La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c3
Apparentemente di più facile
interpretazione sembrano invece essere la crescita e le attività delle già ricordate
unità paramilitari riconducibili ai diversi schieramenti politico-ideologici. Come è
noto la prima unità di questo tipo a fare la sua comparsa sulla scena fu lo Stahlhelm.
Bund der Frontsoldaten (Stahlhelm. Lega dei soldati del fronte). All’inizio impegnata
più che altro nella difesa degli interessi dei veterani di guerra e nella loro
assistenza, a partire dal 1919 questa organizzazione estese la sua attività su tutto il
territorio tedesco collocandosi chiaramente nel settore di destra dello schieramento
politico e su posizioni alla fine chiaramente ostili alla repubblica. Caratteristica
precipua dello Stahlhelm era lo stile con cui manifestava
¶{p. 86}le sue
posizioni politiche: sempre attivamente presente negli spazi pubblici, occupava strade e
piazze con marce sempre molto affollate i cui partecipanti sfilavano in uniforme e in
file compatte dietro una bandiera. In tal modo, lo schieramento nazional-borghese fece
sostanzialmente proprio il modello del movimento operaio con i suoi raduni di massa, ma
gli conferì una dimensione militare, e autodefinendosi «Lega dei soldati del fronte»
sostenne un’interpretazione ‘positiva’ della guerra centrata su adempimento del dovere
ed eroico impegno. Ricorrere alla violenza contro gli avversari politici non era il suo
scopo principale, ma era comunque un possibile effetto collaterale dell’occupazione
dello spazio pubblico che lo Stahlhelm metteva assolutamente in conto.
Accanto a quella comunista – Der
Rote Frontkämpferbund (Lega rossa dei combattenti del fronte) – una controparte
filo-repubblicana dello Stahlhelm comparve sulla scena solo parecchi anni dopo il
superamento della pesante crisi che toccò il culmine con l’iperinflazione alla fine del
1923 e nel corso della quale ebbe luogo anche il fallito tentativo di colpo di Stato di
Hitler. Anche il Reichsbanner Schwarz-Rot-Gold. Bund der republikanischen
Kriegsteilnehmer (Reichsbanner nero-rosso-oro. Lega dei combattenti repubblicani) era
un’organizzazione paramilitare, ma con caratteristiche meno offensive rispetto allo
Stahlhelm. Unitamente al Reichsbund der Kriegsbeschädigten
(Lega del Reich dei mutilati e invalidi di guerra), inoltre, il Reichsbanner dava un’interpretazione della guerra
abbastanza diversa perché poneva l’accento in particolare sulle sofferenze e gli orrori
da essa causati. In ogni caso, occorre sempre ricordare che lo Stahlhem e gli altri
«gruppi paramilitari» di cui qui si dà conto svolgevano una doppia funzione: da un lato
consentivano ai veterani di incontrarsi per parlare delle loro esperienze di guerra, e
dall’altro ne influenzavano le idee politiche.
Quanto rilevante sia stato il
contributo dato dal Reichsbanner alla militarizzazione della cultura politica non è
quindi facile da stabilire ed è una questione su cui ancora gli storici si interrogano.
Mentre Benjamin Ziemann ritiene questo contributo relativamente limitato, e quindi
dissente dalla vecchia tesi di Karl Rohe, appare più convincente la recente
interpretazione ¶{p. 87}di Arndt Weinrich, che invece attribuisce al
Reichsbanner un peso senz’altro maggiore. Weinrich richiama l’attenzione sulla forza di
attrazione che poteva esercitare proprio nei confronti dei più giovani una visione della
guerra per la quale il soldato non era solo un uomo passivo e sofferente ma un
combattente attivo e responsabile al quale veniva in tal modo riconosciuto un autonomo
potere di agire.
