La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c7
Le aspirazioni all’autonomia individuale Traduzione di Enzo Morandi
Notizie Autori
Moritz Föllmer è professore associato di Storia contemporanea, Universiteit van
Amsterdam.
Abstract
Se da un lato è vero che la breve esperienza della Repubblica di Weimar ha
avuto come conseguenza l’accentuazione della dimensione collettiva, la quale
giungendo alle estreme conseguenze dei concetti di classe e società darà origine ad
una società di massa che ha rappresentato il fondamento dello stesso potere nazista,
è altresì vero che alla nascita del nuovo governo è possibile osservare come in
quegli stessi anni i temi della tutela individuale e della libera scelta ritornino
ad essere argomenti centrali del dibattito politico dopo il periodo della crisi
bellica. L’autore mette qui in luce come tale aspirazione all’autonomia individuale
sia stata strumentalizzata, successivamente, anche da parte di movimenti politici
apertamente collettivisti, nazionalsocialismo e comunismo su tutti.
Che tra il 1918 e il 1933 la società
tedesca sia stata massicciamente caratterizzata da aspirazioni all’autonomia individuale
potrebbe non risultare immediatamente chiaro. Dopotutto la Repubblica di Weimar viene spesso
considerata un’epoca in cui l’«individuo» sarebbe entrato profondamente in crisi mentre
sarebbe aumentata l’importanza delle idee collettivistiche di classe e società. Come
spiegare altrimenti la forza del movimento comunista e la contemporanea, massiccia
diffusione dello slogan «comunità di popolo». Tuttavia, io sono dell’avviso che una
accentuazione unilaterale di «collettività» non renda giustizia all’importanza che il
concetto di «individualità» assunse tra la Prima guerra mondiale e l’avvento del
nazionalsocialismo. Per analizzare questa importanza non bisogna includere solo le varianti
liberali ma anche quelle di destra e di sinistra. Inoltre, occorre tenere conto del fatto
che l’aspirazione all’individualità poteva portare alla sua soddisfazione, ma dare anche
adito, e in misura non minore, a delusioni e conseguenze indesiderate. Così intese, le
aspirazioni all’autonomia individuale giocarono effettivamente un ruolo importante nella
vita sociale e politica della Repubblica di Weimar.
Come ha spiegato il sociologo Niklas
Luhmann, cui si deve il concetto di «aspirazione all’individualità», nell’epoca moderna le
persone si aspettano sempre più di essere rispettate e trattate come individui. Aspirazioni
siffatte possono riguardare diversi ambiti della società, e possono andare dalle relazioni
amorose al sistema formativo. Non di rado esse naufragano a causa di circostanze avverse,
della logica delle istituzioni o a causa di altre persone, anch’esse impegnate a perseguire
e ¶{p. 174}soddisfare analoghe aspirazioni. Per essere riconoscibile come
«individuo», nei confronti del singolo c’è, per converso, una aspettativa sociale, che può
essere vissuta come una pressione (per esempio come pressione di tipo competitivo). Non si
tratta quindi di affermare che persone che reclamano individualità o devono soddisfare
aspettative di natura individuale sarebbero più «individui» rispetto al passato. Allo stesso
modo occorre per quanto possibile evitare le generalizzazioni in merito ad intere società
che avrebbero subito un processo di individualizzazione o sarebbero diventate sempre più
individualiste. Ciò che, seguendo Luhmann, può essere oggetto di indagine è la
individualizzazione delle aspirazioni e gli effetti contraddittori che spesso ne conseguono.
Non tutto mira all’autonomia, dal momento che, per esempio, ci si può aspettare di essere
assistiti «individualmente» da istituzioni quali un ente di assistenza sociale, un ospedale
o una università e non che queste si disinteressino di noi. Ma non c’è dubbio che le
aspirazioni all’autonomia rappresentano una componente significativa dell’aspirazione
all’individualità.
