La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c3
Liberalizzazione e militarizzazione: la società
postbellica della Repubblica di Weimar Traduzione di Enzo Morandi
Notizie Autori
Dirk Schumann è professore ordinario di Storia moderna e contemporanea,
Georg-August-Universität Göttingen.
Abstract
Si affrontano qui due tematiche chiave relative al percorso di rinnovamento di
cui la Repubblica di Weimar rappresenta l’inizio, ovvero quella della
liberalizzazione e della militarizzazione del neonato governo, affrontati a partire
dalla inconsueta portata storica di tale evento. Se, infatti, Weimar viene spesso
considerata nei termini di una realtà politica e sociale che ha posto le basi per
l’affermarsi del nazionalsocialismo, e quindi come un fenomeno storico pre-bellico,
è altresì vero che storicamente essa rappresenta in primo luogo un evento
post-bellico, sorto dalla volontà di reindirizzare il percorso politico tedesco
successivamente alle devastazioni della prima guerra mondiale e alla conseguente
perdita di un’autorità politica di riferimento.
Negli studi sulla Repubblica di Weimar e
la sua cultura politica un posto di primo piano lo hanno a lungo occupato le cause del suo
fallimento. Così, l’attenzione si è focalizzata sul comunismo e il nazionalsocialismo, sui
supposti limiti della Costituzione, sulle carenze dei partiti e sulle decisioni fatali della
classe politica al potere e dei rappresentanti delle elite sociali. La rivoluzione del
1918-1919 è stata ritenuta un sostanziale fallimento. In una repubblica su cui gravavano le
conseguenze della guerra e priva di un grande sostegno popolare la successiva mobilitazione
di massa nazista nel corso della grande crisi economica e quindi la presa del potere da
parte di Hitler sono state spesso interpretate come un esito sostanzialmente inevitabile.
A lungo prevalente e ancora non del
tutto superata, questa lettura degli eventi risulta tuttavia unilaterale e insufficiente. Se
vogliamo capire che cosa assillava i contemporanei, è necessario prima di tutto evitare di
focalizzare l’attenzione sulla storia della Repubblica di Weimar come semplice antefatto del
regime nazionalsocialista. È ‘anche’ questo, non c’è dubbio, e la questione del perché nel
1933 i nazisti riuscirono a prendere il potere rimane di primaria importanza, ma deve essere
inserita in un contesto temporale e tematico più grande. La storia della Repubblica di
Weimar, infatti, non fu solo «l’antefatto» del nazionalsocialismo ma fu
anche una «post-storia»: e cioè in primo luogo la storia degli eventi
¶{p. 72}postbellici, che coinvolsero praticamente tutta la popolazione, e
della rivoluzione che ne seguì con il suo complesso carico di aspettative ma anche di timori
per il futuro. Ma fu anche la storia che seguì quei radicali cambiamenti della modernità che
alla svolta del secolo resero possibile l’affermarsi di uno stile di vita il cui fulcro
erano la grande città e la cultura di massa. Tecnica e industria, oltre che una grande
varietà di impressioni sensoriali ed esperienze sociali caratterizzavano ora il modo di
vivere e di sentire dei tedeschi più del prevedibile, rassicurante e semplice mondo
contadino. Con la sua inedita e totale mobilitazione delle risorse umane ed economiche del
Paese, la guerra facilitò l’avvento della modernità.
Per tematizzare la liberalizzazione e la
militarizzazione come due fondamentali sviluppi in seno alla società tedesca dopo il 1918
occorre partire da queste premesse. Di primo acchito i due concetti appaiono chiaramente in
contraddizione: l’esperienza della molteplicità delle opinioni politiche e della vita
culturale, della grande libertà di cui si godeva nel decidere in merito alla propria vita, a
partire dalle attività legate al maggior tempo libero a disposizione per finire con la
possibilità di soddisfare i propri desideri sessuali, tutto questo appare decisamente in
contrasto con uniformi, parate ed esercitazioni militari. Un contrasto che appare anche più
evidente se si considera che la rivoluzione dell’autunno del 1918 fu senza dubbio seguita da
un generale impulso alla liberalizzazione, mentre la militarizzazione della cultura politica
cominciò a manifestarsi chiaramente solo verso la metà dell’epoca weimariana.