Questo «consenso minimo in tema di
cultura del ricordo»
[10]
era presente anche nelle file del Reichsbanner ed era assai diffuso
nell’opinione pubblica nei tardi anni Venti e nei primi anni Trenta. In ogni caso,
l’orientamento sostanzialmente pacifista e favorevole alla riconciliazione soprattutto
con la vicina Francia del Reichsbanner non cambiò minimamente. Ad una intesa con la
Francia puntava anche lo Jungdeutscher Orden (Ordine dei giovani tedeschi), una
organizzazione paramilitare con radici anche nel movimento giovanile, non facilmente
inquadrabile sul piano politico, sostanzialmente elitaria e non aliena da prese di
posizione e argomentazioni di stampo antisemita, che nel 1930 si fuse con la DDP
(liberali di sinistra). Dunque possiamo ravvisare la forza di attrazione di una
interpretazione della guerra focalizzata sull’impegno in primo luogo nel fatto che essa
conferiva per così dire autorità all’individuo che vi
si riconosceva perché prometteva stabilità sul piano
psichico e caratteriale. Una interpretazione priva di una valenza specificamente
politica e che non alimentava alcun concreto piano di rivincita, anche se piani del
genere erano certo più facilmente ricollegabili a questo tipo di interpretazione
piuttosto che a quella che della guerra metteva in risalto lutti ed orrori.
Che l’interpretazione della guerra
non abbia giocato un ruolo di primo piano nel processo di militarizzazione della cultura
politica, emerge anche dalla configurazione dei monumenti ai caduti che dopo il 1918
vennero eretti in tutti gli angoli della Germania. Certo, alcuni di essi, come ad
esempio quello raffigurante un soldato nell’atto di lanciare una granata che venne
eretto a Berlino presso la Technische Universität, inviavano un
¶{p. 88}messaggio di segno chiaramente aggressivo-revanscista, ma di
monumenti di questo tipo non ne vennero eretti molti. Le forme utilizzate, in realtà,
erano le più disparate, mentre i motivi più ricorrenti, seppure declinati in modi
diversi, erano il lutto e il dolore. Anche per ragioni di costi, si fece ampio ricorso a
forme semplici, peraltro già utilizzate nel XIX secolo, come l’obelisco, la stele e la
croce cristiana, forme il cui uso non poteva essere ricondotto ad una specifica
interpretazione della guerra. Quanto alle scritte, comparivano spesso termini quali
«eroi», «camerati» e «figli», termini ai quali non era possibile ricollegare alcun
particolare messaggio. Anche le rappresentazioni figurative, che spesso si rifacevano ad
antichi modelli, consentivano più di una interpretazione. Dolore e lutto erano i temi
centrali delle rappresentazioni dei caduti che
richiamavano il motivo cristiano della Pietà.
Anche la Neue Wache (Nuova Guardia)
a Berlino, che dopo lunghe dispute politiche era stata trasformata dal governo prussiano
a guida socialdemocratica in un luogo per la commemorazione dei caduti, non lasciava
trasparire alcuna precisa interpretazione della guerra. Un lucernario circolare
illuminava l’interno, nel quale si ergeva, su un basamento di basalto, un cubo di
granito a forma di altare su cui spiccava una corona di fronde di quercia in oro e
argento. Sulla parete rivestita di calcare conchilifero si poteva leggere soltanto la
scritta «1914/18». Anche questa costruzione si prestava a più di una interpretazione:
con la sua sacralità e astrattezza accentuava in primo luogo il lutto per i caduti, ma
in ogni caso non escludeva nemmeno una eroica lettura della loro morte. Una ambivalenza
che emerge anche dai discorsi che si tennero in occasione della sua inaugurazione nel
giugno del 1931: mentre, infatti, il Ministerpräsident prussiano,
il socialdemocratico Otto Braun, si soffermò soprattutto sull’aspetto del lutto, il
ministro della Reichswehr Wilhelm Groener esaltò in particolar modo l’eroismo dei
caduti. Sicché si può dire che la Neue Wache rappresentava una sorta di compromesso
repubblicano nell’ambito della cultura del ricordo. Come spinta alla liberalizzazione,
questo modo così sfaccettato di ricordare la guerra riveste un’importanza molto
limitata. Ciò non toglie, tuttavia, ¶{p. 89}che esso ha comunque
consentito diverse accentuazioni della militarizzazione in atto al di là del «consenso minimo sul terreno della cultura della memoria».
