Paolo Conte
Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c1
In generale, l’analisi della distribuzione delle residenze parigine attesta come la tendenza prevalente fosse quella d’installarsi presso locande o maison garnies (stanze ammobiliate) e di indirizzarsi, almeno in un primo momento, in quartieri in cui erano già presenti dei connazionali. Al
{p. 48}tempo stesso, è doveroso sottolineare come queste zone non fossero né separate dal resto della città, né tantomeno organizzate esclusivamente per paesi di provenienza: qui sembra, infatti, che l’eterogeneità della distribuzione parigina fosse comunque prevalente e, dunque, che non si creassero delle comunità prettamente legate ai paesi d’origine. Insomma, proprio il contatto con il contesto parigino indusse a rafforzare i rapporti sociali fra cittadini accumunati sicuramente dall’uso della lingua e spesso anche dai recenti trascorsi politici.
Fatto sta che, per tutto il corso del 1801, la presenza italiana a Parigi continuò a essere non solo consistente nei numeri, ma anche preoccupante da un punto di vista politico [36]
. Una preoccupazione, questa, che si accentuò nel gennaio 1802, ossia quando i Comizi tenutisi a Lione sancirono l’istituzione nei territori settentrionali della penisola della Repubblica italiana, alla cui presidenza fu nominato Napoleone. Non a caso, in quei giorni a Parigi la polizia comunicava che «dans les cafés et dans les sociétés particulières on ne parle que des affaires de la République cisalpine, et toujours dans le même sens», aggiungendo poi che grande attenzione era dedicata all’analisi delle disposizioni costituzionali e degli accordi inerenti la presenza militare francese. Secondo la polizia, del resto, fra gli stranieri presenti nella capitale gli italiani erano, insieme ai polacchi, i più insoddisfatti dell’evoluzione dello scenario politico, dato che essi non solo «n’aiment point en général notre gouvernement, quoiqu’ils affectent en public d’en dire beaucoup de bien», ma poi sostenevano che «les Français n’ont autre chose qu’une monarchie déguisée» [37]
.
Dunque, sin da subito le decisioni assunte a Lione apparvero al mondo patriottico rifugiatosi in Francia come una svolta importante per il futuro assetto della penisola, in quanto, dopo circa un anno e mezzo di assestamento, {p. 49}la nascita di una nuova Repubblica sotto la presidenza del primo Console confermava come il destino politico dell’Italia fosse oramai totalmente legato alle scelte di marca francese [38]
. L’istituzione in gennaio della Repubblica italiana – presto accompagnata prima dall’approvazione, in giugno, della Costituzione della seconda Repubblica ligure sotto l’impulso del ministro plenipotenziario Christophe Saliceti e poi dall’annessione, in settembre, del Piemonte alla Francia [39]
– ufficializzava, dopo gli ardori rivoluzionari del Triennio e dopo una fase di circa 18 mesi in cui i giochi politici erano stati tutt’altro che conclusi, la stabilizzazione napoleonica nella penisola, ossia la sua dipendenza dalla figura del «despota-liberatore». E delle attese e dei dubbi, dei sogni in chiave nazionale e delle prime delusioni che la stabilizzazione sancita a Lione suscitò fra le fila dell’eterogeneo, ma sempre vivo, mondo dell’esilio italiano in Francia dava un’emblematica testimonianza un altro rapporto della polizia redatto ai primi di febbraio:
Il existe à Paris des Italiens de tous les partis, et ils tiennent chacun de leur côté des propos. Les mécontents disent que la nomination du premier Consul comme président de la Cisalpine est l’ouvrage des prêtres et des nobles, que le peuple n’a été compté pour rien, et qu’il faut s’attendre dans ce pays-là à des crises violentes; que les troupes françaises contiennent seules tous les partis; que les patriotes qui ont le mieux servi le premier Consul, lors de la conquête de Milan, sont à présent traînés dans la boue; que leurs services sont comtés pour rien; qu’on persécute tous ceux qui se sont montrés amis de la Révolution, mais qu’il faut voir la fin de tout cela. Les autres, au contraire, rendent le compte le