Christoph Cornelissen, Gabriele D'Ottavio (a cura di)
La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c7
Al di là delle rivendicazioni rivoluzionarie e delle promesse indirizzate ai consumatori, non bisogna dimenticare le più vecchie varianti dell’autonomia individuale ancora decisamente presenti nella Germania degli anni Venti e dei primi anni Trenta. Tra queste rientrava l’idea di una aggressiva strategia bellica
{p. 178}in cui le decisioni dei singoli ufficiali rimanevano importanti anche nell’età degli eserciti di massa e del crescente utilizzo di mezzi tecnologici: idea sostenuta e perfino ulteriormente propagandata dalla Reichswehr, che in applicazione del Trattato di Versailles ora non poteva schierare più di 100.000 militari di professione. Il generale Hans von Seeckt, capo di stato maggiore dell’esercito, preferiva i brevi ordini verbali alle lunghe istruzioni scritte. Per adattare il principio della guerra di movimento alle esigenze di una moderna strategia bellica, motivazione e iniziativa personali non erano, a suo parere, meno necessarie delle unità corazzate mobili e delle rapide comunicazioni radio. Scrisse infatti nel 1925: «Ora la cosa più importante è accrescere le responsabilità dei singoli individui, soprattutto la loro capacità di agire in maniera indipendente, e di conseguenza migliorare l’efficienza di tutto l’esercito» [4]
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Una ulteriore variante dell’autonomia individuale riconducibile al XIX secolo era data dalla indipendenza professionale ed economica. Essa venne difesa non solo da medici e professori ma anche da commercianti al dettaglio, artigiani e contadini, per quanto grandi potessero essere, va da sé, le differenze tra questi gruppi. I lamenti dei contemporanei sulla perdita di autonomia vanno interpretati su questo sfondo e non recepiti acriticamente nell’analisi storica. Se, come spesso avveniva, tali lamenti provenivano da ambienti accademici, essi avevano a che fare col fatto che l’ideale di una indipendenza esistenziale e intellettuale ora si trovava sotto pressione o veniva conculcato. «L’individuo è ridotto a funzione», così nel 1932 il filosofo Karl Jaspers lamentava la crescente importanza di tecnica, divertimento e comfort [5]
. La sua presa di posizione dimostra per lo meno sia la forza d’inerzia che la perdita di significato del vecchio ideale di autonomia. Il che colpì anche gli intellettuali che criticavano questo ideale. Sia il critico culturale Siegfried Kracauer, a sinistra, che lo scrittore e veterano di {p. 179}guerra Ernst Jünger, a destra, osservarono causticamente che le idee di individualità tipiche dell’età borghese non erano ancora morte [6]
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Lo stesso vale per l’insoddisfazione di artigiani, commercianti e contadini in merito allo sviluppo economico e sociale. A partire dalla svolta del secolo si sentivano minacciati dalla produzione di massa, dai grandi magazzini e dai prodotti agricoli di importazione – senza contare che ora, dopo la fine della Prima guerra mondiale, dovevano anche confrontarsi con il continuo rafforzamento in termini di potere e consensi dei socialdemocratici. Così, i rappresentanti degli artigiani controbattevano a tutti i programmi di economia pubblica sostenendo che bisognava consentire al singolo di conservare la «sua indipendenza personale e professionale». A ciò si aggiunga che sempre più persone aspiravano all’autonomia. Il che rendeva più difficile trovare e/o conservare forza lavoro dipendente sulla quale fondare la propria indipendenza. Con il risultato che i funzionari dell’artigianato scomodarono anche norme morali per lamentarsi del comportamento di domestici e apprendisti e per impedire che costoro godessero di un trattamento giuridico analogo a quello dei normali lavoratori:
«Nel molto tempo libero a disposizione l’apprendista bighellona e scialacqua il salario e il compenso. Dissolutezza e allentamento di disciplina e ordine sono il bel risultato della giornata di lavoro di otto ore» [7]
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Queste lamentele rinviano ad un problema generale: la grande varietà delle aspirazioni all’autonomia individuale appariva sconcertante e spesso frustante ai contemporanei. Si andava dal desiderio di libertà degli operai dell’industria durante la rivoluzione al bisogno dei consumatori di poter scegliere tra diversi prodotti. Né l’uno né l’altro avevano molto in comune {p. 180}con gli sforzi dei professori di preservare il loro spazio di attività intellettuale, o con quelli dell’esercito volti ad addestrare soldati e ufficiali in modo che potessero anche agire in modo autonomo. L’idea di autonomia di contadini e artigiani si scontrava in modo perfino diretto con quella di domestici e apprendisti. A ciò si aggiunga che nella vita personale differenti aspirazioni all’autonomia individuale potevano cozzare le une contro le altre o sovrapporsi a norme consolidate in modo da provocare non poche tensioni. Ad esempio, l’autrice di una lettera inviata al giornale popolare «B.Z. am Mittag» si lamentava per il fatto che uomini apparentemente di idee progressiste trovavano interessanti le donne indipendenti ma alla fine le respingevano sdegnati:
«Prima gli uomini incoraggiano le donne ad emanciparsi … Ma quando come privati cittadini, come uomini, devono comportarsi di conseguenza ecco che allora scaricano la donna emancipata» [8]
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2. Le conseguenze politiche

La varietà delle aspirazioni all’autonomia spesso in conflitto tra loro mise i movimenti e i partiti politici weimariani di fronte a grandi sfide. Da un lato essi si prefiggevano ambiziosi obiettivi collettivi difficilmente conciliabili con la tendenza di molti tedeschi a perseguire la propria personale idea di autonomia; dall’altro, non potevano opporsi apertamente al principio dell’autonomia individuale dal momento che erano impegnati, in un Paese politicamente ondivago, a conquistare nuovi seguaci senza per questo rinunciare a quelli su cui già potevano contare. Quale fu la reazione delle diverse correnti politiche di fronte a queste contraddizioni?
I partiti d’ispirazione liberal-democratica, il cui elettorato cominciò ben presto a ridursi, incontrarono sempre maggiori {p. 181}difficoltà nella gestione di queste tendenze di segno opposto. Come difensori dell’ideale di autonomia che si era diffuso nel XIX secolo non si adattarono facilmente ai nuovi tempi. Nondimeno, non mancarono i tentativi innovativi in questa direzione, in particolare a Berlino nel milieu del liberalismo di sinistra. Il borgomastro Gustav Böß affermò chiaramente che anche il governo di una metropoli apparentemente anonima poteva sostenere gli individui, i quali, a loro volta, si sarebbero impegnati per il bene comune in modo autonomo. I giornali popolari degli editori ebreo-tedeschi Mosse e Ullstein prospettavano la visione di una società metropolitana i cui membri perseguivano in modo del tutto legittimo le loro personali preferenze e in tal modo sviluppavano nuove forme di interazione sociale in linea con i nuovi tempi. Ma fungevano anche da megafono di richieste più popolari, come quella di non essere possibilmente disturbati nell’esercizio della propria libertà e contemporaneamente di poter contare sull’aiuto pubblico: ad esempio si voleva guidare l’auto senza limiti di velocità e possibilmente senza troppi semafori, ma per questo si pretendeva anche un tipo di asfalto particolarmente antisdrucciolo della cui introduzione doveva farsi carico l’amministrazione pubblica. In tal modo la dinamica mediatica dei mezzi di comunicazione di massa riconducibili all’area liberale di sinistra sfociò in un atteggiamento contradditorio rispetto alle possibilità e ai limiti dell’amministrazione di una grande e complessa metropoli come Berlino.
