Tutela e valorizzazione del paesaggio nella transizione
DOI: 10.1401/9788815413352/c21
Viviana Ferrario Energie rinnovabili e paesaggio. Oltre la logica dell’impatto
Notizie Autori
Viviana Ferrario è professoressa associata di Geografia presso l’Università
IUAV di Venezia. Membro del Collegio di dottorato GESTA delle Università di
Padova e Ca’ Foscari Venezia e del Consiglio della Scuola di specializzazione in
Beni culturali e del paesaggio dell’Università IUAV di Venezia. Dal 2016 è
presidente della Fondazione Comelico Dolomiti – Centro studi transfrontaliero.
Attualmente è responsabile scientifico dell’Accordo di collaborazione con la
Regione del Veneto per la pianificazione paesaggistica regionale
(2023-2025).
Abstract
In Europa il tema del rapporto tra paesaggio ed energie rinnovabili, dal punto
di vista scientifico, è stato molto studiato in questi ultimi anni. Quello che forse
manca ancora è il trasferimento nelle politiche e nelle pratiche di un tema aperto,
che sta diventando sempre più attuale anche a causa dell’urgenza della transizione
energetica, accelerata anche dalla condizione contingente, la crisi energetica che
ci stiamo trovando ad affrontare. Non occorre un grande dislivello per parlare di
energia del rilievo, perché anche un piccolo dislivello può richiedere un’enorme
quantità di lavoro e quindi di energia per poter essere superato. È il caso delle
bonifiche, un interessante esempio di paesaggio plasmato dall’energia: quella
impiegata per realizzarle e quella che serve quotidianamente per mantenerle. Le
energie rinnovabili sono fonti di energia derivanti da risorse naturali che hanno
alcune caratteristiche: la prima è che si rigenerano almeno alla stessa velocità con
la quale vengono consumate; la seconda è che non sono esauribili nella scala delle
ere geologiche; la terza – cruciale – è che il loro utilizzo non pregiudica alle
generazioni future l’uso delle stesse risorse. Il paesaggio è spesso considerato un
problema per la transizione energetica, nel senso che è stato utilizzato come motivo
di scontro. Il parco eolico di Affi (VR), un caso virtuoso dove il promotore sono i
comuni della zona, coordinati tra di loro e dove la sezione locale di Legambiente,
l’associazione ambientalista, invece di essere tenuta all’oscuro, è stata coinvolta
fin dall’inizio del progetto per ideare insieme questo impianto. Il paesaggio fa
parte del gioco, e per creare i nuovi paesaggi delle energie rinnovabili serve un
progetto territoriale condiviso.
In Europa il tema del rapporto tra
paesaggio ed energie rinnovabili, dal punto di vista scientifico, è stato molto studiato in
questi ultimi anni
[1]
. Quello che forse manca ancora è il trasferimento nelle politiche e nelle
pratiche di un tema aperto, che sta diventando sempre più attuale anche a causa dell’urgenza
della transizione energetica, accelerata anche dalla condizione contingente, la crisi
energetica che ci stiamo trovando ad affrontare. In Europa ci siamo dati una serie di
obiettivi che vedono l’Italia tutto sommato in una condizione abbastanza virtuosa, pur in
presenza di alcune criticità che con la crisi energetica globale si stanno accentuando.
Ricordo solo che il PNRR comprende la Seconda missione, «Rivoluzione verde e transizione
ecologica», che vale 68,6 miliardi di euro, insieme con una serie di iniziative in favore
delle energie rinnovabili e più in generale della transizione energetica. Quindi c’è una
chiara volontà politica di perseguire la transizione energetica e uscire dalla logica delle
fonti fossili.
Tuttavia, le politiche energetiche
europee per la transizione hanno gravemente trascurato gli aspetti territoriali e
paesaggistici e questo fatto ci riguarda da vicino, in quanto studiosi, tecnici,
amministratori, dal momento che – come è noto – le maggiori resistenze alla transizione
energetica verso le rinnovabili provengono proprio da quelle situazioni in cui emergono
criticità di carattere territoriale e paesaggistico. Studiare più in profondità questi
aspetti sembra dunque fondamentale per riuscire a superare questi ostacoli. Come
¶{p. 382}hanno notato studiosi come Smil, Pasqualetti, Briffaud, energia,
territorio e paesaggio sono indissolubilmente connessi tra loro da legami profondi: ogni
trasformazione di una di queste dimensioni si riproduce e si riflette sull’altra. Quando
cambiano le modalità con le quali produciamo, trasportiamo e utilizziamo l’energia, il
territorio si trasforma e il paesaggio registra le tracce di queste trasformazioni. La
conseguenza interessante è che noi possiamo leggere il paesaggio attraverso la lente
dell’energia, cosa che proveremo a fare nel prossimo paragrafo.
