Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c10
Tale principio è sorto originariamente nei rapporti tra legge e autonomia individuale come criterio di tutela del contraente debole. Certo non è solo questa la funzione della norma di legge inderogabile nel diritto del lavoro. Vi è un settore della disciplina legale in cui l’inderogabilità ha la funzione di vincolare l’autonomia privata al rispetto di certi valori e di certi modelli strettamente legati a esigenze di dignità, di libertà, di sicurezza della persona umana. Quando sono in gioco interessi di questo tipo mai il legislatore potrà rinunciare all’inderogabilità delle proprie norme, neppure nei confronti dell’autonomia collettiva. Quando, invece, la norma inderogabile mira soltanto ad assicurare un certo equilibrio di potere contrattuale fra
¶{p. 302}datore e prestatore di lavoro, allora l’inderogabilità non appare più giustificata sul piano del rapporto collettivo, dove la debolezza dei singoli lavoratori è rimossa mediante la coalizione. Mantenere l’inflessibilità della norma anche nei confronti dell’autonomia sindacale – si aggiunge – implica una violazione del principio di neutralità dello Stato di fronte al conflitto collettivo
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In questi termini la critica non è persuasiva. L’esperienza insegna che non sempre la libertà di coalizione è uno strumento sufficiente di equilibrio della bilancia del potere nella contrattazione tra imprenditori e organizzazioni dei lavoratori. In un sistema di relazioni industriali improntato al principio di non intervento dello Stato nel conflitto sociale, l’estensione del criterio del favor ai rapporti tra legge e contratto collettivo non viola quel principio, ma anzi ne integra un correlato necessario, posto che lo Stato può osservare un atteggiamento di neutralità solo dopo essersi garantito che gli esiti del conflitto non potranno in nessun caso modificare in sfavore dei lavoratori gli equilibri già consolidati dalla legge.
La critica diventa più puntuale in una situazione come quella sopravvenuta in Italia al principio degli anni Settanta, in cui lo Stato ha abbandonato la regola di neutralità ed è intervenuto nel conflitto collettivo con una energica legislazione di sostegno dei sindacati dei lavoratori, determinando una crescita non solo del loro potere di mercato, ma anche del loro potere di partecipazione ai processi di formazione della volontà politica generale. Nella nuova situazione l’inderogabilità della disciplina legale anche in sede di contrattazione collettiva presenta due aspetti negativi: da un lato, dilata fino al livello dello stesso sistema delle fonti di regolamento dei rapporti di lavoro il fenomeno di moltiplicazione o sovrapposizione di garanzie per i lavoratori, che è già stato denunciato sotto altri profili come conseguenza dell’innesto non coordinato delle nuove norme dello statuto dei lavoratori ¶{p. 303}e della legge sul processo del lavoro nella precedente normativa ispirata alla filosofia dello Stato liberale; dall’altro lato, nei confronti di un sindacato forte la norma inderogabile può operare, anziché come mezzo di sostegno, come ostacolo al perseguimento di obiettivi giudicati prioritari, alla stregua di nuove condizioni economiche, rispetto alla conservazione intransigente di garanzie legali introdotte nella vigenza di condizioni economiche diverse, nelle quali le politiche sindacali di rigidità del fattore lavoro erano compensante dalla larga disponibilità a bassi costi di materie prime e di energie.
6. Attenuazioni nella legislazione recente.
In senso coerente con l’esigenza di nuovi assetti dei rapporti tra legge e autonomia collettiva qualcosa si è mosso nella legislazione recente, dove si è delineata una tendenza a utilizzare la contrattazione sindacale come strumento di attenuazione della rigidità di certe norme garantistiche allo scopo di favorire una maggiore flessibilità del fattore lavoro oppure come referente più opportuno per una definizione articolata, a seconda dei vari aspetti del trattamento del lavoratore, di certi elementi del rapporto di lavoro, soprattutto della retribuzione, la quale nella disciplina legale tende a irrigidirsi in una nozione unitaria e onnicomprensiva. In nessuno di questi casi l’inderogabilità della legge viene limitata alla stregua del paradigma già noto della norma «relativamente inderogabile», cioè imperativa nei confronti dell’autonomia privata individuale, e invece pienamente disponibile dall’autonomia collettiva. Si tratta di figure inedite, che valorizzano l’autonomia sindacale secondo una gamma di funzioni di intensità crescente.
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In una prima figura è attribuito a un’autorità amministrativa il potere di autorizzare deroghe a una norma inderogabile, sentito il parere delle associazioni sindacali più rappresentative. È il caso della legge 3 febbraio 1978, n. 18, prorogata senza più limiti fissi di tempo dalla legge 26 novembre 1979, n. 598, la quale allenta le restrizioni della legge sul contratto a termine nel settore del commercio e del turismo. In questo caso la negoziazione collet¶{p. 304}tiva, attraverso la quale le associazioni sindacali formulano il parere (non vincolante) che ad esse deve essere richiesto dall’ispettorato del lavoro, ha soltanto una funzione di controllo sociale integrativo del controllo pubblico cui è subordinata la possibilità di deroga alla normativa cogente sul termine nei contratti di lavoro.