Dove sta quindi il nesso con la
Repubblica di Weimar? Aspirazioni all’autonomia individuale erano emerse al più tardi con
l’Illuminismo, e già nel corso del XIX secolo si erano diffuse oltre una piccola elite
liberale: ciò che avvenne grazie alla progressiva diffusione e influenza dei mezzi di
comunicazione di massa e della cultura del consumo, ma anche grazie al crescente rilievo
assunto dal movimento socialdemocratico, il quale sosteneva che anche i lavoratori potevano
essere degli individui autonomi se solo lo Stato avesse creato i presupposti per renderlo
possibile. L’aspettativa di una crescente autonomia poté essere soddisfatta solo
parzialmente prima del 1914, e naturalmente non durante la Prima guerra mondiale. A maggior
ragione, quindi, essa riprese slancio dopo la fine delle ostilità. In parte scioccati, in
parte stimolati dalla improvvisa fine dell’Impero i tedeschi si dedicarono intensamente alla
ricerca di un nuovo orientamento – per il singolo, per particolari gruppi e per la società
nel suo complesso. In questo contesto le aspirazioni all’autonomia individuale vennero
manifestate con maggior irruenza rispetto al passato, ma andarono anche
¶{p. 175}amaramente deluse più di quanto era avvenuto negli anni precedenti
la Prima guerra mondiale. Negli anni Venti e nei primi anni Trenta molte correnti politiche
si videro costrette a reagire a questo trend o cercarono di trarne vantaggio. Come cercherò
di spiegare in seguito, rientrano tra queste correnti anche movimenti asseritamente
collettivisti come il comunismo e il nazionalsocialismo.
1. La dimensione sociale
La rivoluzione del 1918-1919 creò le
condizioni per esprimere liberamente alcune idee perché venne meno il regime
disciplinare degli anni di guerra e venne liberalizzata la legislazione censoria vigente
nell’Impero guglielmino. Le persone, anche le più semplici, potevano liberamente dire
per strada o sul tram quello che pensavano, o scrivere lettere alle istituzioni statali
in cui esprimevano la loro opinione in merito al futuro della Germania. Anche le
autorità, il cui prestigio diminuì drasticamente, venivano prese di mira in diversi
modi. Nonostante la guerra fosse ormai finita, i contadini non volevano saperne di
consegnare i loro prodotti agli organi statali, mentre gli operai delle fabbriche
giocavano a carte, ballavano e non badavano alle macchine. Membri dei Consigli dei
lavoratori e dei soldati che si andavano costituendo in tutto il Paese requisivano le
auto e scorrazzavano allegramente per le strade. Spazi di autoaffermazione si aprirono
anche per le donne e gli appartenenti alle minoranze sessuali.
Come si può ben capire, la rottura
rivoluzionaria fu una fase di passaggio che ben presto si esaurì. Sebbene ancora nel
1923 si registrassero disordini e crisi, alla fine la situazione sociale si stabilizzò.
Ma la spinta rivoluzionaria verso la libera manifestazione delle proprie opinioni, lo
scontro con l’autorità e la ricerca dell’autoaffermazione non solo non ebbe in alcun
modo termine ma al contrario continuò a caratterizzare tutta la stagione della
Repubblica di Weimar. Il che risulta particolarmente evidente negli ambiti in cui si
lottava per spostare in avanti i confini della morale. Gli intellettuali di sinistra che
¶{p. 176}facevano capo alla rivista «Weltbühne» si adoperarono per
ottenere la legalizzazione dell’aborto richiamandosi al diritto della donna di decidere
autonomamente in merito al proprio corpo. Numerose associazioni con proprie
pubblicazioni e migliaia di membri si battevano affinché venisse riconosciuto agli
omosessuali il diritto di scegliere liberamente in tema di relazioni e comportamenti
personali. Campagne che naturalmente non garantivano alcun esito positivo ma che in ogni
caso andavano di pari passo con una tolleranza di fatto – quanto meno a Berlino, dove la
polizia si guardava dall’applicare le norme vigenti contro i bar e i club notoriamente
frequentati da omosessuali e lesbiche. «Io personalmente ebbi e provai una sensazione di
libertà», avrebbe ricordato in seguito una lesbica parlando del periodo che aveva
trascorso nella capitale tedesca negli anni Venti, «le opinioni e i punti di vista dei
genitori non contavano più, almeno per me»
[1]
.
Negli anni Venti le aspirazioni
all’autonomia individuale furono articolate con maggior forza e decisione e non furono
esclusivo appannaggio degli intellettuali di sinistra e delle minoranze sessuali.
Inoltre, non riguardavano il solo ambito politico, ma avevano come obiettivo un maggior
radicamento del principio della libera scelta individuale nella vita di tutti i giorni.
