Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c5
Intenzioni simili dichiarava anche
il militare pugliese Domenico Tupputi, quarantenne nativo di Bisceglie che nella Napoli
repubblicanizzata era stato comandante del forte di Trani. Ancora nel settembre 1807,
non avendo ottenuto alcun soccorso da parte del Ministero della polizia, si rivolgeva al
dicastero della guerra dichiarando di essere quanto mai desideroso di «rejoindre sa
patrie et y obtenir du service»
[30]
. Il suo ritorno in patria, del resto, era stato ritardato di oltre un anno a
causa degli interessi scientifici sviluppati oltralpe, dato che, ben lungi dal
consacrarsi esclusivamente alla carriera militare, nel corso dell’esilio si era dedicato
agli studi di agronomia e proprio nel 1806 aveva dato alle stampe un testo, le
Réflexions succinctes sur l’état de l’agriculture et de quelques autres
parts de l’administration dans le Royaume de Naples, che era una feroce
critica alla politica agricola attuata dalla dinastia borbonica e che poi avrebbe
riproposto 12 mesi più tardi in una seconda versione caratterizzata da «plusieurs additions»
[31]
. Proprio la redazione di tali aggiunte fu con probabilità la causa del
ritardo del suo rimpatrio, avvenuto solo sul finire del 1807 e non prima di aver inviato
il testo a Napoleone, strumentalmente presentandolo come un «ouvrage qui traite de
l’état de l’agriculture et de quelques parties de l’administration dans le Royaume de
Naples, et qui [...] peut être utile dans cet État gouverné par l’Auguste frère de V.M.»
[32]
.
¶{p. 172}
Il desiderio di rendersi utile in
patria accompagnava anche uno dei più prestigiosi napoletani rimasti in Francia quale il
calabrese Michele Torcia, che negli anni dell’esilio era stato, mediante la redazione di
petizioni collettive e lettere di raccomandazione individuali, un punto di riferimento
per l’intera comunità napoletana a Parigi
[33]
. Ancora alla vigilia della partenza, nonostante la veneranda età di 80 anni,
questi continuava ad aspirare a incarichi culturali nel Regno e al riguardo, forte di
un’esperienza pluridecennale maturata in Olanda «en qualité de bibliothécaire Royale et
de secrétaire d’Ambassade», chiedeva a Napoleone «deux lignes de recommandation auprès
de S.M. le roi Votre frère, pour me faire rendre la place ou la pension de premier
bibliothécaire». Del resto, pur avendo vissuto da solo e in povertà nei pressi del
centralissimo Pont Neuf, negli anni parigini le sue competenze gli avevano aperto le
porte delle più importanti istituzioni del tempo, tant’è che risultava «associé à
plusieurs académies» ed era poi descritto come «homme de lettres très connu au Ministre
de l’Intérieur, à M. Degérando, à l’Institut National et à S.M. l’Empereur lui-même»
[34]
.
Inoltre, la sua richiesta di un
posto da bibliotecario in patria era supportata da una memoria, datata 6 maggio 1806,
contenente un «plan pour établir une marine formidable dans le Royaume de Naples». Si
tratta di un lungo manoscritto con cui Torcia illustrava le potenzialità che,
soprattutto sul piano delle risorse naturali, la nuova presenza francese nel Mezzogiorno
peninsulare metteva a disposizione di tutto l’Impero, sottolineandone poi gli importanti
risvolti politico-militari. Insomma, facendo leva sul decisivo ruolo del Regno di
Napoli, egli provava a rilanciare la politica mediterranea dell’Impero e a dare nuovo
impulso all’ormai storico scon¶{p. 173}tro che vedeva opposta la Francia
all’altra grande potenza navale del tempo, l’Inghilterra
[35]
.
L’autore partiva dalla
constatazione secondo cui «la France et toute l’Europe ont un besoin indispensable de
mettre un frein à l’ambition démesurée de l’Angleterre». Di qui, ben lungi dal concepire
la presenza francese in patria quale mera occupazione straniera, sosteneva la necessità
di utilizzare adeguatamente le risorse presenti nel Regno, fra le quali annoverava
soprattutto il «bois de construction». Questo, infatti, avrebbe favorito la
realizzazione di «gros vaisseaux» e «grandes flottes» che sarebbero stati decisivi tanto
in eventuali scontri navali, quanto nel dar nuovo impulso al commercio marittimo. In
particolare, evidenziava come tale risorsa fosse molto presente nella natia Calabria,
dove, soprattutto nella zona della Sila, abbondava un particolare tipo di legno che era
«si sollicite et compacte qu’il ne donne aucun passage à l’humidité filtrée de mer [...]
comme il arrive aux navires des autres pays». Inoltre, in quell’area del profondo sud
non mancavano altri importanti prodotti, come la pece (utile proprio nella costruzione
delle navi), i pesci (soprattutto trote e anguille), oltre a salumi e prodotti caseari
di vario genere. Insomma, a suo avviso era dirimente che in Francia fosse noto come «la
Sila de Cosenza est une véritable Corne d’abondance pour la Nation
et pour les pays étrangers»
[36]
.
