Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c2
Heidegger risponde assumendo il fenomeno della comprensione «come modo fondamentale dell’essere dell’Esserci»
[22]
: il «comprendere» non è semplicemente una forma della conoscenza, ma è un «carattere ontologico originario della vita umana stessa»
[23]
. Questa comprensione originaria, che qualifica l’uomo come un essere che esiste solo comprendendo, è messa da Heidegger in relazione con la nozione di possibilità, di «essere in grado di far fronte ad una cosa», «essere capace di», «potere qualcosa». Definire la comprensione come modo fondamentale dell’esistenza umana (del Dasein) significa che l’esistenza umana «è primariamente un esser-possibile», una possibilità di essere: «nella comprensione è riposto essenzialmente il modo di essere dell’Esserci in quanto poter-essere». Pertanto «la comprensione ha in se stessa la struttura esistenziale che noi chiamiamo progetto».
¶{p. 64}
Betti non ama il linguaggio ermetico di Heidegger, e non si può dargli torto. Nemmeno ha torto quando lamenta che «qui una stessa parola (“intendere”) viene usata per qualificare due atteggiamenti spirituali essenzialmente diversi»
[24]
: da un lato, nel senso tradizionale, per indicare la conoscenza, ottenuta mediante l’attività interpretativa, del contenuto di una oggettivazione dello spirito altrui; dall’altro, per indicare la «conoscenza di sé», intesa come «visione» delle proprie possibilità di essere, che l’uomo acquista mediante l’esperienza del mondo in cui è gettato. E ancora ha ragione quando rileva che l’uso della parola «verstehen» nel secondo senso è determinato da un accostamento (Betti parla di equivoco) al concetto di «sich auf etwas verstehen» (= intendersi di qualcosa), che implica l’idea di «potere», «essere capace»
[25]
. Ma appunto perciò la critica ad Heidegger non può consistere, e tanto meno esaurirsi nell’obiezione di avere capovolto paradossalmente il rapporto genetico fra interpretare e comprendere. In questi termini la critica scade al livello delle «occasions de troubles» che Montaigne chiamava «grammairiennes». Heidegger tiene distinti i due significati in cui adopera la parola «intendere» (o «comprendere»), così che non è a lui imputabile l’equivoco in cui cade la critica di Betti. Nel senso comune, in cui si determina col carattere di evento, come risultato dell’interpretazione, cioè «nel senso di un possibile modo di conoscere fra altri, distinto ad esempio dallo “spiegare”», la comprensione è per Heidegger, unitamente allo «spiegare», un «derivato esistenziale» della comprensione originaria da lui identificata come elemento costitutivo dell’esistenza propria dell’uomo. Corrispondentemente l’ermeneutica nel senso di «metodologia delle scienze storiche dello spirito» è un modo derivato del l’ermeneutica nel senso primario (ontologico) di «fenomenologia ¶{p. 65}dell’Esserci»
[26]
. Questo significato «primario» è sotteso evidentemente all’affermazione che «l’interpretazione si fonda esistenzialmente sulla comprensione e non nasce quindi questa da quella»
[27]
.
Betti chiude troppo sbrigativamente la partita con Heidegger, rendendosi così indisponibile ad accogliere il contributo che l’«analitica esistenziale», purché trovi una via di ritorno sul piano epistemologico, può apportare alla teoria generale dell’interpretazione. Nella misura in cui è vera fenomenologia e non metafisica, la fenomenologia di Heidegger può aiutare a risolvere il problema, sempre aperto, dell’oggettività del sapere ermeneutico.
3. La «precomprensione».
È merito di Gadamer avere sviluppato l’ontologia ermeneutica di Heidegger collegandola più strettamente col problema dell’interpretazione nel senso diltheyano di «intendimento, conforme a regole tecniche, di espressioni di vita fissate dalla scrittura»
[28]
, e nell’ambito di questo problema mettendola a confronto con l’ermeneutica tradizionale. L’intenzione con cui egli si impegna nel confronto e sintetizzata nel titolo del suo libro, dove «il “metodo” [. . .] è introdotto in un senso fondamentalmente polemico»
[29]
. «Fondamentalmente», non «assolutamente»: l’antimetodologismo di Gadamer non è assoluto, non pretende che le scienze dello spirito siano dispensate dalla questione metodologica, ma produce un «mutamento di prospettiva»
[30]
che subordina le preoccupazioni di metodo al problema fondamentale della ricognizione, mediante l’analisi fenomenologica della «situa¶{p. 66}zione ermeneutica», delle condizioni che rendono possibile la comprensione
[31]
. La critica di Gadamer ha un termine di riferimento costante nel concetto di metodo di Dilthey
[32]
, secondo cui le scienze dello spirito «devono realizzare una obiettività simile a quella delle scienze della natura»
[33]
, e pertanto si fondano su un rapporto di rigida contrapposizione del soggetto all’oggetto della conoscenza.
