Luigi Mengoni
Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c2
Quando viene introdotta nella teoria della conoscenza, la precomprensione riceve la qualifica negativa di pregiudizio, che spinge l’interpretazione verso esiti segnati dall’arbitrio soggettivo e perciò incompatibili con la pretesa di oggettività della conoscenza. Allora il circolo ermeneutico non sfugge all’accusa di viziosità e la tesi di Gadamer sarebbe, come dice Betti, «palesemente paradossale». Sul piano gnoseologico l’asserto che l’interpretazione è metodicamente promossa da una comprensione anticipata è una pura assurdità. Sul piano ontologico invece, che è propriamente il luogo di emersione del fenomeno della precomprensione, il cerchio ermeneutico non si costituisce come principio metodico, non è un atteggiamento possibile che il soggetto può rifiutare, ma è un dato non sopprimibile nel quale si rivela la struttura anticipatoria della comprensione: «chi ha capito il fenomeno
{p. 69}sa ormai che “il fatto decisivo non è l’uscire dal cerchio, ma il penetrarvi in modo corretto”» [42]
.

4. La precomprensione come problema metodologico.

Ma «stare dentro il cerchio in maniera corretta» non è più un «esistenziale», è un comportamento conforme a regole di legittimità. Heidegger avverte che la struttura anticipatoria della comprensione nella sfera ontologica, dimostrando insostenibile l’«ideale di una scienza libera da presupposti», produce un’aporia nella sfera epistemologica, dove sorge l’esigenza di oggettività della conoscenza. Perciò la sua descrizione del circolo ermeneutico sbocca in una prescrizione che coinvolge un problema di metodo: «la possibilità positiva di conoscenza racchiusa nel circolo ermeneutico può essere afferrata correttamente solo se l’interpretazione riconosce che il suo compito primo, costante ed ultimo è quello di non lasciarsi imporre progetti, visioni preliminari, anticipazioni da idee improvvise o da opinioni comuni, e di elaborare invece la precomprensione “sulle cose stesse”, così da garantire per questa via la scientificità del proprio tema».
Heidegger lascia aperto il problema, e proprio da questo punto il suo discorso è continuato da Gadamer [43]
. Egli riconosce la natura metodologica del problema: «una interpretazione condotta con coscienza metodologica non deve tendere a portare semplicemente a compimento le proprie anticipazioni, ma deve sforzarsi di farsene consapevole per controllarle e guadagnare così dalle cose stesse la giusta comprensione» [44]
. Tuttavia la sua ricerca, secondo l’intenzione annunciata dal titolo, che pone un’alternativa tra «verità» (nel senso heideggeriano di scoprimento dell’essere) e «metodo», si svolge pur sempre sul piano dell’analisi fenomenologica e mira ad approfondire la «scoperta {p. 70}heideggeriana della precomprensione» esplicitandone tutte le conseguenze sulla struttura dei processi interpretativi. Il suo libro «non vuole affatto essere una metodologia delle scienze dell’interpretazione» [45]
; per lui «l’ermeneutica sta alle scienze dello spirito, non come loro metodo, ma come svelamento della loro essenza» [46]
, come risposta alla domanda, kantianamente formulata, «come sia possibile il comprendere» [47]
. Ma ciò non significa che la teoria ermeneutica di Gadamer sia indifferente alla questione propriamente epistemologica circa lo statuto delle scienze dello spirito. Come egli stesso ha precisato [48]
, la riflessione sulla fondazione delle scienze dello spirito, in quanto rende trasparente la precomprensione che le dirige, pone la questione in una nuova dimensione e quindi contribuisce indirettamente anche al lavoro metodologico. In questo senso si può dire che «in rapporto a Heidegger, Gadamer significa l’inizio del movimento di ritorno dall’ontologia ai problemi epistemologici» [49]
.
