Paolo Conte
Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c1

Capitolo primo La complessa gestione degli italiani in Francia agli albori del XIX secolo

Abstract
Nella primavera del 1800, ormai a un anno di distanza dal drammatico crollo delle «Repubbliche sorelle» istituite nella penisola a seguito dell’avanzata delle armate francesi del 1796, l’esilio oltralpe dei patrioti italiani sembrava già avviarsi alla conclusione. Lo scioglimento della Commissione per il soccorso ai rifugiati italiani segnò l’avvio di una diversa gestione dell’esilio, che da quel momento non si fondò più sulla strutturale erogazione di sussidi da parte dello Stato francese (per quanto alcune forme di finanziamenti rimasero comunque possibili). Tale scioglimento, inoltre, costituì una tappa problematica non solo per chi, allora, si trovò a dover provvedere autonomamente alla propria sopravvivenza, ma anche per chi, oggi, quelle vicende prova a ricostruire. Nello stesso mese di marzo 1801 in cui a Parigi si scioglieva la Commissione per il soccorso ai rifugiati, a Firenze, dopo settimane di trattative diplomatiche, veniva approvata la pace fra la Repubblica francese e la Corte di Napoli. Si sanciva così il seppur parziale riavvicinamento fra due paesi che, a seguito dell’adesione della Corte borbonica alla «seconda coalizione» anti-francese, avevano combattuto su fronti opposti nel 1799. Ad ogni modo, nel bene come nel male, la coordinazione di questa mobilità non poteva prescindere dall’evoluzione del più generale scenario europeo e dalle relazioni che la Francia napoleonica andava stabilendo non solo con i governi peninsulari direttamente interessati al fenomeno, ma anche con le altre grandi potenze del continente.
Quand’ero cavaliere errante, audace e valente, sostenevo con l’opera e con la mano le mie prodezze. Ma ora, dal momento che sono un misero scudiero, sosterrò le mie parole mantenendo la promessa che ho fatto. Cammina pertanto, amico Sancio, [...] in cotesto ritiro acquisteremo nuova forza per tornare al mai fia da me dimenticato esercizio delle armi.
Miguel de Cervantes [1]

1. L’ordine di partire, la volontà di restare

Nella primavera del 1800, ormai a un anno di distanza dal drammatico crollo delle «Repubbliche sorelle» istituite nella penisola a seguito dell’avanzata delle armate francesi del 1796, l’esilio oltralpe dei patrioti italiani sembrava già avviarsi alla conclusione. Sin dalla metà di febbraio, infatti, un decreto consolare aveva imposto ai numerosi esuli giunti in quei mesi di recarsi a Digione per arruolarsi in quella Legione italica che avrebbe dovuto contribuire alla riapertura delle operazioni militari. E così, nel clima di straordinario slancio patriottico che la svolta del 18 brumaio aveva suscitato fra tali esuli – clima che solo una storiografia troppo condizionata dal senno di poi si sarebbe a lungo rifiutata di riconoscere, ma che, allora, era alquanto generalizzato – un gran numero di italiani si apprestava a varcare nuovamente le Alpi per concorrere, armi alla mano, al ritorno francese nella penisola [2]
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Dunque, in una Francia in cui dopo gli anni rivoluzionari l’esigenza di pacificazione era sempre più avvertita, proprio la presenza italiana costituiva una significativa eccezione, in quanto tali rifugiati non nascondevano le proprie speranze di un rapido ribaltamento degli equilibri instauratisi in patria. A darne testimonianza era una poliedrica intellettuale inglese giunta a Parigi da circa un decennio, Helen Maria Williams, la quale proprio in quei mesi redigeva una sorta di storia in tempo reale delle vicende in corso nella quale descriveva gli umori di quella comunità italiana oltralpe da lei molto frequentata:
Quoique le désir de la paix fût presque général en France, il y avait pourtant une classe d’hommes qui se trouvait parfaitement à l’unisson des puissances coalisées sur la nécessité de continuer la guerre. [...] Ces ennemis de toute pacification, qui se montrent si empressés de fermer au genre humain les portes de la miséricorde, sont les fugitifs Piémontais, les Cisalpins, les Romains, les patriotes Napolitains, qui, pour éviter les horreurs et les cruautés qu’on a très impolitiquement exercées sur les plus illustres de leurs concitoyens, ont fui leur patrie, et trouvent, comme ils l’espéraient, un asile momentané dans les limites de la République française [3]
