Andrea M. Maccarini (a cura di)
L'educazione socio-emotiva
DOI: 10.1401/9788815370327/c8

Capitolo ottavo Insegnanti a scuola e fuori da scuola. La trasformazione delle competenze socio-emotive tra presenza e distanza
di Giulia Maria Cavaletto (parr. 1, 2, 3, 4, 9) e Martina Visentin (parr. 5, 6, 7, 8)

Notizie Autori
Giulia Maria Cavaletto insegna Metodologia della ricerca sociale nell’Università di Padova e Sociologia dell’educazione nell’Università di Torino. Tra le sue pubblicazioni recenti: Emerging Platform Education? What Are the Implications of Education Processes’ Digitization? (2020), Overcoming the STEM Gender Gap. From School to Work (2020), Democrazia. Le sfide del presente tra rappresentanza e partecipazione (2020).
Notizie Autori
Martina Visentin insegna Introduzione alla Sociologia e Politiche sociali e culture del benessere nell’Università di Padova. Tra le sue pubblicazioni recenti: con L. Salmieri, Il mondo che abbiamo perso. L’Università e l’ecologia della presenza (2020), Identità instabili nell’epoca del cambiamento accelerato: un approfondimento qualitativo (2019).
Abstract
Dopo aver trattato il tema delle competenze socio-emotive dal punto di vista degli studenti ci si pone qui due importanti domande relative agli insegnanti. La prima si chiede quanto il ruolo degli insegnanti sia determinante nei processi di apprendimento di tali competenze da parte degli studenti, la seconda si chiede se e come quelle possedute dagli insegnanti stessi influenzino quelle dei loro alunni. Sempre relativamente alle figure educative si tenta poi di comprendere, sulla base di analisi statistiche, i profili dei docenti, che tengono conto della propensione al benessere degli studenti, del rapporto con i colleghi e con le famiglie, della qualità della formazione professionale e della capacità di modificare le proprie modalità didattiche così come è stato reso necessario dalla pandemia.

