Declinare crescendo
DOI: 10.1401/9788815413505/p1
È questo lo spirito
che porterà Manghi a mantenere sempre tra l’altro posizioni critiche nei confronti
dell’intervento statale sul sindacato e a respingere con forza tutte le seduzioni
positivistiche, talvolta anche assumendo posizioni in apparenza difficili
[23]
. E al proposito, sul fronte
giuslavorista, penso valga salutare molto positivamente, dopo anni di silenzio, la
rinnovata attenzione sulle modalità e sulle tecniche di bilanciamento e
contemperamento concreto tra principi gerarchici, connaturati all’esigenza di
stabilità coesione e unità interna del nostro sindacato (che trovano protezione
nella dimensione collettiva della libertà
Il quinto capitolo
rimane sui temi della democrazia interna. Anche questo capitolo è animato da una
tesi critica rispetto alle forme in cui si è andato sviluppando il sindacalismo
italiano
[25]
. Per Manghi il punto è
semplice: «accettare il problema della democrazia interna come discriminante
rispetto al destino sociale del sindacato» (p. 92) e del resto il coinvolgimento dei
singoli nelle lotte e nella vita interna del sindacato assume un profondo connotato
libertario. L’ipotesi sulla quale l’autore insiste, riprendendo quanto già osservato
nel capitolo precedente, è che si sia di fronte a un impoverimento progressivo del
sindacato «sia in termini di idee sia in termini di idealità» (p. 94). I due aspetti
della democrazia sindacale che stanno a cuore a Manghi sono infatti la
partecipazione alle decisioni di azione e l’intervento effettivo nella designazione
dei responsabili. Per entrambi sono formulate nel testo diverse osservazioni
critiche e svariate soluzioni concrete. Nella sua evoluzione il problema della
democrazia sindacale dovrebbe significare «valorizzazione del dissenso e impegno a
portare maggiore uguaglianza dentro l’organizzazione di classe» (p. 99). In queste
pagine, forse tra le migliori del libro, Manghi ci offre l’elogio della lentezza
della democrazia sindacale e la teorizzazione della “democrazia ingenua”: quella
uscita sconfitta dal movimento successivo al ’67, ma costitutiva di un’esperienza
straordinaria e proiettata verso l’unità sindacale autentica, quella che aveva
cercato di contemperare «il necessario atto di delega (il voto) con un flusso di
partecipazione che a tutti ¶{p. 17}appartiene
(assemblee, revoca, manifestazioni non irregimentate)» (pp.100-101)
[26]
.
Con il sesto e ultimo
capitolo il libretto giunge all’epilogo. Qui l’autore riprende la tesi principale
sostenuta sin dalle prime pagine e cioè che il sindacalismo italiano sia avviato a
perdere la propria originalità e si stia facendo progressivamente più incerto nella
tutela delle persone che lavorano per ragioni interne più che esterne ad esso. In
risposta ai segni del declino intravisti la proposta che Manghi mette sul tappeto è
lo spirito della autogestione. La cultura sindacale deve superare la subalternità
allo Stato perché lo spirito della autogestione possa sospingere il movimento
sindacale a «organizzare le rivendicazioni qualitative e quantitative che si formano
nei confronti delle istituzioni. Il sindacato può organizzare i pendolari, gli
anziani, gli inquilini, i malati, sapendo tuttavia che in certa misura le spinte
rivendicative e negoziali legittimano e rafforzano i gruppi di potere prodotti dalle
istituzioni. Occorre quindi proporsi di sviluppare l’autogestione dei servizi,
estendendo la capacità diffusa di gestione, diffondendo le conoscenze adeguate,
sperimentano situazioni di gestione diretta» (p. 122).
Come era
prevedibile, considerato quanto l’autore ha scritto nelle pagine precedenti, anche
nel finale, pure venato di una certa dose di utopismo, almeno a guardare la proposta
con gli occhi di oggi, Manghi non tradisce il suo credo pragmatico. Poiché anche la
sua autogestione rischia di trovare la sua collocazione nel tempio dell’ideologia,
egli ribadisce al proposito l’imperativo di fondo che lo ha guidato nel breve spazio
di queste 126 pagine e cioè che valgono per l’autogestione le condizioni per ogni
ipotesi politica: «la sperimentazione autentica, la verifica, la correzione» (p.
126).
Note
[23] Vedi per esempio l’incontro/scontro con F. Mancini in Progetto n1 gennaio/febbraio 1981 sul tema del referendum.
[24] Mi riferisco all’opera monografica di Cristofolini, Profili organizzativi e trasparenza finanziaria dei sindacati rappresentativi. Uno studio comparato, Milano: Franco Angeli, 2021 e alla proposta ivi contenuta, spec. 261 e ss.
[25] Queste tesi troveranno numerose conferme, anni dopo, nella più ampia ricostruzione e sistemazione di Accornero, La parabola del sindacato. Ascesa e declino di una cultura, Bologna: il Mulino, 1992. La sistematizzazione più articolata coeva al nostro libretto è invece quella di Romagnoli, Treu, I sindacati in Italia: storia di una strategia (1945-1976), Bologna: il Mulino, 1977.
[26] Su quella stagione, tra i tanti contributi, meriterebbe una rinnovata riflessione il lavoro di G. Romagnoli, Consigli di fabbrica e democrazia sindacale, Milano: Gabriele Mazzotta, 1976.