Da esuli a francesi
DOI: 10.1401/9788815413031/c3
Emblematico in questo discorso è il
ruolo avuto dal Ministero degli esteri della Repubblica italiana operante a Parigi sotto
la direzione di Ferdinando Marescalchi. Se si è accennato alle funzioni in esso svolte
da quel Buttura che proprio in contemporanea con gli incarichi ministeriali animò
¶{p. 113}un giornale «letterario-politico» come «La Domenica» e si
dedicò alla traduzione di Boileau, altrettanto importante, seppur meno fortunata, fu la
collaborazione fornita da Giuseppe Acerbi, anch’essa accompagnata da importanti
iniziative editoriali. Giunto in Francia dall’Inghilterra nel 1802, questi fu subito
inserito fra i collaboratori del dicastero e al contempo non disdegnò di portare avanti
i propri progetti editoriali, tanto da procedere alla traduzione francese di un lavoro
che in quegli stessi mesi era pubblicato in lingua inglese a Londra, il
Travels through Sweden, Finland and Lapland to the North Cape,
testo nel quale raccontava le esplorazioni compiute nell’Europa settentrionale fra 1798
e 1799
[49]
.
Della prossima pubblicazione della
traduzione francese dava notizia anche il «Moniteur», comunicando il 30 maggio 1802 che
il viaggiatore italiano «présentement à Paris, s’occupe de la publication d’une édition
française de son Voyage, laquelle [...] sera terminée incessamment»
[50]
. Eppure, almeno nell’immediato, le cose andarono molto diversamente, perché
in autunno la stampa della versione francese fu bloccata su richiesta del ministro
plenipotenziario svedese, il barone Carl August d’Ehrensvard, che ne chiese la censura
su pressione del proprio governo. Il 20 ottobre, infatti, egli scriveva a Talleyrand per
manifestagli la sua «désapprobation» nei confronti della condotta di Acerbi, «citoyen de
la République Italienne, lequel après un voyage entrepris en Suède, où il a été
accueilli avec toute hospitalité, est allé en Angleterre publier un libelle rempli de
calomnie très grossières et dans lequel la personne de S.M. Suédoise n’est pas même
respectée». Pertanto, chiedeva non solo che «l’ouvrage en anglais du citoyen Acerbi
[...] soit prohibé pour être vendu en France», ma anche che «la traduction en français
soit défendue et que cette disposition soit étendue tant pour la vente que pour la
traduction en italien»
[51]
.¶{p. 114}
Ciò nonostante, la risposta delle
istituzioni italiane, per la penna di Marescalchi, fu quella di difendere con forza sia
la bontà del testo, giudicato «agréable et utile», sia la buona fede del suo autore.
Infatti, il ministro interveniva precisando di voler dare «d’autant plus d’attention à
cette affaire que le C. Acerbi est, depuis quelques temps, employé dans mes bureaux» e
al tempo stesso dicendosi «satisfait de son travail et de sa conduite». Pur riconoscendo
la presenza nel testo di alcuni passaggi critici all’indirizzo del governo svedese,
questi ne sminuiva la gravità, attribuendoli a incomprensioni linguistiche e
all’impossibilità per l’autore di monitorare personalmente le operazioni editoriali a
Londra. Di conseguenza, il 16 novembre invitava il collega a «ne plus donner de suite à
cette affaire» e a evitare di «mettre obstacle à la publication de la traduction française»
[52]
.
Tuttavia,
l’affaire si sarebbe prolungato ancora a lungo, dato che il
barone d’Ehrensvard reiterò la protesta, confessando come, a proposito dell’«estime
surprenante» mostrata dal ministro italiano verso il proprio funzionario, egli non
potesse non dirsi «surpris des éloges qu’il accorde à cet ouvrage dont il a été
officiellement porté plainte»
[53]
. Ma ciò che qui preme sottolineare è che proprio la difesa del titolare del
dicastero degli esteri presso il quale Acerbi lavorava avrebbe contribuito in maniera
decisiva a permettere alla versione francese di vedere la luce
[54]
. Certo, almeno in un primo momento tale pubblicazione fu bloccata, dato che
essa, già «à peu près terminée» sul finire del 1802, sarebbe andata in stampa solo ai
primi del 1804, ossia con oltre un anno di ritardo rispetto alle intenzioni dell’autore.
