Paolo Conte
Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c5
Proprio l’esilio delle donne fu il più caratterizzato dal fenomeno della riconversione professionale, in quanto per esse il soggiorno all’estero significò l’assunzione di nuove e maggiori responsabilità famigliari. Fu ciò che accadde a Vincenza Cadorna e Maria Concetta Montavelli dopo esser state ripudiate dai rispettivi mariti e lasciate da sole con l’intera famiglia a carico: se la prima scriveva alla polizia per denunciare come la partenza del compagno l’avesse messa «dans la plus grande gêne» obbligandola a occuparsi di «quatre enfants en bas âge qu’il m’est impossible de soutenir», la seconda, abbandonata a Marsiglia in compagnia dei
{p. 167}due figli, si vide «obligée de faire des ouvrages de broderie pour se procurer les moyens d’existence» [21]
.
In questo scenario, il ritorno in patria era inteso quale straordinaria opportunità per rilanciare una condizione esistenziale fattasi sempre più complessa. Certo, ad animare le volontà del rientro a Napoli non mancarono anche ambizioni più prettamente politiche, ma senza dubbio la speranza di risolvere la propria difficile situazione facendo leva sulle risorse rimaste in patria giocò un ruolo cruciale. Ne danno un’emblematica testimonianza le parole con cui da Lione Gioacchino Abate, ex militare costretto a convertirsi alla carriera di pittore durante l’esilio, s’indirizzava al Prefetto per esporgli i problemi vissuti in quegli anni:
Lors de la proscription des amis des Français je fus proscrit, ma femme aussi, nous mimes le pied sur cette terre hospitalière, mais il fallait travailler et je n’avais point d’état, ayant été attaché à l’ancienne cour. Cependant, comme j’avais appris à peindre par agrément, je fis le métier de peindre; ma famille grossie et cet état que je ne possède pas à un assez haut degré, ne peut plus me suffire pour nourrir ma femme et quatre enfants, nés dans cette ville. J’ai, comme un bon père et un bon citoyen, épuisé toutes les ressources pour subvenir à leurs besoins, mais toutes ont été et sont encore trop faibles. Il ne me reste donc plus de moyens contre mes actuelles critiques circonstances que de me rendre dans ma patrie, où j’ai l’espoir de trouver des ressources pour soustraire ma famille à l’indigence et pour donner une éducation à mes enfants [22]
.

2. Fra l’obbligo di tornare e il desiderio di nuovi incarichi

I dati quantitativi sulla consistenza dei napoletani desiderosi di far rientro in patria meritano un’adeguata riflessione, da svolgersi anche alla luce dell’analisi sulle specifiche cause {p. 168}che portarono i singoli rifugiati a interrompere il proprio soggiorno in Francia. Infatti, al contrario di quanto spesso si tende a credere, non sempre il ritorno degli esuli fu il risultato delle loro volontà, non sempre coincise con la realizzazione dell’atteso miraggio di porre fine alla sofferta permanenza all’estero: anzi, in diversi casi esso si rivelò più imposto dalle istituzioni napoleoniche che richiesto dai singoli rifugiati. Un’imposizione, questa, che era dovuta a ragioni non solo e non tanto di ordine pubblico, bensì di politica culturale, perché rispondeva alla volontà imperiale di diffondere principi politici e tecniche scientifiche anche oltre i confini dell’Esagono e di farlo, appunto, attraverso quel personale che tali nuove dottrine aveva avuto modo di conoscere proprio nel corso del soggiorno parigino.
