La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c6
Questi elementi rendono
immediatamente evidente il nesso e la continuità con il sistema duale e la prospettiva
della personalizzazione del curricolo, nel contesto
dell’ap
¶{p. 203}prendimento lungo tutto l’arco della vita e della
necessaria osmosi tra formale e non formale.
Dal punto di vista tipologico non
esiste un unico modello di Academy. Ognuno nasce e si configura a partire da specifiche
esigenze aziendali. Da sottolineare comunque il fatto che non esiste solo la fattispecie
della grande azienda (c.d. company/corporate Academy), ma anche
quella dei training center sostenuti da un gruppo di PMI o reti di
imprese specializzate in un dato ambito tecnologico (settore o filiera economica) o di
associazioni datoriali/di categoria, con il coinvolgimento di soggetti del sistema
educativo, dalle agenzie di formazione professionale alle scuole, dagli ITS alle
università e centri di ricerca e sviluppo. Quest’ultima casistica si caratterizza per
una maggiore flessibilità d’intervento ed efficacia di collegamento tra i diversi
soggetti che vi partecipano.
Recentemente, nell’ambito della
ridefinizione della missione e dell’organizzazione del Sistema di istruzione e
formazione tecnica superiore in attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)
[45]
, al termine ITS è stato affiancato quello di Academy, rinominando gli
istituti come «accademie per l’istruzione tecnica superiore». Nel testo unificato di
proposta di legge la centralità è chiaramente assegnata al sistema di istruzione
secondaria e terziaria accademica. Ricondurre la molteplicità e ricchezza del fenomeno
delle Academy a quest’unico alveo sarebbe senz’altro riduttivo. Più
corretto e auspicabile riconoscere la funzione primaria delle aziende e del segmento
professionalizzante del sistema educativo nazionale, con soluzioni in cui entrano a
pieno titolo non in posizione marginale, anche le istituzioni formative. In questo
processo una responsabilità e un ruolo decisivo dovranno essere assunti dalle
regioni.¶{p. 204}
5.3. Alcune proposte
Relativamente
all’impresa formativa appare opportuno che Stato e regioni,
ognuno per le proprie competenze e laddove necessario in forma condivisa,
definiscano un quadro normativo-regolatorio chiaro sia sulla natura e fisionomia
degli istituti, sia sulle condizioni che consentono lo sviluppo delle attività
formative, in modo flessibile e con riguardo alle diverse istanze
giuridico-economico-fiscali dei gestori e di tutela dei diritti dei fruitori.
Nella IeFP le esperienze di
«impresa formativa» d’eccellenza non mancano (si pensi, ad es.,
al Centro Cometa di Como, all’impresa sociale a responsabilità limitata FORMeL in
Veneto o all’Istituto Prevert di Pinerolo) e da queste potranno discendere le utili
indicazioni per una compiuta definizione del modello e una sua più omogenea
istituzionalizzazione.
Tra gli aspetti che dovranno
trovare un più esplicito chiarimento, uno riguarda sicuramente lo status giuridico
degli studenti, cui certamente non va riconosciuto quello di lavoratore dipendente,
né quello di tirocinante, dato che l’attuale regolamentazione delle quote di
contingentamento rischia di vanificare la finalità stessa dell’istituto. Un altro,
decisivo, è quello che concerne la regolazione del rapporto tra aspetto economico e
educativo. Entrambi vanno infatti preservati: da un lato la dimensione della
sostenibilità economica e del perseguimento dell’utile, che rivestono valore
«sociale» in quanto funzionali (non solo in termini di reinvestimento)
all’intervento formativo e che, quindi, non sono in contraddizione con l’assenza di
scopo di lucro; dall’altro la finalità sociale e educativa, che si costituisce come
criterio regolatore e fattore tutelante nei confronti di possibili spinte o derive
economicistiche (l’ambito cui guardare e da cui trarre indicazioni è quello
dell’impresa sociale, riconducendo all’impresa formativa le caratteristiche
soggettive e organizzative che, nei servizi di pubblica utilità, connotano gli enti
del Terzo settore).
Oltre al possesso di
un’adeguata e coerente dotazione logistico-strumentale, per le istituzioni formative
le regioni ¶{p. 205}dovrebbero, pertanto, fissare standard minimi
per l’operatività delle imprese formative, quali ad esempio:
– essere soggetto iscritto al
Registro delle imprese o, quantomeno, nel Repertorio economico amministrativo (REA);
– realizzare un’attività
economica non prevalente rispetto a quella formativa, ossia con ricavi o proventi
inferiori al 50% dell’attività complessiva;
– assicurare la gestione
amministrativo-contabile separata tra parte formativa e aziendale;
– reinvestire gli eventuali
utili provenienti dall’attività economica nei servizi di formazione.
Sul versante delle
Academy, le regolamentazioni regionali dovrebbero definire
innanzitutto le caratteristiche qualificanti e i fattori di riconoscibilità. Una
soluzione particolarmente adatta per la formazione iniziale può essere quella delle
«Academy formative», intese come reti stabili, specializzate in un dato ambito
tecnologico (settore o filiera economica), composte da una o più agenzie formative
accreditate, imprese con capacità formativa (e, eventualmente, fondazioni ITS,
atenei, centri R&S ecc.) che, avvalendosi delle risorse umane, organizzative e/o
economiche dei soggetti componenti, realizzano percorsi formativi di IeFP in
modalità duale.