Certo, gli interventi sulla versione inglese non sarebbero mancati, dato che il
traduttore Joseph Lavallée, nel precisare in prefazione di aver svolto il lavoro a
contatto diretto con l’autore, confessava l’esistenza di «quelques changements
¶{p. 115}apportés à la version originale»
[55]
. Ma sta di fatto che, pur con così autorevoli veti a gravare sul suo capo,
la traduzione non solo finì con il vedere la luce a stretto giro nella Parigi consolare
(mentre per la sua versione italiana si sarebbe dovuto attendere il lontano 1832), ma
poi venne anche recensita e apprezzata dal giornale governativo per eccellenza, il «Moniteur»
[56]
.
Dunque, solo dopo essersi accertato
della pubblicazione parigina del suo testo, Acerbi poté, nel giugno 1804, far rientro in
Italia e cominciare il suo isolamento nella provincia mantovana di Castelgoffredo da cui
sarebbe uscito nella lontana Restaurazione, quando, a far data dal 1816, diresse per
circa un decennio il celebre giornale la «Biblioteca italiana» per poi dedicarsi agli
studi sull’archeologia egizia che ne precedettero la morte nel 1846
[57]
. Data la particolarità del suo percorso (che, come detto, fu quello di un
viaggiatore giunto in Francia dall’Inghilterra e trattenutosi solo per un biennio, non
quello di un esule del 1799 rimasto a lungo oltralpe) qui non interessa seguire la sua
carriera, ma far chiarezza su un passaggio importante del suo soggiorno parigino quale,
appunto, la censura del Voyage au cap Nord avvenuta nell’autunno
1802 e a lungo considerata la causa della fine della sua collaborazione con le
istituzioni napoleoniche.
Ad animare tale lettura sarebbe
stato lo stesso Acerbi, il quale, anni dopo, nel 1818, ne avrebbe scritto come di
un’«aventure désagreable» che lo aveva indotto a «quitter [sa] place, Paris, la France
et à [se] retirer chez [soi], bien décidé à ne plus servir en aucune manière ni les
Français, ni les Italiens devenus les très-humbles serviteurs du Gouvernement français»
[58]
. Un racconto, questo, del quale occorre sottolineare come venisse effettuato
in una stagione molto successiva ai fatti narrati, nella quale egli, ormai divenuto
¶{p. 116}direttore di un giornale filo-austriaco, aveva tutto
l’interesse a sminuire la portata della sua collaborazione napoleonica e ad accentuare i
precedenti contrasti con le istituzioni francesi
[59]
. Inoltre, di tale ricostruzione merita notare come il relativo contenuto
facesse cenno esclusivamente al sequestro delle sue carte e non – come pure è stato
sostenuto – a un suo ipotetico arresto e fosse poi solo parzialmente vero. Infatti, se
certo Acerbi avrebbe fatto ritorno in patria, è altrettanto innegabile che, proprio
grazie al sostegno istituzionale di cui godette, a quell’iniziale censura sarebbe
seguita prima, il 16 novembre, la citata lettera in sua difesa di Marescalchi e poi,
qualche mese dopo, l’effettiva pubblicazione francese del testo, tra l’altro elogiata
dal napoleonico «Moniteur». E ancora, sulle colonne di tale giornale Acerbi avrebbe
avuto modo, nel 1810, di pubblicare un intervento con cui difendeva la paternità della
sua opera dedicata alla perlustrazione dei territori scandinavi e accusava di plagio un
testo simile, il Voyage pittoresque de Scandinavie, redatto dal suo
ex compagno Charles Paul Vialart de Saint-Morys
[60]
.
