Elena dell'Agnese, Daniel Delatin Rodrigues (a cura di)
Re(l)-azioni
DOI: 10.1401/9788815410795/c8
G. è membro nel direttivo del Comitato Oltre ed è un neo-rurale, che ha trasformato la seconda casa dei suoi genitori nella propria residenza principale. Ci racconta una differente visione della gestazione del Comitato. In generale, il processo «classico» vede l’insorgere di un problema sul territorio, la nascita di una mobilitazione sociale e la formazione di un’assemblea spontanea, in cui le persone maggiormente esposte saranno quelle che poi andranno a costituire un comitato, rappresentativo dell’assemblea. Ricevono, quindi, un’investitura dall’assemblea in termini di legittimità. Il Comitato Oltre non ha seguito questo percorso «classico». Quando si è venuto a sapere della LG Service, ci si è incontrati informalmente in gruppi ristretti, si è pensato di costruire un’assemblea pubblica e, tramite
{p. 206}passaparola, ci si è dato appuntamento a casa di privati. Inizialmente le persone coinvolte erano una decina, poi in una riunione tenutasi a Mombaruzzo, nel Palazzo della Marchesa, si è arrivati a essere anche cinquanta. Quella era la vera assemblea, presieduta spontaneamente da chi parlava, e l’idea era quella di costruire un comitato cittadino che si opponesse alla fabbrica di smaltimento fanghi. Poi ci si è chiesti come relazionarsi con i Comuni e con i loro rappresentanti istituzionali. Nel Comune di Carentino si era verificata una questione simile, dove, all’interno dello stesso comitato, era presente il sindaco. Qui, invece, per un motivo non chiaramente giustificabile, pareva che la cosa non si potesse fare, occorreva tener distinta la politica istituzionale dall’iniziativa del comitato. Pertanto, si è fatta arrivare l’informazione dell’intenzione di costituire un comitato ai sindaci della valle.
La cosa abbastanza inusuale, che secondo me ha condizionato e condiziona l’operato del Comitato, è che i sindaci hanno nominato di loro sponte delle persone che lo avrebbero costituito, probabilmente in linea con le loro volontà. Il risultato è che l’assemblea pubblica è stata quindi tagliata verticalmente dai processi decisionali. L’assemblea sussiste ancora su un gruppo WhatsApp dal nome «Fanghi e dintorni» che attualmente conta una novantina di persone rappresentative dei paesi della zona. Purtroppo, però, il gruppo è stato ridotto a un luogo di mero ascolto, in attesa di notizie dal Comitato.
Il gruppo WhatsApp è rimasto un ramo secco, che ha ripreso un po’ vita quando è stato postato un evento, il 28 settembre 2022 a Quaranti, in cui si è ritornati in mezzo alla gente, con la raccolta firme. Ma, mentre per molti del Comitato è il massimo del coinvolgimento della cittadinanza, per G. questo non è sufficiente.
La firma serve per chiedere un’investitura formale, che può essere data anche da un turista. In questo modo, il Comitato si sente autorizzato, ma non è un’investitura sostanziale che si ottiene dalle mobilitazioni sociali. Del resto, non ci sono mai state manifestazioni. Il rischio è che la gente col passare del tempo si {p. 207}stufi perché non si sente coinvolta e se ne tiri fuori, lasciando così una lotta meramente burocratica e istituzionale che spesso di traduce in crediti per le prossime elezioni.
Il problema evidenziato da G. è che un’assemblea cittadina è un’esperienza dove il dibattito è costruito internamente, dove si prendono delle decisioni legittime a maggioranza: quello è un vero comitato cittadino. Ma, a suo avviso, dalla parte dei sindaci c’è stato il timore che si potessero innescare pratiche politiche fuori controllo. Il Comitato opera in conseguenza di questo, è un modello rovesciato perché è composto da persone che non vengono dall’assemblea, molto moderate, che tendono a escludere tutto quello che ha il sapore di una protesta popolare dai toni forti. Quindi, ci si interfaccia costantemente con gli uffici preposti, cosa importante nella vita dei comitati, ma quello che manca è il suo rovescio, cioè il coinvolgimento sociale in termini decisionali.