Si trattava di parole con evidenti
finalità performative, perché servivano al calabrese Torcia per implicitamente esortare
Parigi a una continuazione delle operazioni militari nel Regno. Nella primavera del
1806, infatti, tali operazioni avevano sì consentito l’ingresso in Napoli delle forze
napoleoniche, ma non avevano ancora dato modo di stabilizzare la presenza francese in
tutto il Mezzogiorno, per il cui definitivo consolidamento si sarebbe dovuto attendere,
in estate, l’ulteriore avanzata verso sud dell’esercito del generale André Massena.
Così, evocando il glorioso precedente¶{p. 174} della dominazione
normanna, l’autore concludeva ribadendo l’importanza che finanche le aree più profonde
del Regno potevano avere nel destino della politica estera imperiale:
Par ce court aperçu, il résulte clairement que si V.M.E. fait garder et réfléchir la Sila avec le même soin que les rois vos prédécesseurs, entre autres les Normands qui à l’aide de ces flottes fondèrent un Empire dans toute la Méditerranée, vous aurez en peu de temps de quoi faire face aux flottes anglaises, d’autant plus que le Royaume fournit de quoi les armer [37] .
Del resto, anche nei mesi
successivi il tema di una possibile continuazione dell’avanzata francese verso sud
sarebbe stato ripreso tanto nelle domande degli esuli, quanto nelle relative valutazioni
del Ministero. In particolare, piuttosto frequente era il riferimento alla Sicilia, dato
che l’isola, ormai divenuta l’ultimo bastione borbonico nei territori meridionali,
costituiva uno spazio intorno al quale si giocava una partita cruciale nello scontro
mediterraneo fra Francia e Inghilterra. Non a caso, nel settembre 1807, Giambattista
Paradisi, nel chiedere il sussidio per il rientro in patria, dava la sua disponibilità
ad «agir pour faciliter aux troupes de S.M. la livraison de la Sicile»
[38]
. Inoltre, sin dall’anno precedente le autorità ministeriali avevano deciso
di accordare il finanziamento a una figura rilevante nelle relazioni diplomatiche
isolane della stagione rivoluzionaria quale l’«ancien consul de France à Messine» Pierre
Ribbaud, fra i cui meriti vi era quello di aver resistito in carcere alle torture
borboniche inflittegli per ottenere notizie sui movimenti francesi in Sicilia. Ed era,
quella relativa a Ribbaud, una scelta dall’evidente sapore politico, di cui si può
percepire la reale portata solo se si tiene conto che, secondo la polizia, questi «a des
connaissances sur la Sicile et il y a conservé des intelligences qui peuvent être
utiles» e se si considera che, essendo egli francese, in teoria non avrebbe potuto
essere annoverato fra i beneficiari del sussidio. Il rapporto sul suo conto, pertanto,
non fa che confermare ¶{p. 175}la portata strategica delle valutazioni
sottostanti le scelte relative all’elargizione dei finanziamenti:
M. Ribbaud, quoique né à Messine, ne peut pas être considéré comme sujet napolitain, puisqu’il est né de parents Français et est toujours resté attaché au service de France. Sous ce rapport les secours accordés aux réfugiés napolitains ne lui seraient pas dus. Mais des considérations importantes basées sur des faits notoires, sur des services essentiels rendus et à rendre par lui dans la Sicile peuvent déterminer l’attention et l’intérêt de S.E. en faveur de M. Ribbaud [39] .
Secondo le considerazioni delle
istituzioni francesi, inoltre, nel favorire il rientro in patria degli esuli giocavano
un ruolo rilevante non solo le conoscenze politiche, ma anche le competenze tecniche.
