Christoph Cornelissen, Gabriele D'Ottavio (a cura di)
La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c7

Le aspirazioni all’autonomia individuale
Traduzione di Enzo Morandi

Notizie Autori
Moritz Föllmer è professore associato di Storia contemporanea, Universiteit van Amsterdam.
Abstract
Se da un lato è vero che la breve esperienza della Repubblica di Weimar ha avuto come conseguenza l’accentuazione della dimensione collettiva, la quale giungendo alle estreme conseguenze dei concetti di classe e società darà origine ad una società di massa che ha rappresentato il fondamento dello stesso potere nazista, è altresì vero che alla nascita del nuovo governo è possibile osservare come in quegli stessi anni i temi della tutela individuale e della libera scelta ritornino ad essere argomenti centrali del dibattito politico dopo il periodo della crisi bellica. L’autore mette qui in luce come tale aspirazione all’autonomia individuale sia stata strumentalizzata, successivamente, anche da parte di movimenti politici apertamente collettivisti, nazionalsocialismo e comunismo su tutti.
Che tra il 1918 e il 1933 la società tedesca sia stata massicciamente caratterizzata da aspirazioni all’autonomia individuale potrebbe non risultare immediatamente chiaro. Dopotutto la Repubblica di Weimar viene spesso considerata un’epoca in cui l’«individuo» sarebbe entrato profondamente in crisi mentre sarebbe aumentata l’importanza delle idee collettivistiche di classe e società. Come spiegare altrimenti la forza del movimento comunista e la contemporanea, massiccia diffusione dello slogan «comunità di popolo». Tuttavia, io sono dell’avviso che una accentuazione unilaterale di «collettività» non renda giustizia all’importanza che il concetto di «individualità» assunse tra la Prima guerra mondiale e l’avvento del nazionalsocialismo. Per analizzare questa importanza non bisogna includere solo le varianti liberali ma anche quelle di destra e di sinistra. Inoltre, occorre tenere conto del fatto che l’aspirazione all’individualità poteva portare alla sua soddisfazione, ma dare anche adito, e in misura non minore, a delusioni e conseguenze indesiderate. Così intese, le aspirazioni all’autonomia individuale giocarono effettivamente un ruolo importante nella vita sociale e politica della Repubblica di Weimar.
Come ha spiegato il sociologo Niklas Luhmann, cui si deve il concetto di «aspirazione all’individualità», nell’epoca moderna le persone si aspettano sempre più di essere rispettate e trattate come individui. Aspirazioni siffatte possono riguardare diversi ambiti della società, e possono andare dalle relazioni amorose al sistema formativo. Non di rado esse naufragano a causa di circostanze avverse, della logica delle istituzioni o a causa di altre persone, anch’esse impegnate a perseguire e {p. 174}soddisfare analoghe aspirazioni. Per essere riconoscibile come «individuo», nei confronti del singolo c’è, per converso, una aspettativa sociale, che può essere vissuta come una pressione (per esempio come pressione di tipo competitivo). Non si tratta quindi di affermare che persone che reclamano individualità o devono soddisfare aspettative di natura individuale sarebbero più «individui» rispetto al passato. Allo stesso modo occorre per quanto possibile evitare le generalizzazioni in merito ad intere società che avrebbero subito un processo di individualizzazione o sarebbero diventate sempre più individualiste. Ciò che, seguendo Luhmann, può essere oggetto di indagine è la individualizzazione delle aspirazioni e gli effetti contraddittori che spesso ne conseguono. Non tutto mira all’autonomia, dal momento che, per esempio, ci si può aspettare di essere assistiti «individualmente» da istituzioni quali un ente di assistenza sociale, un ospedale o una università e non che queste si disinteressino di noi. Ma non c’è dubbio che le aspirazioni all’autonomia rappresentano una componente significativa dell’aspirazione all’individualità.