1. Insegnanti e competenze socio-emotive: una relazione possibile?

Il tema delle competenze come oggetto di apprendimento da parte degli alunni chiama in causa gli insegnanti come soggetti coinvolti attivamente nell’insegnamento. In questa prospettiva, al pari delle conoscenze curricolari, anche le competenze in generale, e quelle socio-emozionali in particolare, possono essere apprese e dunque trasmesse. Questo tema è stato solo recentemente dibattuto nella letteratura internazionale: le competenze socio-emotive (SES) degli insegnanti svolgono un ruolo nei processi di insegnamento, ossia sul come si insegna. Esse influiscono sugli apprendimenti curricolari? E infine influenzano anche l’apprendimento di competenze da parte degli alunni?
La centralità della figura dell’insegnante per gli apprendimenti, non soltanto curricolari, ma ancor più extracurricolari e di metodo è stata più volte ribadita [Darling-Hammond 2000; Hattie 2003; Kechagias 2011; Roorda, Koomen e Spilt 2011; Subramaniam e Harrell 2013]. La conclusione cui pervengono la maggior parte di questi studi può essere riassunta nella frase di Darling-Hammond [2000]: «insegnanti meglio qualificati possono fare la differenza per l’apprendimento degli alunni in classe». Le dotazioni degli insegnanti, non soltanto in termini di conoscenze, ma di competenze, e in particolare di SES, costituiscono l’elemento maggiormente condizionante gli esiti degli studenti, più della classe sociale e dell’etnia. Tali studi hanno in realtà radici lontane. Fecero la loro comparsa nel dibattito negli anni Novanta [Sanders e {p. 244}Rivers 1996; Wright, Horn e Sanders 1997; Jordan, Mendro e Weerasinghe 1997]. Ciò non significa che non esistessero prima di allora studi che mettessero in relazione la qualità del docente con la qualità delle performance, ma per lungo tempo furono considerate qualità del docente soltanto le competenze curricolari certificate, i corsi di aggiornamento, gli eventi formativi. È quindi solo storia recente l’inclusione delle SES tra gli elementi che possono concorrere a formare gli studenti e a farlo in modo trasversale ed extradisciplinare. È peraltro anche evidente che le SES in azione si osservano in modi diversi e con gradazioni diverse nei diversi cicli di scuola: la relazione emotiva sembra essere massima nelle scuole primarie, si affievolisce con il passare degli anni, anche se si mantiene in forme differenti [Kassabgy, Boraie e Schmidt 2001; Sugino 2010; Martin, Morcillo e Blin 2004].
Al riguardo Lancini [2004] ha formulato il concetto di «affettivizzazione della scuola»: bambini e adolescenti vedono la scuola come un luogo di scambio affettivo e relazionale e non solo come luogo di apprendimento. Gli stessi insegnanti «accettano questo nuovo mandato, impegnandosi nel tentativo di integrare le classiche funzioni scolastiche, esclusivamente fondate su dimensioni etiche, didattiche, formative e professionalizzanti, con le nuove funzioni educative, affettive e relazionali» [ibidem, 192].
Analogamente a bambini e adolescenti, anche gli adulti-insegnanti apprendono, mettono in campo ed esercitano le proprie competenze. Alcuni di essi le utilizzano intenzionalmente, in linea con quanto affermava Goleman [2011, 455], secondo cui «il programma di alfabetizzazione emozionale migliora i risultati scolastici dei ragazzi»; altri invece semplicemente le manifestano, inconsapevolmente, modificando (positivamente o negativamente) i contesti di apprendimento.
L’aspetto socio-emotivo è centrale nella vita professionale dell’insegnante: accanto ai programmi scolastici (che a loro volta possono essere veicolati facendo ricorso a specifiche competenze non cognitive dei docenti), gli insegnanti infatti gestiscono relazioni con i bambini della propria classe, con i genitori, con i colleghi, con il dirigente. Alcune ricerche {p. 245}hanno evidenziato un miglioramento del well being infantile a scuola in presenza di adulti che possiedono competenze socio-emotive, in particolare l’empatia, la propensione alla socievolezza, la fiducia [Schonert-Reichl 2007]. Le competenze socio-emotive degli insegnanti sono dunque un importante vettore di apprendimento, sia sul piano strettamente didattico sia relazionale [Kanizsa 2007]. Sulle spalle del docente poggiano sia il compito didattico, sia quello emotivo-relazionale nei confronti del gruppo classe e del singolo bambino, nonché la relazione fra i tre aspetti. L’insegnante possiede quindi, accanto a una professionalità «tecnica», anche una professionalità relazionale, con cui affronta, gestisce, interpreta le diverse relazioni, reazioni e interazioni che prendono forma quotidianamente nell’ambiente scolastico. L’insegnante possiede diversi capitali: culturale, umano, emotivo, relazionale, sociale. E nessuno di essi è privo di interdipendenze dagli altri [Colombo 2017].

2. Gli insegnanti, le loro scuole e le loro classi

2.1. Metodologia e limiti di accesso al campo d’indagine

Se si vogliono indagare le competenze degli insegnanti, è necessario definirne il profilo. E se si vogliono osservare variazioni in merito alle competenze possedute e insegnate, occorre avere due momenti nel tempo da comparare. Quanto al primo punto, il profilo degli insegnanti è stato tratteggiato attraverso un questionario online somministrato tra la fine di settembre e la metà di ottobre 2019. Per quanto riguarda il secondo aspetto, esso è stato messo in luce attraverso le narrazioni degli insegnanti all’interno di focus group realizzati durante il lockdown. Le due fonti di informazioni, questionario e focus, ci forniscono interessanti indicazioni sul possesso, la trasformazione, l’implementazione delle competenze tra gli insegnanti. A queste due fonti di dati aggiungiamo le interviste con i dirigenti scolastici (un’intervista per IC). Partendo dal questionario, esso è stato somministrato all’inizio dell’anno scolastico 2019-2020 {p. 246}e ha condotto a 63 casi validi, distribuiti tra le 11 scuole incluse nella ricerca. I focus group, condotti nel periodo del lockdown dell’anno scolastico 2019-2020, sono stati 6. Nella tabella 8.1 è illustrata la distribuzione delle risposte delle insegnanti tra le scuole, sia relativamente al questionario sia alle interviste in profondità.
Tab. 8.1. Distribuzione dei/delle docenti rispondenti tra le scuole
Nome scuola (nickname)
Risposte al questionario (casi validi)
Risposte al questionario (% valida)
Adesione alle interviste
Classi coinvolte (numerosità totale)
Gelsomino
8
13,1
4
4 classi, 10 insegnanti
Dalia
5
8,2
0
4 classi, 10 insegnanti
Lavanda
6
9,8
0
2 classi, 6 insegnanti
Magnolia
2
3,3
0
1 classe, 2 insegnanti
Ginestra
1
1,6
0
4 classi, 10 insegnanti
Mimosa
2
3,3
2 (+ docenti di altri plessi)
1 classe, 2 insegnanti
Corniolo
5
8,2
0
2 classi, 5 insegnanti
Azalea
4
6,6
4
4 classi, 10 insegnanti
Camelia
12
19,7
2
4 classi, 12 insegnanti
Ortensia
9
14,8
5
4 classi, 10 insegnanti
Primula
7
11,5
0
4 classi, 10 insegnanti
Totale
63
100
87 insegnanti
 