Problemi non dissimili dovettero affrontare anche i socialdemocratici. Avendo ricoperto un ruolo fondamentale nella nascita della Repubblica di Weimar si schierarono in favore della liberalizzazione della legislazione censoria per dare a tutti, uomini e donne, la possibilità di poter scegliere tra partiti diversi a tutti i livelli dello Stato, e per la creazione di uno Stato sociale in grado di permettere anche a persone dotate di pochi mezzi di sviluppare pienamente la propria personalità. In cambio, i socialdemocratici riponevano grandi aspettative nei cittadini. Rifacendosi all’etica kantiana essi sostenevano che bisognava ubbidire agli imperativi che ognuno si è dato. Durante la rivoluzione un membro del Consiglio {p. 182}dei ferrovieri di Francoforte sul Meno andò dritto al punto: «Dobbiamo essere liberi lavoratori in un libero Stato, e per questo dobbiamo avere gli stessi diritti ma anche gli stessi doveri» [9]
. Una presa di posizione che corrispondeva alla tendenza verso l’emancipazione e l’auto-organizzazione – delle donne ma anche di categorie professionali prima marginali come gli impiegati di banca e i camerieri – che tuttavia si scontrò con una dinamica rivoluzionaria, i cui soggetti, per i socialdemocratici, mancavano troppo spesso della necessaria disponibilità e dedizione al lavoro o, privi com’erano di ogni seria formazione politica, si limitavano a manifestare una opinione purchessia. Questa tensione tra ambizione umanistica ed estraneità nei confronti di molte manifestazioni di libertà sarebbe rimasta una costante per il partito socialdemocratico durante tutto il periodo weimariano. A ciò si aggiunga che i loro rappresentanti tendevano semplicemente a compendiare i progressi dello Stato sociale invece di veicolarli in un attrattivo linguaggio dell’autonomia individuale.
D’altro canto le difficoltà che i liberali di sinistra e i socialdemocratici dovettero affrontare non sono puramente e semplicemente riconducibili alle loro rispettive piattaforme politico-ideologiche ma avevano cause più profonde. Come ha sottolineato Thomas Mergel, un tratto caratteristico della Repubblica di Weimar è consistito nel fatto che le aspettative nei confronti della politica erano estremamente alte e conseguentemente sfociarono spesso in grandi delusioni. Ciò vale anche per la spinta all’autonomia che si espresse in modo impaziente e irruente ma si scontrò con strutture percepite come molto rigide. Dal momento però che queste stesse strutture erano anche instabili, la spinta all’autonomia andava di pari passo con una aspettativa non meno marcata nei confronti del ruolo assistenziale dello Stato. Molti tedeschi si sentivano bloccati nella loro aspirazione all’autonomia, altri si consideravano vittime non adeguatamente assistite di circostanze avverse – e
{p. 183}alcuni vivevano entrambe queste condizioni. Spesso ci si accusava a vicenda di aspirare ad una falsa forma di autonomia, e quindi di perseguire scopi «egoistici» senza riguardo per nessuno. Tutto ciò non poteva che ridurre pericolosamente i margini di azione di un governo democratico, soprattutto quando questo si fondava su fragili coalizioni e disponeva di limitate risorse finanziarie. In tale contesto si intensificarono e divennero sempre più radicali gli attacchi ad un «sistema» considerato impersonale, che frenava i singoli nel loro sviluppo e li lasciava soli alle prese con i loro problemi.
Note
[4] Cfr. R.M. Citino, The Path to Blitzkrieg. Doctrine and Training in the German Army, 1920-1939, Boulder, Lynne Rienner, 1999, p. 57.
[5] K. Jaspers, Die geistige Situation der Zeit (19325), Berlin, De Gruyter, 1979, p. 43.
[6] S. Kracauer, Die Angestellten. Aus dem neuen Deutschland (1929), Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1971, p. 19; E. Jünger, Der Arbeiter. Herrschaft und Gestalt (1932), Stuttgart, Klett-Cotta, 1982, p. 233.
[7] Cfr. H.A. Winkler, Mittelstand, Demokratie und Nationalsozialismus: Die politische Entwicklung von Handwerk und Kleinhandel in der Weimarer Republik, Köln, Kiepenheuer & Witsch, 1972, pp. 72 e 97.
[8] Cfr. M. Föllmer, Auf der Suche nach dem eigenen Leben: Junge Frauen und Individualität in der Weimarer Republik, in M. Föllmer - R. Graf (edd), Die «Krise» der Weimarer Republik: Zur Kritik eines Deutungsmusters, Frankfurt a.M., Campus, 2005, pp. 287-317, 310.
[9] International Institute of Social History, Amsterdam, Archiv des Zentralrats der Sozialistischen Republik, vol. XII, II, p. 54: Verbale della seduta dei membri del comitato dei lavoratori e dei delegati sindacali della direzione distrettuale ferroviaria di Frankfurt (Main), 11 febbraio 1919.