VI.
Negli anni centrali e relativamente
stabili del periodo weimariano la militarizzazione accentuò la polarizzazione della
cultura politica. Dopo l’inizio della crisi economica mondiale (1929) rappresentò un
pericolo sempre più grave e contribuì alla rovinosa caduta della repubblica. Le unità
paramilitari, ed in particolare le SA (Sturmabteilung o «Squadra/e d’assalto», vale a
dire il primo gruppo paramilitare nazista), accentuarono la loro propensione all’uso
della violenza, che divenne endemica. A differenza degli altri gruppi, le SA non si
consideravano una associazione di veterani ma una organizzazione di giovani combattenti.
Certo, si presentava anch’essa in pubblico come le altre organizzazioni, i suoi membri
sfilavano quasi sempre in uniforme e in file compatte, ma lo facevano in modo più attivo
e dinamico, in altre parole erano sempre pronti allo scontro fisico. Il grande aumento
della disoccupazione provocato dalla crisi economica contribuì ad ingrossare
notevolmente le sue file, come del resto quelle dei comunisti, grazie all’arrivo di
nuovi volontari, molti dei quali giovani. Le sue apparizioni in pubblico aumentavano
soprattutto nel corso delle campagne elettorali e in tal modo aumentavano anche gli
scontri e le vittime della violenza.
Va comunque sottolineato con
chiarezza che anche dopo il 1930 la violenza, misurata in base al numero delle vittime,
non toccò mai il livello raggiunto durante gli anni 1919-1920 della guerra civile. Alla
fine di agosto del 1932, che fu di gran lunga l’anno più sanguinoso, le vittime in tutta
la Prussia furono 155, la stessa cifra complessivamente toccata nei tre anni precedenti.
Uno Stato democratico deciso a difendersi avrebbe potuto riportare la situazione sotto
il suo controllo anche a questo punto, ma a partire dall’entrata in carica del governo
Papen, che poteva contare solo sul sostegno del presidente del Reich,
¶{p. 90}esso aveva ormai rinunciato a tale possibilità praticamente su
tutto il territorio nazionale. Il problema, quindi, non era tanto la violenza in sé
frutto della militarizzazione quanto piuttosto la sua strumentalizzazione, soprattutto
da parte di quei settori dell’estrema destra che erano fermamente decisi a liquidare la
repubblica, ad attribuire a comunisti e socialdemocratici la responsabilità esclusiva
del clima di violenza e a presentare come legittima difesa quella esercitata dalla loro
parte. Tutto questo mentre il sistema politico subiva un processo di de-liberalizzazione
tramite il sempre più frequente ricorso ai governi del presidente e la conseguente,
parziale esautorazione del Reichstag a partire dalla nomina di Heinrich Brüning a
cancelliere nel marzo del 1930.
VII.
In conclusione possiamo affermare
che i processi di liberalizzazione e militarizzazione, qui descritti come due
fondamentali linee di sviluppo presenti in Germania dopo la rivoluzione del 1918, non
erano necessariamente in contraddizione tra loro. Se non li si considera su un piano
essenzialmente politico, si possono vedere come due processi le cui radici affondavano
negli anni della guerra, durante i quali il ruolo e il concetto stesso di autorità
vennero messi in discussione e tornarono a rafforzarsi solo dopo il 1918 ma in un modo
nuovo. Tutto questo riguardò soprattutto i giovani, in particolare i giovani uomini. Il
fatto che questo processo complessivo si sia alla fine concluso con la distruzione della
Repubblica di Weimar, in un contesto caratterizzato da crescenti timori di guerra
civile, non era in alcun modo inevitabile, ma fu soprattutto dovuto alla
radicalizzazione innescata dagli effetti della crisi economica mondiale.
Note
[10] A. Weinrich, Der Weltkrieg als Erzieher. Jugend zwischen Weimarer Republik und Nationalsozialismus, Essen, Klartext, 2013, p. 121.