Matelda Reho, Filippo Magni (a cura di)
Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c21

Viviana Ferrario Energie rinnovabili e paesaggio. Oltre la logica dell’impatto

Notizie Autori
Viviana Ferrario è professoressa associata di Geografia presso l’Università IUAV di Venezia. Membro del Collegio di dottorato GESTA delle Università di Padova e Ca’ Foscari Venezia e del Consiglio della Scuola di specializzazione in Beni culturali e del paesaggio dell’Università IUAV di Venezia. Dal 2016 è presidente della Fondazione Comelico Dolomiti – Centro studi transfrontaliero. Attualmente è responsabile scientifico dell’Accordo di collaborazione con la Regione del Veneto per la pianificazione paesaggistica regionale (2023-2025).
Abstract
In Europa il tema del rapporto tra paesaggio ed energie rinnovabili, dal punto di vista scientifico, è stato molto studiato in questi ultimi anni. Quello che forse manca ancora è il trasferimento nelle politiche e nelle pratiche di un tema aperto, che sta diventando sempre più attuale anche a causa dell’urgenza della transizione energetica, accelerata anche dalla condizione contingente, la crisi energetica che ci stiamo trovando ad affrontare. Non occorre un grande dislivello per parlare di energia del rilievo, perché anche un piccolo dislivello può richiedere un’enorme quantità di lavoro e quindi di energia per poter essere superato. È il caso delle bonifiche, un interessante esempio di paesaggio plasmato dall’energia: quella impiegata per realizzarle e quella che serve quotidianamente per mantenerle. Le energie rinnovabili sono fonti di energia derivanti da risorse naturali che hanno alcune caratteristiche: la prima è che si rigenerano almeno alla stessa velocità con la quale vengono consumate; la seconda è che non sono esauribili nella scala delle ere geologiche; la terza – cruciale – è che il loro utilizzo non pregiudica alle generazioni future l’uso delle stesse risorse. Il paesaggio è spesso considerato un problema per la transizione energetica, nel senso che è stato utilizzato come motivo di scontro. Il parco eolico di Affi (VR), un caso virtuoso dove il promotore sono i comuni della zona, coordinati tra di loro e dove la sezione locale di Legambiente, l’associazione ambientalista, invece di essere tenuta all’oscuro, è stata coinvolta fin dall’inizio del progetto per ideare insieme questo impianto. Il paesaggio fa parte del gioco, e per creare i nuovi paesaggi delle energie rinnovabili serve un progetto territoriale condiviso.
In Europa il tema del rapporto tra paesaggio ed energie rinnovabili, dal punto di vista scientifico, è stato molto studiato in questi ultimi anni [1]
. Quello che forse manca ancora è il trasferimento nelle politiche e nelle pratiche di un tema aperto, che sta diventando sempre più attuale anche a causa dell’urgenza della transizione energetica, accelerata anche dalla condizione contingente, la crisi energetica che ci stiamo trovando ad affrontare. In Europa ci siamo dati una serie di obiettivi che vedono l’Italia tutto sommato in una condizione abbastanza virtuosa, pur in presenza di alcune criticità che con la crisi energetica globale si stanno accentuando. Ricordo solo che il PNRR comprende la Seconda missione, «Rivoluzione verde e transizione ecologica», che vale 68,6 miliardi di euro, insieme con una serie di iniziative in favore delle energie rinnovabili e più in generale della transizione energetica. Quindi c’è una chiara volontà politica di perseguire la transizione energetica e uscire dalla logica delle fonti fossili.
Tuttavia, le politiche energetiche europee per la transizione hanno gravemente trascurato gli aspetti territoriali e paesaggistici e questo fatto ci riguarda da vicino, in quanto studiosi, tecnici, amministratori, dal momento che – come è noto – le maggiori resistenze alla transizione energetica verso le rinnovabili provengono proprio da quelle situazioni in cui emergono criticità di carattere territoriale e paesaggistico. Studiare più in profondità questi aspetti sembra dunque fondamentale per riuscire a superare questi ostacoli. Come {p. 382}hanno notato studiosi come Smil, Pasqualetti, Briffaud, energia, territorio e paesaggio sono indissolubilmente connessi tra loro da legami profondi: ogni trasformazione di una di queste dimensioni si riproduce e si riflette sull’altra. Quando cambiano le modalità con le quali produciamo, trasportiamo e utilizziamo l’energia, il territorio si trasforma e il paesaggio registra le tracce di queste trasformazioni. La conseguenza interessante è che noi possiamo leggere il paesaggio attraverso la lente dell’energia, cosa che proveremo a fare nel prossimo paragrafo.