L’analisi fenomenologica del «comprendere», compiuta dalla filosofia esistenzialistica, ha messo in luce l’insufficienza dell’ermeneutica classica, impostata sull’idea che lo scritto, di per sé, basti a guidare e a determinare la comprensione, così che questa sarebbe la riproduzione di un originario atto produttivo, il coglimento di un senso già compiutamente definito, un «erkennen was einmal “erkannt” worden ist», secondo la celebre formula di August Boeckh [50]
. A questa stregua il testo da interpretare è assunto ad oggetto di una ricerca che si sviluppa progressivamente allo stesso modo di quella delle scienze naturali, nell’illusione di raggiungere un’oggettività simile a quella propria (o, meglio, che a torto si ritiene propria) {p. 71}di tali scienze [51]
. Invece la comprensione non si sviluppa secondo una progressione lineare: il circolo ermeneutico, in cui è inserito lo stesso soggetto interpretante e che è «permanentemente determinato dal movimento anticipante della precomprensione», imprime al processo interpretativo la struttura dialogica della domanda e della risposta [52]
. Punto di partenza dell’interpretazione non è il testo (analogamente alle scienze della natura, la cui ricerca muove dalla «cosa in sé»), bensì un fatto della vita o una situazione problematici, sui quali il testo, che ha qualcosa da dire in proposito, viene interrogato. La comprensione si compie solo se l’interprete riesce a capire la domanda alla quale il testo risponde, e quindi a formularla adeguatamente antivedendo la risposta.
Il problema metodologico è allora quello di acquisire tecniche adeguate di controllo razionale della precomprensione in base alla quale l’interprete procede a interpellare il testo, in guisa da garantirne l’apertura costante al dialogo col testo e impedire che i pregiudizi, le abitudini mentali, le categorie dogmatiche dell’interprete, la sua partecipazione acritica alla tradizione convertano il dialogo in un monologo. Gadamer si astiene da specifiche proposte di metodo, ma sul piano epistemologico indica due condizioni fondamentali per ovviare al pericolo che la precomprensione diventi fonte di fraintendimento o strumento di manipolazione arbitraria del pensiero del testo. La prima condizione è una «coscienza ermeneutica educata», cioè «preliminarmente sensibile all’alterità del {p. 72}testo», che rende l’interprete pronto a lasciar parlare il testo, a «mettersi in ascolto dell’opinione del testo» [53]
. La seconda condizione, implicita nella prima, è «una precisa presa di coscienza delle proprie presupposizioni e dei propri pregiudizi» per assoggettarli al controllo della riflessione critica. L’interprete deve essere costantemente disposto a mettere alla prova la sua precomprensione, a confrontarla criticamente, in relazione al fatto o al problema in questione, con la parola del testo e a introdurre nelle proprie aspettative di senso tutte le correzioni richieste dall’esegesi del testo [54]
. Solo accedendo alla dimensione propriamente critica dell’esegesi la comprensione diventa ermeneutica [55]
.
In questi termini il significato del testo viene afferrato attraverso un processo di adeguamento della precomprensione al contenuto dell’oggetto da interpretare, che insieme promuove la rispondenza del senso interpretato alla situazione concreta nella quale il testo si inserisce. Questo accordo tra soggetto e oggetto sulla res proposita, che progressivamente si compie nel processo della comprensione, è descritto da Gadamer col concetto di «fusione degli orizzonti interpretativi» [56]
. E solo nei detti {p. 73}termini, ormai lontani dalle categorie del soggetto e dell’oggetto proprie delle scienze naturali, può realizzarsi la pretesa di oggettività della comprensione, espressa dal brocardo «sensus non est inferendus, sed efferendus».

5. Il passaggio, in Gadamer, dall’ontologia della comprensione all’epistemologia dell’interpretazione. Le ragioni della critica di Betti.