Dove sta quindi il nesso con la Repubblica di Weimar? Aspirazioni all’autonomia individuale erano emerse al più tardi con l’Illuminismo, e già nel corso del XIX secolo si erano diffuse oltre una piccola elite liberale: ciò che avvenne grazie alla progressiva diffusione e influenza dei mezzi di comunicazione di massa e della cultura del consumo, ma anche grazie al crescente rilievo assunto dal movimento socialdemocratico, il quale sosteneva che anche i lavoratori potevano essere degli individui autonomi se solo lo Stato avesse creato i presupposti per renderlo possibile. L’aspettativa di una crescente autonomia poté essere soddisfatta solo parzialmente prima del 1914, e naturalmente non durante la Prima guerra mondiale. A maggior ragione, quindi, essa riprese slancio dopo la fine delle ostilità. In parte scioccati, in parte stimolati dalla improvvisa fine dell’Impero i tedeschi si dedicarono intensamente alla ricerca di un nuovo orientamento – per il singolo, per particolari gruppi e per la società nel suo complesso. In questo contesto le aspirazioni all’autonomia individuale vennero manifestate con maggior irruenza rispetto al passato, ma andarono anche {p. 175}amaramente deluse più di quanto era avvenuto negli anni precedenti la Prima guerra mondiale. Negli anni Venti e nei primi anni Trenta molte correnti politiche si videro costrette a reagire a questo trend o cercarono di trarne vantaggio. Come cercherò di spiegare in seguito, rientrano tra queste correnti anche movimenti asseritamente collettivisti come il comunismo e il nazionalsocialismo.

1. La dimensione sociale

La rivoluzione del 1918-1919 creò le condizioni per esprimere liberamente alcune idee perché venne meno il regime disciplinare degli anni di guerra e venne liberalizzata la legislazione censoria vigente nell’Impero guglielmino. Le persone, anche le più semplici, potevano liberamente dire per strada o sul tram quello che pensavano, o scrivere lettere alle istituzioni statali in cui esprimevano la loro opinione in merito al futuro della Germania. Anche le autorità, il cui prestigio diminuì drasticamente, venivano prese di mira in diversi modi. Nonostante la guerra fosse ormai finita, i contadini non volevano saperne di consegnare i loro prodotti agli organi statali, mentre gli operai delle fabbriche giocavano a carte, ballavano e non badavano alle macchine. Membri dei Consigli dei lavoratori e dei soldati che si andavano costituendo in tutto il Paese requisivano le auto e scorrazzavano allegramente per le strade. Spazi di autoaffermazione si aprirono anche per le donne e gli appartenenti alle minoranze sessuali.
Come si può ben capire, la rottura rivoluzionaria fu una fase di passaggio che ben presto si esaurì. Sebbene ancora nel 1923 si registrassero disordini e crisi, alla fine la situazione sociale si stabilizzò. Ma la spinta rivoluzionaria verso la libera manifestazione delle proprie opinioni, lo scontro con l’autorità e la ricerca dell’autoaffermazione non solo non ebbe in alcun modo termine ma al contrario continuò a caratterizzare tutta la stagione della Repubblica di Weimar. Il che risulta particolarmente evidente negli ambiti in cui si lottava per spostare in avanti i confini della morale. Gli intellettuali di sinistra che {p. 176}facevano capo alla rivista «Weltbühne» si adoperarono per ottenere la legalizzazione dell’aborto richiamandosi al diritto della donna di decidere autonomamente in merito al proprio corpo. Numerose associazioni con proprie pubblicazioni e migliaia di membri si battevano affinché venisse riconosciuto agli omosessuali il diritto di scegliere liberamente in tema di relazioni e comportamenti personali. Campagne che naturalmente non garantivano alcun esito positivo ma che in ogni caso andavano di pari passo con una tolleranza di fatto – quanto meno a Berlino, dove la polizia si guardava dall’applicare le norme vigenti contro i bar e i club notoriamente frequentati da omosessuali e lesbiche. «Io personalmente ebbi e provai una sensazione di libertà», avrebbe ricordato in seguito una lesbica parlando del periodo che aveva trascorso nella capitale tedesca negli anni Venti, «le opinioni e i punti di vista dei genitori non contavano più, almeno per me» [1]
.