Questo spiega perché fra gli uomini che ottennero il sussidio, piuttosto alto fu il
numero di ingegneri ed esperti di discipline scientifiche. Fra questi vi erano i già
evocati Matteo Vasta e Agostino Pecchia, il primo medico e il secondo professore di
matematica ed entrambi rifugiatisi nel dipartimento del Mont-Blanc: in quegli anni essi
si erano fatti talmente apprezzare che, nel descriverli come uomini «infiniment
recommandables pour leur talent», le autorità sottolineavano come «le gouvernement ne
saurait mieux placer ses bienfaits»
[40]
. Ancor più eclatante è il caso del leccese Marino Conte, dato che questi,
per ammissione della stessa polizia, non era annoverabile fra gli esuli del 1799,
essendo giunto a Parigi solo anni dopo e per questioni professionali, ossia per
perfezionare le sue competenze nella lavorazione delle manifatture tessili. Infatti, per
quanto il rapporto sul suo conto rendesse noto come egli fosse stato «envoyé en France
par son gouvernement pour y apprendre les procédés de filature», egli ottenne lo stesso
il sussidio in quanto a prevalere nella valutazione della sua domanda fu la convinzione
che «le fruit de ses études peut être fort utile à son pays»
[41]
.¶{p. 176}
Anche Giambattista Piatti,
nonostante il ritardo con cui presentò la domanda, ottenne il finanziamento grazie alle
proprie competenze professionali, che tra l’altro in Francia gli avevano permesso di
assumere la direzione di diversi lavori pubblici. Architetto e figlio di una famiglia
schieratasi a sostegno della Repubblica (tanto che sia il padre che un fratello erano
caduti vittima della restaurazione), durante tutto il 1806 egli presiedette ai lavori
per la costruzione della colonna imperiale a Boulogne-sur-Mer e proprio per questo non
gli fu possibile intraprendere subito la strada del ritorno. Tuttavia, quando nella
primavera successiva i lavori che lo avevano a lungo impegnato terminarono, non faticò a
ottenere il sostegno, sottolineando come «n’ayant plus rien à faire en France, il est
naturel que je désire retourner dans ma patrie»
[42]
.
Poche settimane più tardi, nel
maggio 1807, avrebbe ottenuto il finanziamento anche il fratello Francesco, come lui
esule del 1799 (seppur poi installatosi a Marsiglia) e come lui ritardatario nel
presentare la domanda. In questo caso, la ragione dell’indugio era stata una «longue
maladie» che gli aveva impedito d’intraprendere il viaggio, ma ciò che qui preme
segnalare è che, essendo impossibilitato a recarsi nella capitale per riscuotere il
sostegno, egli suggerisse ai funzionari ministeriali di versare i soldi all’amico
Francesco Ciaia rimasto a Parigi, che poi si sarebbe occupato di fargli recapitare l’importo
[43]
. Una questione, questa, che, al netto delle questioni logistiche, assume una
certa rilevanza se si tiene conto che nel 1800 Ciaia era stato il responsabile per i
napoletani nella Commissione per i soccorsi ai rifugiati. Dunque, seppur nei limiti del
possibile e senza incarichi ufficiali, i protagonisti di quei primi mesi dell’esilio
continuavano a operare concretamente a sostegno dei loro compatrioti. Al riguardo,
occorre poi aggiungere che, nelle loro richieste, gli esuli non mancavano di evocare in
proprio sostegno le relazioni intrattenute con importanti personalità del tempo
conosciute in patria durante la rivoluzione: fra queste
spic
¶{p. 177}cava soprattutto l’allora senatore Abrial, ex commissario
organizzatore nella Napoli repubblicanizzata del 1799.
Note
[30] AMG, Shat, 2/YE, dr. 4006/18.
[31] D. Tupputi, Réflexions succinctes sur l’état de l’agriculture et de quelques autres parts de l’administration dans le Royaume de Naples sous Ferdinand IV, Paris, Le Becq, 1806.
[32] ANF, F/10, cart. 1031, dr. 7.
[33] R. Tufano, Michele Torcia: cultura e politica nel secondo Settecento napoletano, Napoli, Jovene, 2000; A.M. Rao, Un letterato faticatore nell’Europa del Settecento: Michele Torcia (1736-1808), in «Rivista Storica Italiana», 107, 1995, pp. 647-726; E. Tortarolo, Michele Torcia: un funzionario tanucciano tra Magna Grecia ed Europa, in Bernardo Tanucci e la Toscana, Firenze, Olschki, 1986, pp. 139-148.
[34] ANF, F/7, cart. 6474, dr. Michele Torcia.
[35] ANF, F/7, cart. 6474, dr. Michele Torcia, Mémoire à Napoléon (Parigi, 6/05/1806).
[36] Ibidem.
[37] Ibidem.
[38] ANF, F/7, cart. 6474, dr. Jean Baptiste Paradis.
[39] ANF, F/7, cart. 6474, dr. Pierre Ribbaud, Rapporto della divisione di sicurezza a Fouché (Parigi, 14/05/1806).
[40] ANF, F/7, cart. 6474, dr. Augustin Pecchia et Vasta.
[41] ANF, F/7, cart. 6474, dr. Raymond Liberati.
[42] ANF, F/7, cart. 6474, dr. Jean Baptiste Piatti.
[43] ANF, F/7, cart. 6474, dr. François Piatti.