plus satisfaisant de la situation de la République cisalpine, de l’attachement et de la reconnaissance que ses habitants ont conçus pour la personne du premier Consul; qu’il y a bien à {p. 50}la vérité quelques enragés qui ne l’aiment pas, qui désapprouvent tout ce qui a été fait, comme ils blâmeront tout ce qui se fera par la suite, mais que le nombre en est très peu considérable, que ce sont tous des mauvais sujets, qui seront facilement contenus par la masse des bons citoyens. Des malveillants disent, à leur tour, que les Italiens se sont vantés que le premier Consul avait promis d’agrandir le territoire de la République cisalpine en y joignant d’abord une partie du Piémont, puis après les États de Venise [40]
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Inoltre, qualche settimana più tardi, in conseguenza degli accordi di pace stipulati l’anno precedente fra la Corte di Napoli e la Repubblica francese, si riapriva a Parigi anche l’ambasciata napoletana, la cui responsabilità fu affidata a uno degli uomini di fiducia della regina Maria Carolina quale il diplomatico Marzio Mastrilli, meglio noto con il titolo di marchese Del Gallo. La sua residenza divenne presto un punto di riferimento per diversi esuli napoletani, destando non pochi sospetti sia per i comportamenti discutibili dei suoi frequentatori, sia per l’utilizzo che di essi fece l’ambasciatore. Ad esempio, del medico napoletano Michele Attumonelli si riferiva che «son imposture et quelques talents lui donnent les moyens de voir du monde, le Marquis Del Gallo, dont il est l’espion le plus utile et le plus actif, lui procure exprès beaucoup de connaissances»: per queste ragioni, egli doveva essere ritenuto «très dangereux puisqu’il exerce le double métier de médecin et d’espion» [41]
. A colpire gli ispettori era anche lo stile di vita degli uomini più vicini all’ambasciatore: così, se del trentenne Michele Lagreca, descritto come «intime du ministre de Naples», si segnalava come «sa voiture, plusieurs domestiques n’annoncent pas un proscrit qui fut dans le besoin», del duca di Noja, anch’egli «fort lié avec le ministre de Naples», si riferiva che «quoique sans ressource d’aucune espèce, il vit fort à son aise», seppur si aggiungeva che con grande probabilità questi avesse a Parigi un compito di controspionaggio, in quanto «on croit aussi qu’il est l’espion de la reine et d’Acton pour surveiller le même ambassadeur». Ma il principale punto di riferimento {p. 51}del diplomatico napoletano era un ambiguo abate siciliano, Saverio Scrofani, che in quei mesi la polizia presentava con toni inquietanti [42]
:
Il n’a rien de commun avec les patriotes déportés en France. [...] Le Marquis Del Gallo le choisit pour son espion ordinaire, ses talents, quoique, très mal employés, lui fournissent des moyens pour exercer bien cet état et pour se rendre de jour en jour plus digne de la protection du ministre [...]. Au reste, cet homme avec tous les apparences de la probité et de la sagesse est d’une immoralité consommée et très dangereuse par ses talents mêmes. Il est très intimement lié avec les plus vils coquins de tous les Napolitains qui sont à Paris, il les emploie comme espions et par ce moyen, malgré tous les délits dont ils sont coupables, il leur a fait obtenir l’appui du ministre, qui d’ailleurs n’est point difficile à prodiguer sa protection et ses certificats à toute la canaille des Napolitains [43]
.
A Scrofani facevano riferimento anche altri esuli, quale il palermitano Emmanuele, descritto come il suo «compagnon inséparable en fait de crimes et de voyages», e il napoletano Vincenzo Manni, presentato come «son espion le plus dévoué». Si trattava di un gruppo di rifugiati composto soprattutto da siciliani e che, oltre a essere in stretto contatto con l’ambasciatore, era solito riunirsi presso l’abitazione parigina di De Liberti, «un de ces individus dont la vie est un ensemble de crimes, de perfide et d’imposture». Per questo, la casa di quest’ultimo era tratteggiata come un luogo in cui «on y outrage, on y profane le nom de Napoléon et le gouvernement» [44]
.