Importante, al riguardo, si rivelò la diffusione della cultura del consumo nella misura
in cui consentiva di scegliere tra preferenze e beni diversi. Certo, a fronte delle
limitate disponibilità finanziarie il principio della libera scelta poteva tradursi in
comportamenti concreti solo in minima parte. Ma gli annunci pubblicitari diffondevano
sogni e suscitavano speranze nel futuro, ad esempio in un mondo in cui per gli uomini (e
per non poche donne) sarebbe stato normale possedere un’auto; a ciò si aggiunga che
potevano adattare tale principio anche alle persone con ridotte disponibilità
finanziarie dal momento che – questo l’argomento usato – i prezzi unitari consentivano
agli acquirenti di acquistare, ad esempio, le scarpe di cui avevano
¶{p. 177}veramente bisogno invece di dover accontentarsi di quelle più a
buon mercato. Quel che è certo è che tutto questo aprì la strada a tendenze
assolutamente reali: si pensi all’aumento dei viaggi turistici a prezzi modici
all’interno della Germania a bordo di pullman (extraurbani) con relativi pernottamenti
in pensioni anch’esse a buon mercato.
L’idea del consumatore autonomo si
diffuse anche in quegli ambienti in cui meno ce lo si poteva aspettare. Il quotidiano
comunista «Rote Fahne», ad esempio, ospitava, accanto alla «razione» quotidiana di
ideologia, annunci pubblicitari per prodotti del tabacco, grammofoni, motociclette e per
i grandi magazzini Karstadt. Nell’agosto del 1929 il giornale pubblicò la pubblicità di
una sigaretta corredata da una foto che mostrava uomini al lavoro che contemporaneamente
– così la didascalia – erano «anche maestri di vita»
[2]
. Un altro esempio è la radio. Da un lato, durante la Repubblica di Weimar i
programmi radiofonici erano controllati dallo Stato ed avevano contenuti pedagogici per
così dire «borghesi», in altre parole venivano mandati in onda soprattutto concerti
sinfonici e conferenze accademiche; dall’altro, però, per lo meno durante la giornata
non mancavano le alternative di intrattenimento e più in sintonia con la vita di tutti i
giorni. La pubblicità degli apparecchi radio sottolineava che gli ascoltatori erano
liberi di scegliere il programma che prediligevano ed eventualmente anche di cambiarlo:
«Se non ti va di sentir parlare di economia, gira e ascolta qualcos’altro»
[3]
.
Al di là delle rivendicazioni
rivoluzionarie e delle promesse indirizzate ai consumatori, non bisogna dimenticare le
più vecchie varianti dell’autonomia individuale ancora decisamente presenti nella
Germania degli anni Venti e dei primi anni Trenta. Tra queste rientrava l’idea di una
aggressiva strategia bellica
¶{p. 178}in cui le decisioni dei singoli
ufficiali rimanevano importanti anche nell’età degli eserciti di massa e del crescente
utilizzo di mezzi tecnologici: idea sostenuta e perfino ulteriormente propagandata dalla
Reichswehr, che in applicazione del Trattato di Versailles ora non poteva schierare più
di 100.000 militari di professione. Il generale Hans von Seeckt, capo di stato maggiore
dell’esercito, preferiva i brevi ordini verbali alle lunghe istruzioni scritte. Per
adattare il principio della guerra di movimento alle esigenze di una moderna strategia
bellica, motivazione e iniziativa personali non erano, a suo parere, meno necessarie
delle unità corazzate mobili e delle rapide comunicazioni radio. Scrisse infatti nel
1925: «Ora la cosa più importante è accrescere le responsabilità dei singoli individui,
soprattutto la loro capacità di agire in maniera indipendente, e di conseguenza
migliorare l’efficienza di tutto l’esercito»
[4]
.
Note
[1] Cfr. L. Marhoefer, Sex and the Weimar Republic: German Homosexual Emancipation and the Rise of the Nazis, Toronto, University of Toronto Press, 2015, p. 30.
[2] Pubblicato da T. van der Knaap, Politiek in de uitverkoop. Advertenties, consumptie en politieke identiteit in nationaalsocialistische en communistische Kranten in de Weimarrepubliek, 1925-1932, Masterarbeit, Universität Amsterdam, 2018, p. 75.
[3] Cfr. C. Lenk, Die Erscheinung des Rundfunks. Einführung und Nutzung eines neuen Mediums 1923-1932, Opladen, Westdeutscher Verlag, 1996, p. 187.
[4] Cfr. R.M. Citino, The Path to Blitzkrieg. Doctrine and Training in the German Army, 1920-1939, Boulder, Lynne Rienner, 1999, p. 57.