L’intervento di queste Academy
formative dovrebbe essere finalizzato a:
– qualificare e valorizzare il
sistema formativo regionale con esperienze di eccellenza che rafforzino il legame
stabile tra sistema regionale della formazione con il sistema delle imprese;
– promuovere l’utilizzo di
metodologie e strumentazione tecnologicamente avanzata, permettendo ai giovani di
sperimentare sul campo le logiche produttive dell’azienda e di essere formati in
«laboratori» aziendali continuamente updated;
– ridurre il
mismatching tra domanda e offerta di lavoro (minori tempi
di transizione tra formazione e lavoro; riduzione dei tempi di copertura delle
vacancy);
– aumentare l’attrattività del
sistema regionale (aumento del numero di iscritti ai percorsi di IeFP, IFTS, ITS) e
il valore aggiunto per addetto nei distretti.¶{p. 206}
Le aziende partner dovrebbero
partecipare attivamente alla formazione facendosi carico di varie forme di
engagement:
– collaborazione alla
progettazione dei contenuti e dei profili dei percorsi per assicurarne la
rispondenza ai fabbisogni di competenze delle imprese e del territorio;
– realizzazione presso le
proprie strutture e reparti dei percorsi in alternanza e apprendistato e di segmenti
di percorso formale;
– compartecipazione ai processi
valutativi e certificativi degli apprendimenti acquisiti;
– messa a disposizione di spazi
attrezzati, macchinari e attrezzature presso i propri stabilimenti per la formazione
in contesto formale e non formale, nonché di proprio personale per la docenza;
– messa a disposizione a titolo
non oneroso di macchinari e attrezzature anche presso i laboratori delle agenzie
formative della rete;
– eventuale cofinanziamento dei
costi del percorso formativo.
6. Apprendistato formativo
6.1. L’apprendistato oggi: una fisionomia da rivedere
L’apprendistato formativo
(detto anche apprendistato «duale» e distinto dall’apprendistato
professionalizzante) consente il conseguimento di tutti i titoli dell’istruzione e
della formazione professionale attraverso un contratto di lavoro connotato da una
rilevante componente formativa in azienda. La sua «dualità» si estrinseca proprio
nell’essere una modalità formativa in cui l’apprendimento avviene sia presso le
istituzioni scolastiche e formative, sia in azienda, in ambienti di lavoro che
diventano veri e propri luoghi sociali di sviluppo delle competenze.
Le modifiche apportate alla
disciplina nel 2015 (d.lgs. n. 81/2015, capo V) hanno certamente impresso un
impulso positivo alla diffusione dell’apprendistato formativo. Tuttavia, resta un
contratto poco conosciuto dalle imprese ¶{p. 207}e con scarsa
diffusione territoriale, perlopiù concentrata nelle regioni del Nord.
Questo perché il contratto di
apprendistato sconta ancora una generale complessità burocratico-organizzativa che
lo rende poco attrattivo, soprattutto per le PMI.
Proprio con riferimento alle
tipologie di apprendistato «duale» il d.lgs. n. 81/2015 presenta alcune rilevanti
rigidità che ne limitano l’organicità e, soprattutto, una diffusione commisurata al
bisogno cui potrebbe rispondere:
– fissa un limite di età per le
assunzioni (24 anni per il primo livello e 29 per il terzo) che ne impedisce
l’utilizzo per il segmento della popolazione adulta a bassa scolarità, oggi sempre
più chiamato a sviluppare nuove e più elevate competenze – attraverso percorsi di
upskilling e reskilling ma, ancor
prima, attraverso il conseguimento di qualifiche professionali e di titoli di studio
– per poter permanere in un mercato del lavoro in continua trasformazione;
– impedisce di conseguire
titoli di studio in progressione permanendo all’interno dello stesso contratto di
apprendistato; questo vincolo rappresenta un evidente ostacolo: ad esempio, laddove
sia stata conseguita già in apprendistato una qualifica professionale e si voglia
proseguire la formazione accedendo a un percorso IFTS, oppure, sia stato conseguito
un diploma d’istruzione e ci si voglia iscrivere all’università o a un percorso ITS,
oppure ancora, si sia conseguita la laurea triennale e si desideri completare il
percorso universitario con una laurea magistrale. In tutti questi casi, l’azienda
favorevole e interessata a sostenere la carriera scolastica o universitaria del
proprio apprendista è costretta a sobbarcarsi l’incomprensibile onere di dover
chiudere il contratto di apprendistato in essere e affrontare l’iter burocratico per
l’apertura di uno nuovo contratto sempre in apprendistato in capo alla stessa
persona (anziché, come sarebbe più ragionevole, procedere al solo rinnovo del piano
formativo).
Proprio a riguardo
dell’organicità del sistema di apprendistato duale, è stato recentemente rivolto da
Confindustria Piemonte un interpello all’Ispettorato nazionale del lavoro (INL) in
merito alla possibilità di trasformazione o
¶{p. 208}successione di
contratti di apprendistato, anche in conformità con la normativa sugli incentivi al
lavoro e gli sgravi contributivi. L’INL ha risposto con nota n. 1026 del 23 novembre
2020, confermando che il d.lgs. n. 81/2015 permette la «trasformazione» di un
contratto di apprendistato in un altro solo per il passaggio dal primo al secondo
livello (apprendistato professionalizzante) secondo le indicazioni contenute
all’art. 43, c. 9. Nel merito della stipula di un contratto di apprendistato di alta
formazione e ricerca a seguito del completamento di un apprendistato di primo
livello, l’Ispettorato ha riconosciuto che:
Note
[45] Vedi il testo unificato delle sei proposte di legge di iniziativa parlamentare adottato come testo base dalla VII Commissione nelle sedute del 17, 23 e 24 giugno 2021 (http://documenti.camera.it/leg18/dossier/testi/CU0123a.htm?_1624880832048).