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Eppure, in quelle settimane, mentre nuovi esuli continuavano ad approdare nel porto di Marsiglia, una gran parte degli italiani giunti a Parigi, anziché recarsi a Bourg-en-Bresse (dove nel frattempo era stato spostato il centro di raccolta per la formazione della Legione italica), prolungava il proprio soggiorno nella capitale, spesso sopravvivendo con forme di reciproca solidarietà [4]
. La situazione richiese pertanto l’intervento del governo francese, che con un decreto del 4 maggio ribadì a tutti gli italiani (a eccezione di donne, bambini e {p. 35}uomini di più di 65 anni) l’ordine di recarsi nel capoluogo del dipartimento dell’Ain, introducendo a tal scopo la condizione per cui il rilascio dei soccorsi dovesse avvenire solo in quest’ultima città [5]
. Il provvedimento consolare fu subito ben accolto dal prefetto parigino Louis-Nicolas Dubois, il quale, lesto ad approfittare di una simile occasione per favorire l’allontanamento dalla capitale di stranieri giudicati turbolenti, solo qualche giorno più tardi fece affiggere sui muri cittadini un ordine che imponeva a «tous les Italiens réfugiés à Paris par suite de l’invasion de l’Italie par les armées impériales de sortir de cette ville sous trois jours» [6]
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E così, in quei primi mesi del nuovo secolo erano proprio le istituzioni francesi, fino ad allora ben disposte ad accogliere un personale schieratosi a sostegno della causa repubblicana, a favorirne il rientro in patria. Di lì a qualche settimana un simile flusso fu ulteriormente incentivato dalle vicende belliche sopravvenute sull’altro lato delle Alpi, in quanto la delusione patriottica causata ai primi di giugno dalla fine della storica resistenza di Genova caduta sotto i colpi dell’assedio austriaco lasciò il posto alla gioia per l’ufficializzazione del ritorno repubblicano nella penisola, sancito dal trionfo francese nella battaglia di Marengo del 14 di quel mese.
Tuttavia, a Parigi il decreto consolare e ancor più il seguente ordine prefettizio non furono accolti di buon grado dagli esuli peninsulari. A protestare furono in particolare coloro i quali erano istituzionalmente preposti alla loro tutela in qualità di componenti della Commissione per la gestione dei soccorsi ai rifugiati italiani. Una Commissione, questa, che era stata istituita sin dalla vigilia della svolta bonapartista e che aveva il compito di esaminare per conto del Ministero degli esteri i requisiti dei singoli esuli per poi fissare l’importo dei relativi soccorsi [7]
. Essa era composta {p. 36}da diversi ex commissari francesi con trascorsi in Italia e da due rappresentanti italiani per ogni gruppo nazionale con la sola eccezione dei cisalpini, per i quali la gestione dei soccorsi continuava a rispondere al proprio governo trasferitosi a Chambery [8]
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Così, già il giorno dell’ordine di Dubois, ossia l’8 maggio, tale Commissione presentava al proprio responsabile, il ministro Charles-Maurice de Talleyrand, una protesta volta a sottolineare come fosse «impossible physiquement que ce secours [...] puisse être délivré et les passeports expédiés dans l’espèce de trois jours». Ma soprattutto, l’indirizzo denunciava la mancata differenziazione di trattamento per quei rifugiati che, durante il loro soggiorno parigino, avevano intrapreso prospettive professionali tali da garantir loro un sostentamento indipendente dallo Stato francese [9]
. Una denuncia, questa, che attesta non solo come l’esilio italiano in Francia avesse sin da subito dischiuso nuove prospettive professionali, ma anche come proprio sull’indipendenza economica assicurata da tali prospettive molto si fondassero le ragioni di coloro i quali auspicavano la continuazione della propria permanenza.
Alla protesta ufficiale indirizzata a Talleyrand a nome dell’intera Commissione seguirono petizioni ancor più accese redatte da singoli componenti, fra le quali spiccava quella del «napoletano» (ma di origini valtellinesi) Cesare Paribelli, che definiva il provvedimento prefettizio «absolument inexécutable» [10]
. Il giorno successivo, poi, diversi componenti della Commissione s’indirizzavano al ministro della polizia Joseph Fouché attraverso una memoria volta a presentare «un aperçu de tous les inconvénients qui s’en suivaient si cette mesure était exécutée strictement» e con la quale chiedevano di prolungare di sei giorni i termini della {p. 37}partenza [11]
. Insomma, più che contro il decreto consolare era contro il provvedimento prefettizio, troppo brutale nei tempi e troppo generico nell’individuazione dei suoi destinatari, che si rivolgeva la Commissione.