Negli anni Venti le aspirazioni all’autonomia individuale furono articolate con maggior forza e decisione e non furono esclusivo appannaggio degli intellettuali di sinistra e delle minoranze sessuali. Inoltre, non riguardavano il solo ambito politico, ma avevano come obiettivo un maggior radicamento del principio della libera scelta individuale nella vita di tutti i giorni. Importante, al riguardo, si rivelò la diffusione della cultura del consumo nella misura in cui consentiva di scegliere tra preferenze e beni diversi. Certo, a fronte delle limitate disponibilità finanziarie il principio della libera scelta poteva tradursi in comportamenti concreti solo in minima parte. Ma gli annunci pubblicitari diffondevano sogni e suscitavano speranze nel futuro, ad esempio in un mondo in cui per gli uomini (e per non poche donne) sarebbe stato normale possedere un’auto; a ciò si aggiunga che potevano adattare tale principio anche alle persone con ridotte disponibilità finanziarie dal momento che – questo l’argomento usato – i prezzi unitari consentivano agli acquirenti di acquistare, ad esempio, le scarpe di cui avevano {p. 177}veramente bisogno invece di dover accontentarsi di quelle più a buon mercato. Quel che è certo è che tutto questo aprì la strada a tendenze assolutamente reali: si pensi all’aumento dei viaggi turistici a prezzi modici all’interno della Germania a bordo di pullman (extraurbani) con relativi pernottamenti in pensioni anch’esse a buon mercato.
L’idea del consumatore autonomo si diffuse anche in quegli ambienti in cui meno ce lo si poteva aspettare. Il quotidiano comunista «Rote Fahne», ad esempio, ospitava, accanto alla «razione» quotidiana di ideologia, annunci pubblicitari per prodotti del tabacco, grammofoni, motociclette e per i grandi magazzini Karstadt. Nell’agosto del 1929 il giornale pubblicò la pubblicità di una sigaretta corredata da una foto che mostrava uomini al lavoro che contemporaneamente – così la didascalia – erano «anche maestri di vita» [2]
. Un altro esempio è la radio. Da un lato, durante la Repubblica di Weimar i programmi radiofonici erano controllati dallo Stato ed avevano contenuti pedagogici per così dire «borghesi», in altre parole venivano mandati in onda soprattutto concerti sinfonici e conferenze accademiche; dall’altro, però, per lo meno durante la giornata non mancavano le alternative di intrattenimento e più in sintonia con la vita di tutti i giorni. La pubblicità degli apparecchi radio sottolineava che gli ascoltatori erano liberi di scegliere il programma che prediligevano ed eventualmente anche di cambiarlo: «Se non ti va di sentir parlare di economia, gira e ascolta qualcos’altro» [3]
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Al di là delle rivendicazioni rivoluzionarie e delle promesse indirizzate ai consumatori, non bisogna dimenticare le più vecchie varianti dell’autonomia individuale ancora decisamente presenti nella Germania degli anni Venti e dei primi anni Trenta. Tra queste rientrava l’idea di una aggressiva strategia bellica
{p. 178}in cui le decisioni dei singoli ufficiali rimanevano importanti anche nell’età degli eserciti di massa e del crescente utilizzo di mezzi tecnologici: idea sostenuta e perfino ulteriormente propagandata dalla Reichswehr, che in applicazione del Trattato di Versailles ora non poteva schierare più di 100.000 militari di professione. Il generale Hans von Seeckt, capo di stato maggiore dell’esercito, preferiva i brevi ordini verbali alle lunghe istruzioni scritte. Per adattare il principio della guerra di movimento alle esigenze di una moderna strategia bellica, motivazione e iniziativa personali non erano, a suo parere, meno necessarie delle unità corazzate mobili e delle rapide comunicazioni radio. Scrisse infatti nel 1925: «Ora la cosa più importante è accrescere le responsabilità dei singoli individui, soprattutto la loro capacità di agire in maniera indipendente, e di conseguenza migliorare l’efficienza di tutto l’esercito» [4]
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Note
[1] Cfr. L. Marhoefer, Sex and the Weimar Republic: German Homosexual Emancipation and the Rise of the Nazis, Toronto, University of Toronto Press, 2015, p. 30.
[2] Pubblicato da T. van der Knaap, Politiek in de uitverkoop. Advertenties, consumptie en politieke identiteit in nationaalsocialistische en communistische Kranten in de Weimarrepubliek, 1925-1932, Masterarbeit, Universität Amsterdam, 2018, p. 75.
[3] Cfr. C. Lenk, Die Erscheinung des Rundfunks. Einführung und Nutzung eines neuen Mediums 1923-1932, Opladen, Westdeutscher Verlag, 1996, p. 187.
[4] Cfr. R.M. Citino, The Path to Blitzkrieg. Doctrine and Training in the German Army, 1920-1939, Boulder, Lynne Rienner, 1999, p. 57.