Se per Acerbi gli anni parigini
trascorsi come funzionario del Ministero degli esteri coincisero con il periodo finale
della sua collaborazione con le istituzioni francesi, discorso diverso riguarda il
napoletano Nicola Celentani che, invece, proprio nelle sale di quel dicastero riuscì a
mettere a tacere i dubbi avanzati sul suo conto dal moderato Melzi per via dei
precedenti rivoluzionari. Fra i protagonisti dei primi club meridionali sorti durante la
rivoluzione, Celentani era stato nel 1799 agente della Repubblica napoletana a Milano,
dove, tornatovi dopo aver preso parte alla storica resistenza
¶{p. 117}genovese del 1800, nei primi anni del secolo aveva contribuito
all’istituzione di una loggia indipendentista pur continuando a svolgere incarichi nel
campo della diplomazia in qualità di funzionario della sezione milanese del dicastero
degli esteri. Grazie a diverse raccomandazioni (fra cui quella del ministro della guerra
Berthier), sul finire del 1803 ottenne il trasferimento a Parigi, dove però fu accolto
con disapprovazione da Marescalchi, che non nascondeva come il suo arrivo lo avesse non
poco «sorpreso sì per la spedizione per sé, sì per il soggetto che so che non può piacere»
[61]
. A condizionare il suo iniziale scetticismo erano state le note del
vicepresidente Melzi, che da tempo lo aveva presentato quale «vanarello, ciarlone e intrigatello»
[62]
e che non a caso suggeriva di liberarsene subito
[63]
. Ciò nonostante, nel giro di pochi mesi Celentani riuscì, con il concreto
lavoro nelle sale parigine, a conquistare la stima del suo superiore Marescalchi, il
quale, nonostante le pessime informazioni ricevute, già in febbraio dichiarava di
apprezzare la «condotta da lui qui ultimamente tenuta» e avanzava una sua ulteriore
candidatura a commissario del ministro Berthier. In settembre, poi, lo congedava
rendendogli «giustizia», ossia comunicando a Melzi come questi, in fondo, si fosse
«condotto assai meglio di quanto io mi sarei mai potuto al certo immaginare»
[64]
.
Insomma, proprio il lavoro nelle
istituzioni serviva ai patrioti italiani – anche a Parigi e anche per breve tempo – a
superare (almeno in parte) reticenze e scetticismi e così costruire nuovi legami senza
per questo abbandonare le posizioni degli anni precedenti. Del resto, alla bontà di tale
operato dava ancora una volta un generale riconoscimento lo stesso Marescalchi,
ammettendo, sin dall’ottobre 1802, che «se abbiamo avuto qui qualche cattivo soggetto,
ne abbiamo di quelli che fanno onore»
[65]
.
¶{p. 118}
Note
[49] G. Acerbi, Travels through Sweden, Finland and Lapland to the North Cape, in the Years 1798 and 1799, London, Mawman, 1802.
[50] «Moniteur universel», 10 pratile X (30/05/1802).
[51] AMAE, Cp, Milanais, cart. 60, ff. 246-247.
[52] AMAE, Cp, Milanais, cart. 60, ff. 253-254.
[53] AMAE, Cp, Milanais, cart. 60, ff. 257-258.
[54] G. Acerbi, Voyage au cap Nord par la Suède, la Finlande et la Laponie, traduction d’après l’original anglais, Paris, Levrault et Schoell, an XII-1804.
[56] «Moniteur universel», 18 frimaio XII (10/12/1803); 26-27 termidoro XII (14-15/08/1804).
[57] M. Gabrieli, Vita di Giuseppe Acerbi, Mantova, Citem, 1971.
[58] Ibidem, pp. 14-15.
[59] Anche uno dei principali studiosi di Acerbi quale Manlio Gabrieli, pur individuando nell’episodio della censura un «punto chiave» della sua vita, ha fatto notare come alla base del suo ritorno in patria «non vi fu una rottura immediata e clamorosa con Marescalchi e i francesi, ma un piano meditato di sganciamento con ricorso finale a motivi familiari e affettivi, nonché di studio». Sempre Gabrieli, ha sostenuto che Acerbi «non fu mai, durante la sua lunga vita, un reazionario», aggiungendo poi che i taccuini analizzati «rivelano una figura di “cittadino” e di “patriota”, di amico dei francesi e di Napoleone che è del tutto nuova». Ibidem, pp. 11-18.
[60] «Moniteur universel», 22 ottobre 1810.
[61] Zaghi (a cura di), I carteggi di Francesco Melzi D’Eril, cit., vol. 5, p. 356.
[62] Ibidem, vol. 2, pp. 390-393.
[63] Ibidem, vol. 5, pp. 375-376.
[64] Ibidem, vol. 6, pp. 11, 405-406.
[65] Ibidem, vol. 3, p. 15.