Spesso si è provato a ipotizzare cosa si potrebbe fare di quello spazio nel caso in cui diventasse dominio pubblico. Per G. quel luogo ha grandi potenzialità: si potrebbe immaginare un accordo tra pubblico e portatori d’interesse, in modo da sostenere le spese di smaltimento e un’eventuale ristrutturazione, come un centro polifunzionale. Una spesa del genere non è sostenibile solo dal settore pubblico, anche perché nessuno dei Comuni lavora per partecipare ai progetti europei. Qualcuno ha proposto di bandire un concorso per le idee, altri di coinvolgere le scuole, altri ancora di chiedere direttamente alla gente del posto cosa immagina per quello spazio. «I beni comuni non sono solo l’aria e l’acqua, ma anche quello che la gente è in grado di immaginare di poter fare. Il futuro può essere un’azione collettiva, ma se continua a essere un’eterna riproposta del presente, allora non cambia nulla». E questo ha spaventato molto i sindaci che hanno messo a tacere le varie proposte, rispondendo con frasi tipo: «questo cosa c’entra?», «ti monti la testa», «nella guerra ci sono i generali che decidono e i soldati che eseguono» ecc. Dunque, il Comitato ha una relativa autonomia, ma quella che è tagliata fuori è la gente.{p. 208}
Altro problema evidenziato è il desiderio di controllare le informazioni che vengono veicolate fuori dal Comitato e il dibattito con la stampa e con i media poiché «c’è di mezzo il discorso legale».

6. Peculiarità di un (non) conflitto socioambientale

Nell’Atlante italiano di Giustizia Ambientale [7]
, il caso di Quaranti non rientra tra i conflitti socioambientali registrati, analogamente al caso di Carentino sopracitato. Tuttavia, quello delle colline astigiane potrebbe rientrare nei conflitti relativi alla gestione dei rifiuti. Si tratta, infatti, di una resistenza preventiva a un progetto per l’essiccazione e la termovalorizzazione di fanghi. La fase di reazione precauzionale nasce da timori relativi a possibili impatti ambientali, tra cui l’inquinamento atmosferico, la contaminazione del suolo e delle acque, il sovrasfruttamento delle risorse idriche, e l’inquinamento acustico. Oltre a quelli ambientali, i possibili impatti riguardano anche gli aspetti sanitari, con la possibilità di esposizione a rischi incerti ed eventuali malattie legate alla contaminazione ambientale. Dal punto di vista socioeconomico, i rischi messi in luce dalle varie popolazioni locali sono, soprattutto, il degrado paesaggistico in un’area riconosciuta patrimonio dell’umanità dall’Unesco e la perdita di appeal in termini turistici e commerciali.
Il caso di Quaranti ha una serie di peculiarità che lo contraddistinguono dai classici casi relativi alla gestione dei rifiuti presenti sull’Atlante. Innanzitutto, nessun caso che riguarda i rifiuti interessa altre aree d’Italia Unesco. Inoltre, a differenza della maggior parte dei conflitti che nascono come mobilitazioni in reazione all’implementazione di progetti oppure a seguito di impatti ambientali (ad esempio, lo sversamento di rifiuti a Montichiari (BS), l’inquinamento degli inceneritori di Fusina a Porto Marghera (VE), oppure lo smaltimento illegale di rifiuti pericolosi ad Acerra (NA)), {p. 209}qui si tratta di un’azione preventiva. Solo altri cinque conflitti sono nati in una fase precauzionale, si tratta del piano per l’inceneritore che sarebbe dovuto sorgere a 8 km dal Duomo di Firenze, del progetto del gassificatore di Livorno presentato dall’ENI, del Termodistruttore a San Nicola di Melfi (PZ), della proposta di riapertura della discarica di Guidonia Montecelio (RM) e della discarica di Chiaiano (NA). Tuttavia, nessuno di essi riguarda lo smaltimento dei fanghi.
La principale peculiarità del caso riguarda la modalità di gestione del conflitto. Difatti, dopo la fase iniziale, in cui sono stati organizzati gruppi di discussione e assemblee per confrontarsi sul problema, non ci sono state vere e proprie mobilitazioni da parte dei cittadini; o meglio, le manifestazioni spontanee sono state messe a tacere dall’emergere di un gruppo di persone che ha istituito il Comitato Oltre e ha assunto la leadership della vicenda, dimostrandosi senza dubbio attivo, grazie al sostegno dell’Unione collinare vigne e vini e delle amministrazioni locali, e finora ha operato attraverso raccolte firme e azioni legali, ma ha fortemente attenuato la visibilità della mobilitazione popolare.