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In una seconda figura la derogabilità della norma cogente è ancora l’effetto di un provvedimento amministrativo, ma subordinatamente alla condizione che i negozi individuali in favore dei quali la deroga è concessa siano stipulati in attuazione di un piano predisposto da un accordo collettivo. Di questo tipo sono le norme contenute nell’art. 1 della legge 26 maggio 1978, n. 215 e negli artt. 3 e 4 bis della legge 9 febbraio 1979, n. 36, dirette a favorire la mobilità dei lavoratori in soprannumero dipendenti da aziende in crisi, anche mediante deroghe rispettivamente all’art. 2112, comma 1°, c.c. e alle leggi sul collocamento della mano d’opera. Qui la derogabilità dipende dall’autonomia collettiva, anche se formalmente è mediata dal provvedimento di un organo pubblico.
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Nella terza figura è attribuito direttamente all’autonomia collettiva un potere limitato di deroga, senza la mediazione del controllo pubblico. A differenza dello schema tradizionale della norma relativamente inderogabile, la derogabilità da parte della contrattazione collettiva non è piena, ma o circoscritta a un oggetto specifico o subordinata a certe condizioni.
Questa figura ricorre nella legge 9 dicembre 1977, n. 903, sulla parità fra uomo e donna in materia di lavoro, e precisamente nell’art. 1, comma 4°, che autorizza la contrattazione collettiva a ripristinare il divieto di impiego delle donne in lavori particolarmente pesanti, in deroga al divieto di discriminazione sancito dal 1° comma, e poi nell’art. 5, comma 2°, che autorizza la contrattazione collettiva, anche aziendale, a disciplinare diversamente o a rimuovere il divieto legale di lavoro notturno per le donne, in relazione a particolari esigenze della produzione e tenendo conto delle condizioni ambientali del lavoro e dell’organizzazione dei servizi.¶{p. 305}
Poiché ai contratti collettivi che dispongono nei termini indicati è chiaramente attribuita efficacia generale, si pone anzitutto, come è già stato rilevato dai commentatori della legge, un problema di legittimità costituzionale delle norme citate di fronte all’art. 39, ult. comma. Mentre nell’ipotesi di contratti aziendali l’efficacia erga omnes può essere giustificata con gli argomenti già elaborati a proposito dell’analoga questione insorta per gli artt. 4 e 6 della legge n. 300 del 1970, più difficile appare la giustificazione nell’ipotesi di contratti collettivi a livello di categoria. Per superare l’ostacolo si potrebbe sostenere che la contrattazione collettiva non è utilizzata da queste norme come fonte regolativa di natura negoziale, ma piuttosto come elemento di integrazione di una fattispecie alternativa della norma legale, alla quale sarebbe ricollegata la concessione di un potere di deroga alle parti del contratto individuale di lavoro. Ma ima tesi siffatta non si adatterebbe all’ipotesi dell’art. 1, comma 4°, nella quale, per i lavori particolarmente pesanti individuati dalla contrattazione collettiva, il datore di lavoro non solo può in deroga al principio di parità, ma deve impiegare soltanto uomini. E che la fonte del divieto di impiego di mano d’opera femminile sia il contratto collettivo, in quanto autorizzato a derogare alla legge, è indirettamente confermato dall’art. 16, il quale non prevede sanzione penale per l’inosservanza del divieto. Ad ogni modo non v’è artificio dogmatico che valga a nascondere la realtà, di proporzioni sempre maggiori, emergente da queste norme, come pure dalla legge sull’occupazione giovanile (art. 9)
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. Il legislatore non solo non è minimamente intenzionato a dare attuazione all’art. 39, ma tende ormai ad obliterarlo, riconoscendo ai contratti collettivi attuali funzioni di produzione normativa con efficacia generale, le quali, dal punto di vista del sistema formale delle fonti disciplinato dalla Costituzione, possono definirsi extra ordinem.¶{p. 306}
In secondo luogo e più in generale, le leggi richiamate, e così pure la legge sull’occupazione giovanile (là dove affida ad accordi tra le organizzazioni sindacali oppure ad accordi multilaterali tra le organizzazioni sindacali e le Regioni il compito di predisporre il contenuto di regolamenti amministrativi in materia di contratti di formazione e lavoro o di rapporti di stage professionale, segnalano una tendenza evolutiva del sistema politico sotto il profilo delle relazioni tra le grandi organizzazioni sociali di interessi e lo Stato. Esse delineano specifici settori di rapporti di lavoro nei quali, anziché il conflitto, è istituzionalizzata una cooperazione delle grandi organizzazioni sindacali con i pubblici poteri nella gestione di politiche dell’occupazione, e quindi nella determinazione delle scelte di politica economica.
Oggi si può solo sperare che sia questo il modello verso cui è incamminato il nostro futuro. Ma è certo che il modello del pluralismo conflittuale, dopo l’ascesa impetuosa degli anni Settanta, è ormai entrato nella fase del declino.