Nell’ambito di questa impostazione il «circolo ermeneutico», in cui si esprime «la legge fondamentale di ogni comprendere»
[34]
, è una relazione formale tra parti e tutto che si costituisce all’interno del testo da interpretare e si traduce in una guida metodica dell’esegesi del testo. Ma già Schleiermacher aveva avvertito l’insufficienza del circolo ermeneutico così concepito, e lo aveva integrato col canone dell’interpretazione soggettiva o psicologica, alla stregua del quale «il testo va inserito, come manifestazione di un momento creativo, nella totalità della vita spirituale del suo autore»
[35]
. In tal modo, mediante una trasposizione dell’interprete nella personalità dell’autore, si tentava di superare l’originaria posizione di estraneità del soggetto rispetto all’oggetto di cui intraprende la conoscenza.
L’analisi esistenziale elaborata da Heidegger e proseguita da Gadamer nega che la comprensione ermeneutica sia semplicemente uno sviluppo, differenziato da una migliore tecnica interpretativa, della relazione elementare ¶{p. 67}soggetto-oggetto che si instaura fra lettore e testo
[36]
. Il circolo ermeneutico non è soltanto una struttura interna al testo, considerato come oggetto contrapposto al soggetto, ma è una struttura alla quale appartiene lo stesso soggetto interpretante. Le condizioni di possibilità del comprendere «non sono riconducibili tutte nell’ambito di un “procedimento” o di un metodo»
[37]
, ma includono anzitutto un dato esistenziale costituito dalla comprensione originaria che inseparabilmente accompagna l’interprete in quanto modo di essere della sua esistenza umana. Questa comprensione originaria (o primaria), che precede l’attività riflessiva dell’interpretazione e la determina permanentemente attraverso le progettazioni (o anticipazioni) di senso che in essa si formano, è denominata dai discepoli di Heidegger, a cominciare da Bultmann, «precomprensione» (Vorverständnis).
Una simile tesi, che fa dipendere la possibilità dell’interpretazione da una «struttura precostituita del comprendere», appare a Betti come manifestazione di un soggettivismo esasperato, che conduce a una perdita irreparabile dell’oggettività. Egli reagisce con espressioni di meraviglia quasi indignata, constatando che nella Germania d’oggi allignano «nuovi discettatoti» che osano «considerare pensatori della statura di Friedrich Schleiermacher e di Gustav Droysen come sostenitori di erronee teorie»
[38]
. In realtà Gadamer giudica i canoni ermeneutici classici non tanto erronei, quanto insufficienti perché non tengono conto del «dato» della precomprensione. Chiuso nel suo punto di vista, che è quello della teoria della conoscenza, Betti fraintende il fenomeno della precomprensione descritto da Gadamer. Egli lo percepisce come «una relazione con l’oggetto da interpretare»
[39]
, cioè un ¶{p. 68}pre-giudizio sul contenuto del testo, in anticipo sui (e a scapito dei) risultati dell’esegesi; mentre Bultmann e Gadamer definiscono la precomprensione in termini esistenziali, quale «rapporto vitale con la medesima cosa di cui parla il testo»
[40]
, con «ciò in vista di cui» il testo è stato scritto, rapporto che sollecita nell’interprete l’interesse a intraprendere la conoscenza del testo. Il fraintendimento non ha certo giovato alla fruttuosità della polemica, e anzi l’ha spinta in prossimità del dialogo fra sordi. Gadamer, al quale è toccata l’ultima parola, ha chiuso il colloquio lamentando di non essere riuscito a farsi capire da Betti, a convincerlo che la precomprensione non è un concetto metodologico
[41]
.
Quando viene introdotta nella teoria della conoscenza, la precomprensione riceve la qualifica negativa di pregiudizio, che spinge l’interpretazione verso esiti segnati dall’arbitrio soggettivo e perciò incompatibili con la pretesa di oggettività della conoscenza. Allora il circolo ermeneutico non sfugge all’accusa di viziosità e la tesi di Gadamer sarebbe, come dice Betti, «palesemente paradossale». Sul piano gnoseologico l’asserto che l’interpretazione è metodicamente promossa da una comprensione anticipata è una pura assurdità. Sul piano ontologico invece, che è propriamente il luogo di emersione del fenomeno della precomprensione, il cerchio ermeneutico non si costituisce come principio metodico, non è un atteggiamento possibile che il soggetto può rifiutare, ma è un dato non sopprimibile nel quale si rivela la struttura anticipatoria della comprensione: «chi ha capito il fenomeno
¶{p. 69}sa ormai che “il fatto decisivo non è l’uscire dal cerchio, ma il penetrarvi in modo corretto”»
[42]
.
