Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c4
Montaigne è un conservatore, ma è anche un liberale, e i due aspetti sono in lui strettamente complementari
[72]
, soprattutto negli ultimi saggi. Se all’inizio lo scetticismo gli suggerisce il timore che il cambiamento anche di una sola legge, quale che sia, possa scuotere l’intero edificio
[73]
, alla fine della sua meditazione si delinea un atteggiamento più fiducioso nella possibilità dell’intelligenza e della volontà umana di migliorare la società con interventi giuridico-istituzionali. Rimane «ennemy des remuemens et nouvelletez»
[74]
, dei grandi mutamenti che «esbranlent
¶{p. 118}l’estât et le desordonnent», ma riconosce la necessità di opporsi ai processi di corruzione del sistema e di mutarne quelle parti dove si manifesta l’ingiuria delle leggi ingiuste
[75]
. Che tale atteggiamento non sia rimasto confinato in un vago intellettualismo, è dimostrato dalla lettera-rimostranza da lui inviata, in veste di sindaco di Bordeaux, a Enrico III il 31 agosto 1583, e firmata anche dai «jurats gouverneurs» della città
[76]
. Con le opportune cautele perché la lettera sia ricevuta «en bonne part», i rimostranti invocano l’abolizione dei privilegi di esenzione fiscale delle classi ricche e l’applicazione del principio, «conforme alla ragione», della distribuzione proporzionale fra tutti i cittadini del carico fiscale, giudicando che «toutes impositions doibvent estre faites esgalement sur toutes personnes, le fort portant le foible, et qu’il soit très raizonnable que ceulx qui ont les moiens plus grands, se ressentent de la charge plus que ceulx qui ne vivent qu’avec hazard et de la sueur de leur corps».
Il programma illuministico di un progresso costante e generale della società, dell’affrancazione in tutti i campi dal «violento pregiudizio della consuetudine», che talvolta, con l’aiuto del tempo, ci svela «un volto insano e tirannico»
[77]
, è ancora lontano. Ma Montaigne intuisce le aspirazioni dei tempi avvenire, e in prospettiva è aperto a tutte le riforme, purché compiute nell’ordine: inteso non come valore finale, ma come valore strumentale, come condizione indispensabile per la realizzazione, nel progresso, della dignità umana e della libertà. In termini di pensiero politico operativo, forse al di là ma non contro le sue intenzioni, il paradosso «tout ce qui branle ne tombe pas... rien ne tombe là où tout tombe»
[78]
, può essere letto, ancora sulla traccia di Valéry
[79]
, nel senso ¶{p. 119}che ogni parte del sistema può essere criticata, tutto può essere cambiato, «alla condizione che l’insieme sussista, e che esso protegga, sorregga, metta al riparo la critica, e fornisca quel tanto di sicurezza, di agio e di conoscenze che occorre per criticare». Se va in rovina l’insieme, allora «le changement donne seul forme à l’injustice et à la tyrannie»
[80]
.
Il concetto di ordine come regola del gioco nel conflitto sociale, come elemento formale di un’evoluzione costante ed efficiente, è la lezione politica più valida che Montaigne trasmette al nostro tempo, in cui l’idea moderna di rivoluzione, nata un secolo dopo di lui, ha finito di recitare la sua parte.
Note
[72] Cfr. Brown, Religious and political Conservatism in the Essais of Montaigne, Genève, 1963, p. 96.
[73] I, 23/148.
[74] I, 28/232. Nel linguaggio degli Essais la parola «nouvelletez» non indica qualsiasi innovazione nell’ordine esistente, ma si riferisce ai mutamenti radicali, che toccano le fondamenta dello stato, imposti da pressioni esterne (come ad es., nell’esperienza di Montaigne, la riforma protestante). Non si tratta nemmeno del concetto politico moderno di rivoluzione, che appare solo nel 1688 con la rivoluzione inglese. Cfr. Brown, op. cit., p. 16, nota 2.
[75] III, 9/1072.
[76] Riprodotta in appendice a Brown, op. cit., pp. 97 ss.
[77] I, 23/146, 135 s.
[78] III, 9/1075 s.
[80] III, 9/1071.