In questo saggio sosterrò che sia la
liberalizzazione che la militarizzazione trassero origine da una generale crisi
dell’autorità che si sviluppò durante la guerra e proseguì con la rivoluzione coinvolgendo
soprattutto i più giovani. Liberalizzazione e militarizzazione, dunque, non furono un
fenomeno della società postbellica solo dal punto di vista temporale dal momento che erano
direttamente collegabili a sviluppi precedenti. Inoltre, ed è questa la tesi principale che
viene qui sostenuta, i due fenomeni non erano necessariamente in contrasto. Come vedremo,
anzi, essi si intrecciarono condizionandosi a vicenda. Naturalmente fu solo a seguito della
crisi econo-¶{p. 73}mica mondiale che la militarizzazione poté
radicalizzarsi in un modo tale da risultare fatale per la tenuta della democrazia.
I.
Prima dunque di esaminare la
liberalizzazione e in seguito la militarizzazione nonché i loro possibili collegamenti
in seno alla società, occorre preliminarmente chiarire due concetti: il concetto di
«autorità» (e della sua «crisi») e quello di «società postbellica». Nel contesto della
storia della Repubblica di Weimar il primo – autorità – viene senza dubbio utilizzato
meno del secondo. In uno studio stimolante Anthony McElligott ha individuato la sfida
fondamentale cui la repubblica si trovò di fronte nella necessità di ristabilire
l’autorità e superare in tal modo quella crisi della medesima che era apparsa manifesta
nell’ultimo periodo della guerra. Ciò che sulle prime può suonare molto familiare con
riferimento in particolare all’annosa questione della scarsa accettazione della nuova
democrazia da parte della popolazione. Ma per McElligott non si tratta solamente di
giustapporre gli sforzi, poi falliti, del nuovo sistema politico volti ad ottenere una
più ampia legittimazione alle azioni delegittimanti dei suoi avversari. In realtà, egli
inserisce il problema dell’autorità nel più ampio contesto della modernità e della
guerra e adotta una prospettiva più ampia che include i diversi campi nonché le varie
dimensioni locali della disputa sulla validità dell’autorità: vi rientrano la politica e
l’economia, ma anche la cultura, la magistratura e lo stesso Landrat. Un approccio così
complesso appare più adatto a cogliere il nesso tra modernità e democrazia come pure
quello tra liberalizzazione e militarizzazione durante la Repubblica di Weimar rispetto
agli studi precedenti, in buona parte focalizzati solo sulle strutture politiche e i
processi decisionali.
Certamente più familiare delle
considerazioni di McElligott è la caratterizzazione della società weimariana come
«società postbellica» (post-war society) che Richard Bessel formulò
¶{p. 74}nel 1993
[1]
. Una definizione con cui Bessel intendeva riferirsi all’incapacità dei
tedeschi di lasciarsi la guerra alle spalle perché non accettavano la sconfitta, non
riuscivano a trovare un consenso minimo in merito all’interpretazione della guerra e
quindi non potevano, su queste basi, dare vita ad un ordine politico-sociale in grado di
durare a lungo. Quello di Bessel è un approccio metodologico ad ampio spettro in cui
trovano posto, accanto alle richieste socio-politiche avanzate dai veterani di guerra,
anche le forme estetiche del ricordo della guerra nella letteratura e nei monumenti.
Come McElligott, quindi, anche Bessel colloca le sue idee nel più ampio contesto della
cultura politica. La quale a questo punto non viene più intesa solo come la somma di
posizioni empiricamente rilevabili rispetto al sistema politico, ma più estesamente come
un complesso insieme di articolate attitudini, atteggiamenti e pratiche simboliche
attraverso cui si rafforza il legame tra quanti condividono gli stessi orientamenti.
II.
Quando l’autorità non viene più
riconosciuta come naturale, ciò può essere già inteso – in senso lato – come una forma
di liberalizzazione; ed è proprio questo quel che avvenne durante la guerra al di là
delle istituzioni politiche. Uno sviluppo che interessò particolarmente il mondo della
scuola e la vita dei più giovani, e quindi di quelli che durante gli anni di Weimar
costituivano, unitamente ai veterani di guerra, una parte non indifferente dei membri di
quei «gruppi paramilitari» che marciavano in file compatte nelle strade del Paese.