I canoni ermeneutici fondamentali, riproposti da Betti nel solco dell’eredità romantica [57]
, sono ancora avvolti nell’«aporia diltheyana, di una teoria cioè della comprensione destinata, di volta in volta, ad opporsi alla spiegazione naturalistica e insieme a rivaleggiare con essa in oggettività e scientificità» [58]
. Se la parola interpretante è la parola dell’interprete, come riconosce il canone dell’«attualità dell’intendere», e non il linguaggio e il lessico del testo stesso, la comprensione non può ridursi, come vorrebbe il canone primario dell’«autonomia ermeneutica dell’oggetto», a una pura riproduzione del testo, a una sorta di ricostruzione che in certo modo ripete la genesi del testo e porta l’interprete a «penetrare e trasferirsi nello spirito che gli parla» [59]
. Questo canone, di derivazione storicistica, «segue l’ideale conoscitivo proprio della scienza della natura, secondo il quale comprendiamo davvero un dato processo solo quando siamo in grado di riprodurlo artificialmente» [60]
.
L’aporia è superata da Gadamer sulla base del «principio della Wirkungsgeschichte», che rappresenta il momento culminante della sua meditazione e significa «principio dell’efficacia conseguenziale dell’accadimento storico nella storia» [61]
. Ogni fatto storico, per esempio un discorso fissato in un documento, acquista un’efficacia ulteriore in quanto si inserisce in una concatenazione
{p. 74}di determinazioni storiche, le quali conservano il passato nella forma della tradizione (non tutto il passato, perché la tradizione è selettiva) e in pari tempo si proiettano nel futuro predisponendo le condizioni per accadimenti successivi [62]
. L’interprete dotato di coscienza storica fondata sull’esperienza della Wirkungsgeschichte [63]
sa che la lontananza temporale dall’epoca del testo non è una distanziazione alienante, ma è una distanza riempita dalla continuità di una tradizione comune, che definisce la situazione ermeneutica iniziale e della quale è parte integrante «la catena delle interpretazioni passate, attraverso cui la precomprensione è obiettivamente mediata con il suo oggetto» [64]
. Perciò egli deve non già rifiutare la distanza temporale, nell’illusione di potersi rendere «contemporaneo» al lettore originario (secondo la direttiva psicologizzante e storicizzante dell’ermeneutica romantica), ma al contrario appropriarsene [65]
«riconoscendo in essa una positiva e produttiva possibilità del comprendere» [66]
. In questa prospettiva il passaggio dall’ontologia della comprensione all’epistemologia dell’interpretazione è compiuto da Gadamer fondando l’oggettività scientifica di quest’ultima sulla funzione di riflessione critica nei confronti della tradizione, che agisce nel processo interpretativo attraverso le strutture della precomprensione. Interpretare e riflettere diventano un solo e medesimo atto [67]
.
Note
[42] Ricoeur, op. ult. cit., p. 41, con riferimento a un noto passo di Heidegger, Sein und Zeit, § 32 (trad. it. cit., p. 166): «Das Entscheidende ist nicht, aus dem Zirkel heraus, sondem in ihn nach der rechten Weise hineinzukommen».
[43] W.u.M., p. 251 (trad. it. cit., p. 313).
[44] W.u.M., p. 254 (trad. it. cit., p. 317).
[45] Prefazione all’edizione italiana, p. XLIII.
[46] Così Ripariti, Il problema ermeneutico in H. G. Gadamer, in «Riv. fil. neo-scolastica», 1977, p. 495.
[47] Cfr. luoghi citati supra, nota 31.
[48] Gadamer, Rhetorik, Hermeneutik und Ideologiekritik, in Hermeneutik und Ideologiekritik, a cura di Habermas e altri, Frankfurt a.M., 1971, p. 79.
[49] Ricoeur, op. ult. cit., p. 47.
[50] Cfr. Wach, Verstehen, cit., vol. I, p. 178.