Inoltre, va detto che la scelta di indirizzarsi a Fouché era dovuta non solo alla posizione di superiorità istituzionale che questi ricopriva sul prefetto Dubois, ma anche a fattori prettamente politici, essendo egli più vicino agli esuli peninsulari di quanto non lo fosse il ministro Talleyrand, il quale, pur essendo il diretto responsabile della Commissione, non godeva certo delle simpatie di parte italiana perché giudicato la principale causa del mancato sostegno direttoriale alle «Repubbliche sorelle» [12]
. Non a caso, in quei giorni era proprio al ministro Fouché che ci si rivolgeva: ad esempio, Francesco Ciaia, uno dei due responsabili dei rifugiati napoletani in seno alla Commissione, gli raccomandava il connazionale Alessandro D’Azzia, mentre addirittura il ministro degli interni Luciano Bonaparte gli chiedeva di accordare la «faculté de rester» ai due fratelli romani Francesco e Pietro Piranesi [13]
. Il francese Pierre-Louis Ginguené, ancora, dicendosi convinto che «il n’est point de Français patriotes qui ne doive s’empresser de consoler et de secourir des hommes qui ont pour eux les titres sacrés du malheur, du patriotisme et de l’hospitalité», gli inviava una lista di undici rifugiati piemontesi e veneziani che egli aveva conosciuto durante la sua recente esperienza diplomatica a Torino [14]
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Proprio l’intervento di Fouché si sarebbe rivelato decisivo, dato che a stretto giro egli impose al prefetto Dubois di accordare «un nouveau délai de six jours afin de lier l’exé
{p. 38}cution de l’arrêté avec les égards que la justice et l’humanité réclament en leur faveur». Tuttavia, se nella sostanza tale proroga consentì a diversi esuli di consegnare i certificati richiesti per sottrarsi all’obbligo di partire, nelle intenzioni del ministro essa era dovuta soprattutto a ragioni di utilità. Infatti, egli precisava che il decreto consolare dovesse certo permettere delle eccezioni, ma servisse anche a «écarter de Paris les Italiens qui reçoivent des secours de la République française». Pertanto, invitava Dubois a non accordare «aucune permission de rester à Paris aux Italiens réfugiés qui, n’ayant pas de moyens connus d’existence, seraient en état de porter les armes et ceux qui vous seraient désignés comme des hommes factieux et turbulents» [15]
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Note
[1] M. de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, Milano, Bur, 2018, p. 1188.
[2] A.M. Rao, I patrioti italiani di fronte a Brumaio, in A. De Francesco (a cura di), La democrazia alla prova della spada. Esperienza e memoria del 1799 in Europa, Milano, Guerini e Associati, 2003, pp. 163-190.
[3] H.M. Williams, Aperçu de l’état des mœurs et des opinions dans la République française, vers la fin du XVIIIe siècle, Paris, Levrault, an IX (1801), vol. 2, p. 131.
[4] A. Aulard (a cura di), Paris sous le Consulat, Paris, Cerf, 1903, vol. 1, p. 296.
[5] A.M. Rao, Esuli. L’emigrazione politica italiana in Francia (1792-1802), Napoli, Guida, 1992, pp. 343-344.
[6] ANF, F/7, cart. 7733, dr. 1, f. 7.
[7] Rao, Esuli, cit., pp. 259-263. Per i verbali delle riunioni cfr. AMAE, Md, Italie, cart. 13.
[8] K. Visconti, L’ultimo direttorio. La lotta politica nella Repubblica cisalpina tra guerra rivoluzionaria e ascesa di Bonaparte, 1799-1800, Milano, Guerini e Associati, 2011.
[9] AMAE, Md, Italie, cart. 13, ff. 96-97.
[10] P. Conte, Cesare Paribelli. Un giacobino d’Italia (1763-1847), Milano, Guerini e Associati, 2013, pp. 236-237.
[11] ANF, F/7, cart. 7733, dr. 1, ff. 17-18.
[12] Sull’«atteggiamento di aperta protezione nei confronti degli esponenti del movimento neogiacobino» avuto da Fouché si veda E. Di Rienzo, Marc-Antoine Jullien de Paris (1789-1848). Una biografia politica, Napoli, Guida, 1999, pp. 229-235. Sui rapporti del mondo patriottico italiano con le istituzioni francesi: B. Gainot, I rapporti franco-italiani nel 1799: tra confederazione democratica e congiura politico-militare, in «Società e Storia», 76, 1997, pp. 345-376.
[13] ANF, F/7, cart. 7733, dr. 1, ff. 24, 33.
[14] ANF, F/7, cart. 7733, dr. 1, ff. 21-22.
[15] ANF, F/7, cart. 7733, dr. 1, ff. 16, 19.