Tuttavia, non si deve certo pensare che l’emigrazione meridionale in Francia fosse solo fonte di disordini. Infatti, se da un lato non mancarono personaggi ambigui e compor{p. 52}tamenti discutibili, dall’altro furono comunque prevalenti i casi virtuosi, tant’è che la stessa polizia non poté esimersi dal riconoscere i meriti di una comunità che nella sua maggioranza non mancava di dare prove di fedeltà e probità. Ad esempio, quel Francesco Ciaia che sin dai primi mesi dell’esilio era stato attivo nella Commissione per il soccorso ai rifugiati veniva presentato come «ami des Français, [...] honnête, généraux», mentre lodi ancor più pronunciate erano rivolte a Girolamo Arcovito, il quale, nonostante si trovasse «sans place et dans l’oubli», era descritto come «le meilleurs de tous les Napolitains [...] pour ses talents militaires, ses services, ses vertus et surtout pour son étonnante et courageuse patience à supporter son infortune» [45]
.
Al di là della coerenza politica, di questi esuli si apprezzava soprattutto la tendenza ad acquisire prestigio sociale e indipendenza economica attraverso il lavoro. Così, del chirurgo Antonio Adamucci, «homme estimable» e già «utile aux Français» nei lontani mesi dell’assedio di Tolone, si lodava il fatto che «il exerce ici sa profession», mentre il maestro di musica Antonio Paccini era presentato come un «honnête homme» propenso a restare ancora a lungo a Parigi in quanto «commence à faire ses affaires», come del resto stava accadendo a Raffaele Carli, che da poco aveva aperto sulle rive della Senna «le restaurant Parthénope» [46]
.
Ancor più nei contesti periferici, poi, questi esuli si mettevano in luce per le loro competenze, riuscendo a farsi apprezzare anche dalla popolazione locale, che spesso chiedeva esplicitamente la prosecuzione del loro soggiorno. Casi, questi, di straordinaria importanza, perché attestano come quest’emigrazione fosse intesa dal paese d’accoglienza più quale risorsa che come fonte di preoccupazione. Dei vari esempi possibili a tal riguardo quello più indicativo riguarda i napoletani Matteo Vasta e Agostino Pecchia, il primo medico e il secondo professore di matematica ed entrambi giunti in Francia nel 1799 per poi ritrovarsi nel piccolo comune savoiardo di La Chambre a causa di problemi di salute
{p. 53}che avevano impedito loro di raggiungere Bourg-en-Bresse per arruolarsi nella Legione italica. Quando nell’estate del 1801 la Sotto-prefettura del dipartimento del Mont-Blanc fu incaricata di fornire informazioni sulla condotta dei due a seguito della loro richiesta di ottenere «l’autorisation de fixer leur résidence en France», i funzionari non poterono che lodarli riconoscendone la serietà e il positivo apporto fornito a quelle aree.
Note
[36] J.-L. Le Quang, De l’ennemi au nouveau Français: la gestion des étrangers par la police napoléonienne (1799-1814), in «LRF», 22, 2022, online: https://journals.openedition.org/lrf/6034.
[37] Aulard (a cura di), Paris sous le Consulat, cit., vol. 2, p. 722.
[38] A. De Francesco, L’Italia di Bonaparte. Politica, statualità e nazione nella penisola tra due rivoluzioni, 1796-1821, Torino, Utet, 2011, pp. 47-59.
[39] Sul contesto politico dei primi del secolo si veda, per il Piemonte, G. Vaccarino, I giacobini piemontesi, 1794-1814, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1989, vol. 2; per la Liguria, G. Assereto, La seconda Repubblica ligure, 1800-1805. Dal 18 brumaio genovese all’annessione alla Francia, Milano, Selene, 2000.
[40] Aulard (a cura di), Paris sous le Consulat, cit., vol. 2, pp. 729-730.
[41] ANF, F/7, cart. 6474, Renseignements sur les Napolitains réfugiés.
[42] G. Giarrizzo, Introduzione a S. Scrofani, Memorie inedite, Palermo, Regione siciliana, 1970, pp. 7-36; A. De Francesco, Storie dell’Italia rivoluzionaria e napoleonica (1796-1814), Milano, Bruno Mondadori, 2016, pp. 141-159.
[43] ANF, F/7, cart. 6474, Renseignements sur les Napolitains réfugiés. Per altre informazioni sul suo conto cfr. BNF, Manuscripts Italiens, Fonds Custodi, cart. 1562, dr. Scrofani, ff. 286-291.
[44] ANF, F/7, cart. 6474, Renseignements sur les Napolitains réfugiés.
[45] Ibidem.
[46] Ibidem.