Nel definire i conflitti socioambientali, De Marchi [2011] non si sofferma sulla causa specifica scatenante, ma enfatizza la dimensione territoriale, ossia l’insieme di relazioni tra gruppi sociali e ambiente consolidate nel tempo. Tale consolidamento avviene attraverso la condivisione di regole e valori, la frequentazione dei luoghi e la costruzione del senso di appartenenza. La questione relativa all’ex fornace nasce come un momento di condivisione di una problematica ambientale tra le diverse popolazioni del posto, che per la prima volta si sono incontrate tutte insieme. La minaccia al paesaggio delle colline del vino, difatti, interessa tutti per i possibili impatti ambientali ed economici: un impianto di essiccazione dei fanghi danneggerebbe i cittadini, i proprietari delle seconde case, gli operatori turistici, i produttori di vino ecc. Durante le prime riunioni tutte le popolazioni erano coinvolte e attive, con proposte alternative per l’ex fornace. La contestazione da parte delle popolazioni della zona non nasce solo nella logica not in my back yard, ma {p. 210}anche come forma progettuale su un sito importante per il passato di Quaranti.
Se è vero che l’organizzazione attiva del dissenso e di blocchi di potere alternativi a quelli esistenti può rafforzare le forme di democrazie locali [Allegretti et al. 2021], in questo caso, la voce più acuta è stata quella del Comitato. Tuttavia, più che un’articolazione fra agire degli attori sociali e ruolo attivo delle istituzioni, il Comitato è nato come se fosse una seconda espressione autorganizzata delle istituzioni locali, che rischia di escludere la gente. Da un lato la creazione del Comitato ha consentito di costruire una resistenza organizzata capace di allineare amministrazioni politiche differenti verso lo stesso obiettivo comune, in una prospettiva di azione intercomunale; di far convergere esigenze e sentimenti espressi dalla comunità verso i soggetti politici del territorio (sindaci, Comunità collinare, Provincia di Asti), in un primo momento ciechi al cambiamento in atto; ha portato inoltre ad avviare e sostenere un procedimento legale con effetto di blocco dell’intervento in tempi ristretti. Dall’altro, l’imposizione di un coordinamento tecnico e organizzativo nominato dai sindaci ha allontanato gli iniziali promotori del movimento, ne ha sradicato l’approccio bottom-up e ha compromesso il proseguimento del percorso partecipativo politico e progettuale.
In occasione del Festival del paesaggio agrario 2021, tenutosi al palazzo della Provincia di Asti, si è parlato della peculiarità del Piemonte, terra di piccoli comuni, caratterizzati da declino demografico da oltre un secolo. Secondo Gianluca Forno (sindaco di Baldichieri d’Asti, vicepresidente ANCI e coordinatore regionale Piccoli comuni e unioni) la «ricetta» per invertire questa tendenza può consistere nel costruire un’immagine condivisa del territorio, ossia fare comunità [Astigov 2021]. Come sottolineato all’inizio del capitolo, i piccoli comuni sono alla base dell’insediamento territoriale [Clemente 2022], delle pratiche collettive e delle comunità, un patrimonio da preservare, anche guardando oltre i confini amministrativi. In questo senso, il ruolo dell’Unione di Comuni Comunità collinare vigne e vini è sicuramente fondamentale per contrastare la micro-
{p. 211}frammentazione delle aree e l’estrema individualità della zona dell’astigiano. Tuttavia, nel caso particolare di Quaranti e dei centri limitrofi, pare sia venuta meno la costruzione del senso di appartenenza, messa a tacere dal processo di costruzione verticale del Comitato e dall’opportunità mancata di coinvolgimento delle popolazioni locali. Quella che poteva essere un’occasione per rafforzare la sinergia del principio territoriale [Magnaghi 2020], attraverso nuove possibili relazioni tra le diverse popolazioni che frequentano il sistema insediativo, si è trasformata, in realtà, nella distruzione dell’affective atmosphere [Anderson 2009]: si era creata un’emozione collettiva, un’energia dal basso, che è stata in qualche modo messa a tacere.