Così, in questa sorta di ribaltamento del valore dell’esilio (che da esperienza forzata era diventato una grande opportunità di crescita), anche il ritorno era spesso concepito più come un dovere morale, più come un’imposizione esterna, che come il raggiungimento del sogno a lungo ambito. L’esempio più eclatante è costituito da Giosuè Sangiovanni, scienziato salernitano giunto a Parigi sin dal 1799 e poi a lungo assiduo studente delle lezioni erogate dai più prestigiosi naturalisti del tempo [23]
. Certo, al momento dell’occupazione imperiale del Regno di Napoli anch’egli sottopose la domanda per l’ottenimento del sussidio, ma ciò avvenne perché a tale richiesta fu indotto dai suoi maestri, interessati a sfruttare le sue competenze per sostenere gli indirizzi napoleonici nella penisola. Infatti, sul finire del 1807, dopo anni di studio condotti al Collège de France e al Muséum d’histoire naturelle, Sangiovanni concludeva il suo esilio non per propria volontà, ma perché sollecitato a farlo dalle pressioni del maestro Jean-Baptiste Lamarck, che sperava di trovare nell’allievo un valido strumento di diffusione delle sue teorie nel Mezzogiorno d’Italia. Così, se nei documenti ufficiali sottoposti al Ministero della polizia appare solo la formale intenzione di Sangiovanni di far {p. 169}rientro in patria (comunque emblematicamente motivata dalla volontà «d’y apporter les connaissances acquises en France») [24]
, nel diario privato emergono le reali motivazioni alla base di un passaggio così rilevante per la sua carriera. In pagine di grande bellezza, egli confessava tutta la sofferenza provata nel giorno della definitiva partenza, ribadendo la sua profonda riconoscenza per la città che lo aveva accolto, che lo aveva formato alle nuove dottrine scientifiche e che, tuttavia, mai lo aveva distolto da quei principi patriottici che, anni prima, ne avevano causato l’esilio:
Ecco giunto per me il giorno dell’estremo dolore. Sono partito da Parigi alle 11 del mattino, fra le lagrime, gli affettuosi abbracci e gli ultimi adieux delle famiglie a me più care. [...] In tal modo ho abbandonato la città ove ho dimorato otto anni continui; ove ho passato il fiore della mia gioventù; ove ho appreso quelle conoscenze che indarno avrei ricercato altrove, e che mi sono state comunicate con amore paterno ed affettuoso dai miei illustri maestri; ove ho ricevuto i primi e ultimi germi della mia civilizzazione e della vera morale filantropica; ove i pregiudizii della mia prima educazione sono stati completamente svelti e rimpiazzati da principii di filantropia e di generosa magnanimità di cuore; ove sono stato amato, considerato, stimato e protetto; ove, infine, mi si sono istillati nell’animo i principii della vera libertà sociale, che rende grandi i re e forti i cittadini, e quelli del sacro amor di patria e dell’amor nazionale, i quali soli rendon robusti, istruiti, indipendenti e celebri i popoli. Chi sa quante volte avrò a pentirmi del passo sconsiderato pel quale ora m’incammino! Passo male augurato, al quale mi ha indotto il solo amore della mia povera madre e l’ubbidienza per riconoscenza pel mio vecchio e degno maestro Lamarck. Faccia il cielo che così non sia! [25]
Non è un caso, pertanto, che fra i beneficiari del finanziamento fossero in molti coloro i quali erano considerati, per via delle loro competenze, in grado di apportare un valido contributo all’ormai decisivo terreno dell’amministrazione nel Regno. Insomma, se da un lato si provava a favorire {p. 170}l’allontanamento di quei soggetti le cui precarie condizioni economiche suscitavano preoccupazioni in materia di ordine pubblico, dall’altro altrettanto pronunciata era la volontà di assecondare il ritorno in patria di quelle intelligenze reputate utili all’attuazione dei nuovi indirizzi a Napoli. Si trattava di uomini non per forza giovanissimi, di formazione diversa e con competenze di varia natura, ma pur sempre accomunati tanto da una fedeltà alla Francia che proprio i lunghi anni oltralpe avevano consolidato, quanto da un navigato profilo culturale che li rendeva appetibili in un contesto in cui, anche nella penisola, occorreva stimolare un massiccio ricambio del personale amministrativo.
A tal riguardo, le considerazioni che già nel marzo 1806 il commissario generale di polizia di stanza a Torino presentava al ministro Fouché erano quanto mai significative. Questi, infatti, dopo aver sottolineato come vi fosse in Francia «un nombre assez considérable de Napolitains», suggeriva di far leva su una politica che elargisse loro incarichi pubblici nel Regno, dicendosi convinto che, siccome «ces individus sont familiarisés depuis plusieurs années avec l’administration française et doivent d’ailleurs de la reconnaissance au gouvernement qui les a accueillis», il loro ritorno a Napoli avrebbe prodotto un «effet utile» [26]
.