1. Una lettura del paesaggio attraverso la lente dell’energia
Cominciamo ad esempio dal
dislivello, dalla cosiddetta «energia del rilievo», che normalmente non notiamo nemmeno,
salvo quando da potenziale diventa cinetica – pensate al caso della frana del Vajont che
ha liberato un’energia che oggi vediamo nel drammatico paesaggio alle spalle della diga.
Ma non occorre un grande dislivello per parlare di energia del rilievo, perché anche un
piccolo dislivello può richiedere un’enorme quantità di lavoro e quindi di energia per
poter essere superato. È il caso delle bonifiche, un interessante esempio di paesaggio
plasmato dall’energia: quella impiegata per realizzarle e quella che serve
quotidianamente per mantenerle.
In tutte le società preindustriali
il soleggiamento, cioè l’energia solare che arriva al suolo, è stato alla base della
strutturazione territoriale, soprattutto nei territori non pianeggianti. Pensate alle
valli alpine dove i versanti esposti a solatio vengono destinati agli insediamenti e
all’agricoltura, mentre al contrario i versanti a bacìo, cioè quelli che ricevono minore
radiazione solare, vengono destinati alla cultura forestale. Lo sfruttamento di queste
differenze di carattere energetico plasma il paesaggio.
Ci sono poi tutte le forme di
produzione di energia preindustriali legate agli opifici idraulici che sfruttano il
dislivello e l’energia potenziale contenuta in masse d’acqua poste in quota che
scendendo azionano le ruote idrauliche ¶{p. 383}e generano energia
meccanica e di qui tutti quei paesaggi protoindustriali che caratterizzavano i corsi
d’acqua in passato. E poi c’è il grande tema della combustione del legno ma anche del
carbone e dei combustibili fossili. Il carbone ci porta nella fase estrattiva della
storia dell’energia nelle società occidentali, che ha creato forse le tracce più vistose
nel paesaggio, lasciando spesso in eredità anche gravi problematiche di carattere
ambientale; pensiamo alle cave di lignite a cielo aperto nella Ruhr, che però hanno
contribuito a creare nuovi paesaggi, come nel caso delle miniere di carbone del nord
della Francia, dove le colline formate dai depositi delle scorie di lavorazione sono
state recentemente riconosciute come beni culturali (pensiamo al sito minerario di Lens
dichiarato patrimonio dell’umanità come memoria della fase di estrazione del carbone che
ha contraddistinto la rivoluzione industriale in Europa).
Tutto questo per dire che ogni
qualvolta cambia il paradigma energetico, il territorio e il paesaggio cambiano di
conseguenza. Abbiamo intravisto il passaggio dalle fonti energetiche preindustriali alle
fonti energetiche fossili; c’è stata poi la parentesi del cosiddetto carbone bianco, la
stagione dell’idroelettrico tra la fine dell’800 e l’inizio del 900, che, anch’essa, ha
cambiato profondamente i nostri paesaggi sia in maniera indiretta (pensiamo alla
scomparsa della fluitazione del legname, impedita dalla costruzione delle prese e dei
bacini artificiali) sia in modo diretto con l’introduzione di grandi infrastrutture
energetiche come dighe, serbatoi, ponti-tubo, condotte formate, pozzi piezometrici, ecc.
Ad ogni transizione, tuttavia, non
si abbandona la fonte precedente, ma generalmente si aggiunge una nuova fonte,
ridimensionando l’uso di quelle precedenti in modo più o meno importante.
2. Energie rinnovabili
Vediamo allora cosa sono le energie
rinnovabili. Si tratta di fonti di energia derivanti da risorse naturali che hanno
alcune caratteristiche: la prima è che si rigenerano almeno alla
¶{p. 384}stessa velocità con la quale vengono consumate; la seconda è
che non sono esauribili nella scala delle ere geologiche; la terza – cruciale – è che il
loro utilizzo non pregiudica alle generazioni future l’uso delle stesse risorse. Se voi
pensate alle energie fossili, quelle le stiamo consumando e stiamo precludendo alle
generazioni future il loro utilizzo. Le energie rinnovabili sono anche forme di energie
«alternative» alle tradizionali fonti fossili che ovviamente non sono rinnovabili e
possono essere – ma non sono necessariamente – energie «pulite» e cioè energie che non
immettono in atmosfera sostanze climalteranti quali ad esempio la
CO2.