[51] W.u.M., p. 283 (trad. it. cit., p. 350). Anche qui la critica di Betti, L’ermeneutica storica, cit., pp. 6, 16, non coglie il carattere relativo della polemica di Bultmann e di Gadamer contro l’ideale di oggettività dell’ermeneutica classica, da essi considerato un’«illusione» o un «fantasma». Questi autori non «negano la possibilità di attingere una conoscenza oggettiva per via di interpretazione», come teme Betti, ma contestano che all’ermeneutica possa essere assegnato il compito «di armonizzarsi con l’ideale di obiettività delle scienze della natura» (Gadamer, W.u.M., p. 277; trad. it. cit., p. 342). Assumere questo compito, a giudizio di Gadamer, implica il costo della rinuncia «a far valere nella teoria ermeneutica la concretezza della coscienza storica».
[52] Gadamer, W.u.M., pp. 283, 344 ss., 351 ss. (trad it. cit., pp. 349, 418 ss., 427 ss.).
[53] Cfr. già Bultmann, Das Problem der Hermeneutik, cit., p. 228: «Non si tratta di eliminare la precomprensione, ma piuttosto di renderla cosdente, di sottoporla a esame critico nel processo di interpretazione del testo, di metterla in gioco; in breve si tratta di questo: nell’interrogazione del testo lasciare che il testo interroghi noi stessi, ascoltare la sua pretesa di verità». Che poi B. sia rimasto fedele a questa regola, si sia accostato ai testi della rivelazione cristiana disposto a mettere in gioco la sua precomprensione razionalistica e ad accettare la possibilità di un intervento soprannaturale nel mondo e nella storia, è un altro discorso.
[54] Gadamer, W.u.M., pp. 253 s. (trad. it. cit., pp. 316). Cfr. De Ruggiero, op. cit., pp. 59 ss.
[55] Così Ricoeur, Herméneutique des symboles, in Il problema della demitizzazione (Arch. di filosofia diretto da Castelli), Padova, 1961, p. 60.
[56] W.u.M., pp. 289 s., 359, 375 (trad. it. cit., pp. 356 s., 436, 456). Anche contro questo concetto, «veramente fecondo» secondo Ricoeur, Ermeneutica filosofica, cit., p. 51, la critica di Betti, L’ermeneutica storica, cit., p. 17 s., è molto severa, sempre in nome dell’ «ideale della oggettività vagheggiato dalla corrente romantica». Eppure qualcosa di simile si trova già nella dottrina di Humboldt: cfr. Wach, Verstehen, cit., vol. I, p. 260.
[57] Teoria generale, cit., vol. I, pp. 305 ss.; Interpretazione della legge1, cit., pp. 14 ss.
[58] Ricoeur, op. ult. cit., p. 43.
[59] Cfr. Betti, Interpretazione della legge2, cit., p. 24.
[60] Cfr. Gadamer, W.u.M., pp. 355, 448 (trad. it. cit., pp. 430, 540).
[61] W.u.M., pp. 284 ss. (trad. it. cit., pp. 350 ss.).
[62] Cfr. Coreth, Grundfragen, cit., p. 141.
[63] Il «wirkungsgeschichtliches Bewusstsein» (alla lettera: coscienza della storia degli effetti) ha la struttura dell’esperienza: Gadamer, W.u.M., p. 329 (trad. it. cit., p. 401).
[64] Habermas, Logica delle scienze sociali, Bologna, 1970, p. 234 (citato da Vattimo, Introduzione, cit., p. XXI).
[65] Su questo concetto di «appropriazione», che sottolinea il carattere «attuale» dell’interpretazione, cfr. Ricoeur, Qu’est-ce qu’un texte?, in Hermeneutik und Dialetkik (Festscbrift f. Gadamer), vol. II, Tübingen, 1970, p. 195.
[66] Gadamer, W.u.M., p. 281 (trad. it. cit., p. 347).
[67] Cfr. Gadamer, Replik, in Hermeneutik und Ideologiekritik, cit., p. 296: «le scienze ermeneutiche si difendono mediante la riflessione ermeneutica contro la tesi che il loro procedimento non sarebbe scientifico, in quanto negherebbe l’obiettività della scienza». Cfr. pure Ricoeur, Della interpretazione. Saggio su Freud, Milano, 1966, pp. 53 ss.