Durante la guerra, buona parte del corpo insegnante venne chiamato alle armi, con il
risultato che si dovette procedere ad una notevole riduzione del numero delle ore di
insegnamento. Contemporaneamente, le sempre più difficili condizioni di vita,
soprattutto negli ultimi anni di guerra, indussero molti giovani in età scolare a
lasciare senza autorizzazione la scuola ¶{p. 75}per aiutare la famiglia,
dove spesso mancava il padre perché richiamato alle armi e la madre era costretta a
lavorare fuori casa. I poliziotti incaricati di rintracciare questi giovani e di
riportarli a scuola anche con la forza incontravano forti resistenze. Le autorità
tradizionali, insomma, latitavano o erano molto meno presenti, e soprattutto era
notevolmente diminuito il rispetto che si aveva nei loro confronti. Verso la metà degli
anni Venti, in uno studio sul comportamento dei giovani durante la guerra il pedagogista
Wilhem Flitner descrisse questi cambiamenti con accenti molto critici: «Spesso non c’era
nessuno che vigilava sul bambino, il quale aveva ora a che fare con guide meno
autorevoli e ne approfittava. Egli provava gusto per una vita sregolata»
[2]
. Certo, a differenza di quel che pensava il pedagogista Flitner questo
«gusto» può anche avere un risvolto positivo, in altre parole può essere inteso come
voglia di libertà e come scoperta e soddisfacimento dei bisogni personali. Lo stesso si
può dire per i più grandicelli, che erano già al lavoro nelle fabbriche in sostituzione
degli operai spediti al fronte. Costoro ora disponevano di danaro e potevano quindi
permettersi di andare al cinema o di frequentare altri locali, e in ogni caso potevano
concedersi divertimenti che in precedenza erano loro preclusi. In un contesto
caratterizzato da un forte aumento della criminalità giovanile, anche questi sviluppi
preoccuparono non poco i contemporanei, che cercarono di adottare qualche strumento di
controllo, tra cui quello dell’austerità. D’altro canto, è possibile riconoscere in
questi sviluppi un aumento della libertà personale e quindi una forma di
liberalizzazione, malgrado le difficili condizioni materiali degli anni di guerra e
anche se certo non rivestivano una specifica dimensione politica.
Con la fine della guerra e la
rivoluzione che ne seguì questa messa in discussione dell’autorità conobbe un nuovo e
più forte impulso. Nelle scuole e soprattutto nei licei essa si manifestò in una forma
finora inedita, l’elezione dei consigli scolastici. I quali, come ha evidenziato Martin
Geyer, oltre a mostrare la
¶{p. 76}loro faccia ribelle già con il
rifiuto di rivolgere il saluto agli insegnanti, vollero anch’essi, da posizioni liberali
di sinistra, partecipare alla rivoluzione, anche se il loro impegno fu di breve durata.
Un nuovo e non meno appariscente godimento della libertà si manifestò nel comportamento
dei soldati, che una volta tornati a casa se ne andavano in giro indossando larghe
uniformi fuori ordinanza e a volte strappavano perfino le spalline agli ufficiali che
incontravano. Ora la vita sembrava scorrere nel segno della gioventù – in senso lato –
sempre alla ricerca di nuovi modi per soddisfare il piacere di vivere. Non a caso si
imposero nuovi balli come il foxtrot e il tango, abiti più aderenti e costumi sessuali
decisamente più permissivi. Come alla fine del 1919 annotarono con grande disappunto i
responsabili decisionali locali della Sassonia – appartenenti ad un’altra epoca e già in
carica durante il Reich guglielmino, e dunque esponenti del vecchio funzionariato –
c’era «una depravazione e un abbrutimento» della gioventù che si manifestavano in una
«ricerca sfrenata del divertimento, un comportamento assai maleducato per strada … e un
disprezzo delle regole familiari e delle autorità costituite»
[3]
. Senza voler negare i problemi cui un simile comportamento poteva dare
adito, nel giudizio dei funzionari si riflette inequivocabilmente una liberalizzazione
sociale che si accompagnò a quella politica in seguito alla rivoluzione e alla entrata
in vigore della nuova Costituzione.
Note
[2] W. Flitner, Der Krieg und die Jugend, in O. Baumgarten et al., Geistige und sittliche Wirkungen des Krieges in Deutschland, Stuttgart - Berlin - Leipzig - New Haven, Deutsche Verlags-Anstalt, 1927, p. 267.
[3] Lettera del Regierungspräsident di Magdeburgo al ministro degli Interni prussiano, 25 ottobre 1919, in Landesarchiv Sachsen-Anhalt Dresden, sez. Magdeburg, C 20 Ib 1996/I, cc. 332 s.