1. Una lettura del paesaggio attraverso la lente dell’energia

Cominciamo ad esempio dal dislivello, dalla cosiddetta «energia del rilievo», che normalmente non notiamo nemmeno, salvo quando da potenziale diventa cinetica – pensate al caso della frana del Vajont che ha liberato un’energia che oggi vediamo nel drammatico paesaggio alle spalle della diga. Ma non occorre un grande dislivello per parlare di energia del rilievo, perché anche un piccolo dislivello può richiedere un’enorme quantità di lavoro e quindi di energia per poter essere superato. È il caso delle bonifiche, un interessante esempio di paesaggio plasmato dall’energia: quella impiegata per realizzarle e quella che serve quotidianamente per mantenerle.
In tutte le società preindustriali il soleggiamento, cioè l’energia solare che arriva al suolo, è stato alla base della strutturazione territoriale, soprattutto nei territori non pianeggianti. Pensate alle valli alpine dove i versanti esposti a solatio vengono destinati agli insediamenti e all’agricoltura, mentre al contrario i versanti a bacìo, cioè quelli che ricevono minore radiazione solare, vengono destinati alla cultura forestale. Lo sfruttamento di queste differenze di carattere energetico plasma il paesaggio.
Ci sono poi tutte le forme di produzione di energia preindustriali legate agli opifici idraulici che sfruttano il dislivello e l’energia potenziale contenuta in masse d’acqua poste in quota che scendendo azionano le ruote idrauliche {p. 383}e generano energia meccanica e di qui tutti quei paesaggi protoindustriali che caratterizzavano i corsi d’acqua in passato. E poi c’è il grande tema della combustione del legno ma anche del carbone e dei combustibili fossili. Il carbone ci porta nella fase estrattiva della storia dell’energia nelle società occidentali, che ha creato forse le tracce più vistose nel paesaggio, lasciando spesso in eredità anche gravi problematiche di carattere ambientale; pensiamo alle cave di lignite a cielo aperto nella Ruhr, che però hanno contribuito a creare nuovi paesaggi, come nel caso delle miniere di carbone del nord della Francia, dove le colline formate dai depositi delle scorie di lavorazione sono state recentemente riconosciute come beni culturali (pensiamo al sito minerario di Lens dichiarato patrimonio dell’umanità come memoria della fase di estrazione del carbone che ha contraddistinto la rivoluzione industriale in Europa).
Tutto questo per dire che ogni qualvolta cambia il paradigma energetico, il territorio e il paesaggio cambiano di conseguenza. Abbiamo intravisto il passaggio dalle fonti energetiche preindustriali alle fonti energetiche fossili; c’è stata poi la parentesi del cosiddetto carbone bianco, la stagione dell’idroelettrico tra la fine dell’800 e l’inizio del 900, che, anch’essa, ha cambiato profondamente i nostri paesaggi sia in maniera indiretta (pensiamo alla scomparsa della fluitazione del legname, impedita dalla costruzione delle prese e dei bacini artificiali) sia in modo diretto con l’introduzione di grandi infrastrutture energetiche come dighe, serbatoi, ponti-tubo, condotte formate, pozzi piezometrici, ecc.
Ad ogni transizione, tuttavia, non si abbandona la fonte precedente, ma generalmente si aggiunge una nuova fonte, ridimensionando l’uso di quelle precedenti in modo più o meno importante.