 
 
 
 
È immediatamente evidente che il tasso di risposta presenta variazioni rilevanti tra scuole: fermo restando che la numerosità delle insegnanti era differente tra le scuole in ragione del numero di classi coinvolte, è altresì vero che in particolare l’adesione al questionario ha riscosso diverse {p. 247}fortune. Il tasso di risposta può essere ricondotto ai diversi gradi di attivazione dei dirigenti in merito alla ricerca, in altri casi dipende dal personale interesse dei docenti e dal grado di motivazione a partecipare al progetto, nonché dalla nomina all’interno dell’istituto di un referente di progetto con funzioni di coordinamento e monitoraggio sul progetto medesimo. Tra le motivazioni che hanno contribuito al rifiuto alla compilazione, la più rilevante è quella legata al timore della valutazione. Per molti docenti l’ingresso dei ricercatori dentro la scuola e le loro classi ha costituito un fattore di stress. Per quanto sia stato ripetutamente chiarito che la finalità della ricerca non era valutativa dell’operato delle insegnanti, tale pregiudizio ha comunque condizionato gli esiti. Questo elemento, peraltro più volte ribadito anche dai dirigenti scolastici in sede di intervista, costituisce il fattore di maggiore difficoltà all’interno delle scuole. A questo si aggiunge una diffusa resistenza al cambiamento, all’innovazione: il mantenimento di routine e procedure note è elemento di rassicurazione per la maggior parte delle insegnanti.
La partecipazione ai focus è stata condizionata dagli eventi legati al lockdown: diverse risposte organizzative da parte delle scuole, diverso coinvolgimento delle insegnanti nella Dad e diverso senso di efficacia rispetto al proprio mandato professionale.

2.2. Chi sono i docenti?

La popolazione docente osservata si compone per la quasi totalità da donne (61 su 63), come peraltro atteso in questo segmento della scuola, in cui come è noto (lo squilibrio di genere è evidenziato nel sito del Ministero dell’Istruzione) [1]
la femminilizzazione del personale è particolarmente forte. Le età dei docenti si distribuiscono in modo abbastanza armonico dalle età giovanili post-laurea alle età precedenti il pensionamento, ma possiamo comunque osservare una
{p. 248}prevalenza di un corpo insegnante relativamente «giovane»: oltre il 66% (66,3% per l’esattezza) è composto da insegnanti di età pari o inferiore a 44 anni. Inoltre le insegnanti si collocano su una media di anni di esperienza comunque superiore a 10, tranne i pochi casi dei reclutamenti recenti con meno di 5 anni. Possiamo quindi dire che complessivamente siamo di fronte a una popolazione professionalmente esperta. L’eventuale inesperienza o minore esperienza viene compensata dall’affiancamento in aula con docenti con più anzianità di servizio. In 31 casi il personale docente ha almeno vent’anni di servizio nella scuola; in 13 casi almeno dieci anni; i restanti casi meno di dieci. Quindi le classi osservate si caratterizzano per un mix equilibrato di esperienza. Esperienza da una parte e un’età non avanzata (cui corrisponde anche la frequenza a corsi di studio universitari relativamente recente) dovrebbero contribuire a una maggiore apertura verso elementi di innovazione e una certa familiarità con la cultura della valutazione. Come si mostrerà anche nelle pagine che seguono in realtà entrambi gli aspetti sono fortemente critici.