In questo scenario, non stupisce che a rientrare in patria fossero soprattutto esuli che avevano avuto responsabilità importanti durante il Triennio. Era il caso tanto del giureconsulto di Sora Nicola Corona, che nella Roma del 1798 aveva collaborato con i francesi nella Commissione di Belle Arti [27]
, quanto del giurista partenopeo Costantino Della Marra, il quale durante il suo primo soggiorno parigino, quello della stagione direttoriale, si era fatto apprezzare sia per il ruolo svolto in qualità di «attaché à la division de l’Instruction publique», sia per la redazione di un Manuel politique pour les Français [28]
. D’altronde, lo stesso Della Marra non nascon{p. 171}deva di aspirare a ruoli pubblici in patria e a tal scopo nella domanda corredava l’elenco delle proprie pubblicazioni con la richiesta di una raccomandazione al nuovo ministro della polizia napoletana Saliceti «afin de lui faire obtenir de S.M. une place honorable dans les administrations» [29]
.
Intenzioni simili dichiarava anche il militare pugliese Domenico Tupputi, quarantenne nativo di Bisceglie che nella Napoli repubblicanizzata era stato comandante del forte di Trani. Ancora nel settembre 1807, non avendo ottenuto alcun soccorso da parte del Ministero della polizia, si rivolgeva al dicastero della guerra dichiarando di essere quanto mai desideroso di «rejoindre sa patrie et y obtenir du service» [30]
. Il suo ritorno in patria, del resto, era stato ritardato di oltre un anno a causa degli interessi scientifici sviluppati oltralpe, dato che, ben lungi dal consacrarsi esclusivamente alla carriera militare, nel corso dell’esilio si era dedicato agli studi di agronomia e proprio nel 1806 aveva dato alle stampe un testo, le Réflexions succinctes sur l’état de l’agriculture et de quelques autres parts de l’administration dans le Royaume de Naples, che era una feroce critica alla politica agricola attuata dalla dinastia borbonica e che poi avrebbe riproposto 12 mesi più tardi in una seconda versione caratterizzata da «plusieurs additions» [31]
. Proprio la redazione di tali aggiunte fu con probabilità la causa del ritardo del suo rimpatrio, avvenuto solo sul finire del 1807 e non prima di aver inviato il testo a Napoleone, strumentalmente presentandolo come un «ouvrage qui traite de l’état de l’agriculture et de quelques parties de l’administration dans le Royaume de Naples, et qui [...] peut être utile dans cet État gouverné par l’Auguste frère de V.M.» [32]
.
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Note
[21] ANF, F/7, cart. 6474, drr. Vincence Cadorna; Marie Concepte Montavelli.
[22] ANF, F/7, cart. 6474, dr. Sebastien Guidi et Joachim Abate. Sul tema delle connessioni fra comportamenti privati e posizioni pubbliche in quegli anni si veda A. Verjus, Le bon mari. Une histoire politique des hommes et des femmes à l’époque révolutionnaire, Paris, Fayard, 2010.
[23] F. D’Angelo, Dal Regno di Napoli alla Francia. Viaggi ed esilio fra Sette e Ottocento, Napoli, Dante e Descartes, 2018, pp. 121-130, 202-212.
[24] ANF, F/7, cart. 6474, dr. Josué Sangiovanni.
[25] G. Sangiovanni, Diari (1800-1808), a cura di V. Martucci, Napoli, Ispf, 2014, pp. 253-254. Il corsivo è mio.
[26] ANF, F/7, cart. 6474, dr. Antoine Torelli, Lettera del commissario generale a Fouché (Torino, 1/03/1806).
[27] ANF, F/7, cart. 6474, dr. Nicolas Corona.
[28] P. Conte, Un longevo Manuale politico: Costantino Della Marra dalla Parigi del Direttorio alla Napoli dell’ottimestre costituzionale, in S. Levati (a cura di), L’esperienza napoleonica in Italia. Un bilancio storiografico, Milano, FrancoAngeli, 2023, pp. 61-81.
[29] ANF, F/7, cart. 6474, dr. Constantin Della Marra.
[30] AMG, Shat, 2/YE, dr. 4006/18.
[31] D. Tupputi, Réflexions succinctes sur l’état de l’agriculture et de quelques autres parts de l’administration dans le Royaume de Naples sous Ferdinand IV, Paris, Le Becq, 1806.
[32] ANF, F/10, cart. 1031, dr. 7.