2. Energie rinnovabili

Vediamo allora cosa sono le energie rinnovabili. Si tratta di fonti di energia derivanti da risorse naturali che hanno alcune caratteristiche: la prima è che si rigenerano almeno alla {p. 384}stessa velocità con la quale vengono consumate; la seconda è che non sono esauribili nella scala delle ere geologiche; la terza – cruciale – è che il loro utilizzo non pregiudica alle generazioni future l’uso delle stesse risorse. Se voi pensate alle energie fossili, quelle le stiamo consumando e stiamo precludendo alle generazioni future il loro utilizzo. Le energie rinnovabili sono anche forme di energie «alternative» alle tradizionali fonti fossili che ovviamente non sono rinnovabili e possono essere – ma non sono necessariamente – energie «pulite» e cioè energie che non immettono in atmosfera sostanze climalteranti quali ad esempio la CO2.
Le energie rinnovabili producono trasformazioni del paesaggio che sono spesso molto visibili. Per esempio l’energia eolica è molto visibile nel paesaggio e proprio per questo su questo tipo di energia si è concentrato il grosso del dibattito sul rapporto tra paesaggi ed energia. Di cosa si tratta? Sostanzialmente si tratta della conversione dell’energia del vento in una forma utilizzabile con utilizzo di generatori che producono energia elettrica; in sostanza è una moderna edizione del mulino a vento che produceva però energia meccanica. Questi impianti tendono a utilizzare e ad essere localizzati in situazioni morfologiche di sommità – quindi molto visibili – e quindi la loro presenza nel paesaggio è estremamente vistosa ed è spesso considerata un disturbo. Diversi soggetti anche istituzionali hanno manifestato apertamente la loro contrarietà a queste forme di intervento.
C’è poi l’energia solare che può essere sfruttata in molti modi: per generare elettricità – e parliamo di fotovoltaico – e per generare calore – e parliamo di solare termico. Ovviamente le scale di questi interventi possono essere molto diverse tra di loro, dal piccolo impianto posto sul terrazzo, come adesso va molto di moda, fino ai grandi, grandissimi impianti a scala territoriale. Qui nel Veneto abbiamo il parco fotovoltaico più grande d’Europa (il parco di San Bellino in provincia di Rovigo), che, da quando è stato costruito (2010), ha generato, negli anni, un considerevole aumento di nuove proposte di impianti fotovoltaici a terra, localizzate sempre all’interno della nostra regione. A mio parere si tratta di un vero spreco, perché pensando all’enorme quantità di {p. 385}superfici già impermeabilizzate che abbiamo a disposizione penso che dovremmo prima di tutto investire con questi impianti le superfici già artificializzate piuttosto che quelle agricole. Ci sono ottimi esempi anche molto vicino a noi, penso per esempio al caso dello stadio di Padova dove appunto il parcheggio è coperto con pensiline fotovoltaiche, sostenute da strutture di una certa gradevolezza.
Ci sono poi le agroenergie, che si dividono in diversi tipi. Partiamo con i biocarburanti, cioè con i combustibili che sono ottenuti da biomassa e che formano una miscela che, usata come carburante, alimenta motori a combustione interna a ciclo Otto oppure Diesel. Possono essere liquidi o gassosi e possono essere usati non solo per il trasporto ma anche per la produzione di energia elettrica. Poi ci sono le biomasse: la frazione biodegradabile dei residui di origine organica, vegetale o anche animale; e poi c’è la parte biodegradabile dei rifiuti industriali urbani, usata nei termovalorizzatori, con ovviamente alcuni malumori di parti della società, che ritengono che ci sia una forma di rischio nell’utilizzare questa parte biodegradabile dei rifiuti per produrre energia. Gli impianti a biomassa legnosa si «vedono» nel paesaggio se non altro con i depositi e a volte anche con i fumi che vediamo uscire dagli impianti di produzione, ma modificano il paesaggio agrario anche orientando la coltivazione, ad esempio, di short rotation forestry.
Ecco, queste sono le fonti energetiche rinnovabili più visibili. Poi però ce ne sono altre meno vistose, ma altrettanto significative rispetto alle trasformazioni territoriali.
Prendiamo ad esempio il caso del biogas. Il biogas è un caso un po’ particolare perché è più complesso degli altri. L’impianto a biogas prevede infatti due fasi di lavorazione: la prima è l’attività di digestione in cui viene prodotto il gas grazie alla digestione anaerobica di sostanze organiche. Il gas prodotto, che assomiglia molto al gas metano, viene utilizzato nella seconda parte dell’impianto per produrre energia elettrica tramite un processo di combustione. Gli impianti non sono particolarmente grandi e sono di solito localizzati in mezzo alla campagna, quindi non sono neanche tanto visibili. A volte vengono mascherati con alberi,
{p. 386}vengono nascosti se vogliamo, e tuttavia possono avere un impatto molto significativo sul piano territoriale e sociale. Questi impianti sono stati spesso al centro di forti conflitti legati alla loro localizzazione e alle modalità con le quali vengono alimentati. Negli scorsi anni l’associazione nazionale degli impianti a biogas ha prodotto un documento, Il biogas fatto bene, che dà alcune indicazioni proprio per evitare le problematiche responsabili delle criticità maggiori. Per alimentare l’impianto si scivola facilmente nella competizione con le produzioni alimentari e questo può provocare a scala globale dei conflitti molto grossi con la produzione di cibo che è un’altra delle questioni che più ci attanaglia.
Note
[1] Mi occupo del rapporto tra paesaggio ed energie rinnovabili da diversi anni, in particolare grazie a due progetti internazionali: il primo, che si è svolto nel 2013-2014, è stato finanziato dal CNR francese; il secondo invece, più recente, è finanziato dal Ministero dell’economia spagnolo.