Le energie rinnovabili producono
trasformazioni del paesaggio che sono spesso molto visibili. Per esempio l’energia
eolica è molto visibile nel paesaggio e proprio per questo su questo tipo di energia si
è concentrato il grosso del dibattito sul rapporto tra paesaggi ed energia. Di cosa si
tratta? Sostanzialmente si tratta della conversione dell’energia del vento in una forma
utilizzabile con utilizzo di generatori che producono energia elettrica; in sostanza è
una moderna edizione del mulino a vento che produceva però energia meccanica. Questi
impianti tendono a utilizzare e ad essere localizzati in situazioni morfologiche di
sommità – quindi molto visibili – e quindi la loro presenza nel paesaggio è estremamente
vistosa ed è spesso considerata un disturbo. Diversi soggetti anche istituzionali hanno
manifestato apertamente la loro contrarietà a queste forme di intervento.
C’è poi l’energia solare che può
essere sfruttata in molti modi: per generare elettricità – e parliamo di fotovoltaico –
e per generare calore – e parliamo di solare termico. Ovviamente le scale di questi
interventi possono essere molto diverse tra di loro, dal piccolo impianto posto sul
terrazzo, come adesso va molto di moda, fino ai grandi, grandissimi impianti a scala
territoriale. Qui nel Veneto abbiamo il parco fotovoltaico più grande d’Europa (il parco
di San Bellino in provincia di Rovigo), che, da quando è stato costruito (2010), ha
generato, negli anni, un considerevole aumento di nuove proposte di impianti
fotovoltaici a terra, localizzate sempre all’interno della nostra regione. A mio parere
si tratta di un vero spreco, perché pensando all’enorme quantità di
¶{p. 385}superfici già impermeabilizzate che abbiamo a disposizione
penso che dovremmo prima di tutto investire con questi impianti le superfici già
artificializzate piuttosto che quelle agricole. Ci sono ottimi esempi anche molto vicino
a noi, penso per esempio al caso dello stadio di Padova dove appunto il parcheggio è
coperto con pensiline fotovoltaiche, sostenute da strutture di una certa gradevolezza.
Ci sono poi le agroenergie, che si
dividono in diversi tipi. Partiamo con i biocarburanti, cioè con i combustibili che sono
ottenuti da biomassa e che formano una miscela che, usata come carburante, alimenta
motori a combustione interna a ciclo Otto oppure Diesel. Possono essere liquidi o
gassosi e possono essere usati non solo per il trasporto ma anche per la produzione di
energia elettrica. Poi ci sono le biomasse: la frazione biodegradabile dei residui di
origine organica, vegetale o anche animale; e poi c’è la parte biodegradabile dei
rifiuti industriali urbani, usata nei termovalorizzatori, con ovviamente alcuni malumori
di parti della società, che ritengono che ci sia una forma di rischio nell’utilizzare
questa parte biodegradabile dei rifiuti per produrre energia. Gli impianti a biomassa
legnosa si «vedono» nel paesaggio se non altro con i depositi e a volte anche con i fumi
che vediamo uscire dagli impianti di produzione, ma modificano il paesaggio agrario
anche orientando la coltivazione, ad esempio, di short rotation
forestry.
Ecco, queste sono le fonti
energetiche rinnovabili più visibili. Poi però ce ne sono altre meno vistose, ma
altrettanto significative rispetto alle trasformazioni territoriali.
Prendiamo ad esempio il caso del
biogas. Il biogas è un caso un po’ particolare perché è più complesso degli altri.
L’impianto a biogas prevede infatti due fasi di lavorazione: la prima è l’attività di
digestione in cui viene prodotto il gas grazie alla digestione anaerobica di sostanze
organiche. Il gas prodotto, che assomiglia molto al gas metano, viene utilizzato nella
seconda parte dell’impianto per produrre energia elettrica tramite un processo di
combustione. Gli impianti non sono particolarmente grandi e sono di solito localizzati
in mezzo alla campagna, quindi non sono neanche tanto visibili. A volte vengono
mascherati con alberi,
¶{p. 386}vengono nascosti se vogliamo, e tuttavia
possono avere un impatto molto significativo sul piano territoriale e sociale. Questi
impianti sono stati spesso al centro di forti conflitti legati alla loro localizzazione
e alle modalità con le quali vengono alimentati. Negli scorsi anni l’associazione
nazionale degli impianti a biogas ha prodotto un documento, Il biogas fatto
bene, che dà alcune indicazioni proprio per evitare le problematiche
responsabili delle criticità maggiori. Per alimentare l’impianto si scivola facilmente
nella competizione con le produzioni alimentari e questo può provocare a scala globale
dei conflitti molto grossi con la produzione di cibo che è un’altra delle questioni che
più ci attanaglia.
Note
[1] Mi occupo del rapporto tra paesaggio ed energie rinnovabili da diversi anni, in particolare grazie a due progetti internazionali: il primo, che si è svolto nel 2013-2014, è stato finanziato dal CNR francese; il secondo invece, più recente, è finanziato dal Ministero dell’economia spagnolo.