Direttiva cammini, una direttiva emanata dal MiC nel gennaio 2016, che disegna alcune azioni concrete con le quali valorizzare il patrimonio materiale ed immateriale associato ai cammini e ai sentieri storici attraverso modelli di fruizione e gestione in grado di assicurare una integrazione tra tutti i contesti ambientali, agricoli, turistici e non solo paesaggistici che essi richiamano.
Il secondo esempio è rappresentato dalle politiche di finanziamento in materia di strategie di valorizzazione paesaggistica promosse dal piano nazionale di ripresa e resilienza. Il PNRR, infatti, destina oltre 600 milioni di euro agli interventi di tutela e di valorizzazione del patrimonio rurale. L’intento è quello di usare la leva economica per salvaguardare paesaggi storici rurali che rischiano di scomparire. Ma, in parallelo, le risorse messe in campo dovrebbero anche valorizzare in chiave turistica i contesti territoriali, in modo da promuovere anche le attività agricole e artigianali {p. 68}tradizionali, nonché la qualità della vita di coloro che in quei contesti vivono. Ancora una volta, si tratta della messa in campo di politiche che promuovono i valori paesaggistici di un territorio secondo una logica integrata che tenga in considerazione anche tutti gli altri contesti che con quello paesaggistico possono interagire.
Note
[6] Cfr. G. Severini, La valorizzazione del paesaggio, in «Federalismi.it», 2006, n. 11, p. 7.
[7] Cfr. Corte cost., 26 gennaio 2021, n. 29.
[8] Cfr. Corte cost., 6 luglio 2020, n. 138.
[9] Così F. Guella, Conferme sulle competenze rispetto alla «non-materia» paesaggio: le possibilità di intervento regionale sui profili di «valorizzazione», nella disciplina dei c.d. trabucchi, in «Le regioni», 2020, n. 6, p. 1450.
[10] Sia consentito rinviare a G. Piperata, Il paesaggio nella nuova legge sulla tutela e l’uso del territorio della regione Emilia-Romagna, in «Rivista giuridica dell’urbanistica», 2020, n. 2, pp. 561 ss.