Note
[22] Sem und Zeit, § 31 (trad. it. di Chiodi, Milano, 1953, pp. 156 ss.).
[23] Gadamer, W.u.M., p. 246 (trad. it. cit., p. 307).
[24] Betti, Teoria generale, cit., vol. I, p. 245.
[25] Betti, Teoria generale, cit., vol. I, pp. 158, nota I, 244, nota II; Festschrift Rabel, p. 91, nota 14b. Cfr. Gadamer, op. loc. ult. cit., e già Il problema della coscienza storica, Napoli, 1974, pp. 54 ss.
[26] Sein und Zeit, § 7, lett. C (trad. it. cit., p. 48). Peraltro, come osserva Ricoeur, Conflitto delle interpretazioni, cit., p. 24, Heidegger «non ci fornisce alcun mezzo per mostrare in quale senso la comprensione propriamente storica sia derivata da questa comprensione originaria».
[27] Sein und Zeit, § 32, (trad. it. cit., p. 162).
[28] Dilthey, Die Entstebung der Hermeneutik, in Gesammelte Schriften, vol. V, Leipzig u. Berlin, 1924, p. 319 («kunstmässiges Verstehen von dauemd fixierten Lebensäusserungen»).
[30] Gadamer, Prefazione all’edizione italiana di W.u.M.., cit., p. XLIV.
[31] Gadamer, W.u.M., pp. XV, 279 (trad. it., pp. 8, 345).
[32] Cfr. Ricoeur, Ermeneutica filosofica ecc., cit., p. 47.
[33] È già stato osservato come l’intenzione della ricerca di Gadamer di «opporsi alla pretesa di universale dominio della metodologia scientifica» (W.u.M., p. XXV; trad. it., p. 19), cioè alla pretesa del metodo scientifico (inteso come metodo che conduce a certezze empiriche) di essere l’unica misura della verità, sia improntata a una «concezione notevolmente antiquata della scienza»: De Ruggiero, Tra consenso e ideologia. Studio di ermeneutica giuridica, Napoli, 1977, p. 55). La scienza contemporanea è caratterizzata dalla consapevolezza della provvisorietà dei suoi schemi di spiegazione della realtà. Cfr. Popper, Logica della scoperta scientifica, Torino, 1970, spec. pp. 308 ss.
[34] Wach, Verstehen, cit., vol. I, p. 41.
[35] Wach, Verstehen, cit., vol. I, p. 102; Gadamer, W.u.M., pp. 174 ss. (trad. it. cit., pp. 225 ss.).
[36] Cfr. Leicht, Von der Hermeneutik-Rezeption zur Sinnkritik in der Rechtstheorie, in Rechtstheorie, a cura di Kaufmann, Karlsrule, 1971, p. 73.
[38] L’ermeneutica storica, cit., p. 14.
[39] Ibidem, p. 6.
[40] Bultmann, op. cit., pp. 217, 219 s., 227 e, dello stesso autore, Geschichte und Eschatologie, Tübingen, 1958, p. 126. Non diversamente Gadamer, W.u.M., p. 278 (trad. it. cit., p. 344), scrive che la precomprensione «im Zu-tun-haben mit der gleichen Sache entspringt». La prima parte del saggio di Betti pubblicato negli «Annali» di Bari rinnova una critica a Bultmann già presente diffusamente in Teoria generale, cit., vol. I, pp. 250 s.; vol. II, pp. 877 ss., e in Festschrift Rabel, vol. II, p. 115, nota 47a. Ma Bultmann non ha risposto. In Geschichte und Eschatologie, cit., si limita a dtare due volte Betti (pp. 126, 137) su punti che ritiene concordanti col proprio pensiero.
[41] W.u.M., pp. 484, 495, nota 2.
[42] Ricoeur, op. ult. cit., p. 41, con riferimento a un noto passo di Heidegger, Sein und Zeit, § 32 (trad. it. cit., p. 166): «Das Entscheidende ist nicht, aus dem Zirkel heraus, sondem in ihn nach der rechten Weise hineinzukommen».