Note
  1. Rechtswirklichkeit und Justizkritik bei Montaigne, in Festschrift f. Hippel, Tübingen, 1967, pp. 631-663.
  2. È pure accaduto che l’autore degli Essais (1533-1592) sia stato confuso col giurista Jean Montaigne († 1538), allievo di Alciato, col quale intrattenne una corrispondenza Bonifacio Amerbach. Cfr. l’indice dei nomi in calce al libro, del resto pregevole, di Gilmore, Humanists and Jurists, Cambridge, Mass., 1963.
  3. Essais, liv. III, chap. 10, ed. Pleiade, Paris, 1961, p. 1126. Da qui in avanti le citazioni dei «Saggi» avranno la seguente forma abbreviata, esemplificata sul passo ora citato: III, 10/1126.
  4. Cons, Montaigne et Videe de Justice, in Mélanges offerts à P. Laumonier, Paris, 1935, p. 350; cfr. pure Hubrecht, Montaigne, juriste,nel volume di conferenze per il IVe Centenaire de la naissance de Montaigne, Bordeaux, 1933, pp. 239-297. Eccettuato un passo (citato infra, nota 32), in genere Montaigne «ha l’aria di non ricordarsi di quel mestiere se non per distinguersene» (Cons, op. cit., p. 348). Cfr. spec. I, 23/147, dove deplora il potere crescente del «quarto stato», formato da «gens manians les procés» (la noblesse de robe, dalla quale egli stesso proveniva). Della tendenza del nostro uomo ad atteggiarsi come se appartenesse alla nobiltà di sangue i suoi nemici di Port-Royal si sono fatti beffe in modo fin eccessivo. V. i chiarimenti storici di Friedrich, Montaigne, Bern, 1949, pp. 19 ss.
  5. Cfr. Auerbach, Mimesis, Torino, 1956, vol. II, p. 43; e v. III, 1/889: «Aussi ne sont aucunement de mon gibier les occupations publiques».
  6. III, 10/1125, 1134, 1146. Cfr. pure III, 9/1065.
  7. III, 2/900.
  8. Cfr. Wolf, op. cit., p. 633.
  9. III, 13/1201.
  10. II, 37/857.
  11. Egli stesso si definisce un «naturista» (III, 12/1186), ma il suo metodo sperimentale si esaurisce nella constatazione dell’esperienza (Wolf, op. cit., p. 644) e dell’individualità del concreto. Il metodo delle scienze moderne tende a superare il concreto, a esprimere i dati dell’esperienza in forme o schemi ideali, razionalmente elaborati in via induttiva come strumenti di conoscenza forniti di validità universale. Per Montaigne, invece, «la conséquence que nous voulons tirer de la rassemblance des événemens est mal seure (III, 13/1195) [...] Leur plus universelle qualité, c’est la diversité» (II, 37/881).
  12. II, 17/736.
  13. II, 10/447.
  14. III, 9/1063 («Je ne suis pas philosophe»).
  15. II, 12/612.
  16. I, 26/177. Il suo amore per il fattuale si raffredda decisamente quando si tratta di leggere un contratto: «que ne feroy je plustost que de lire un contract» (III, 9/1067). Sul linguaggio «oscuro e inintelligibile» dei contratti e dei testamenti, elaborato dai «princes de cet art, s’applicans d’une péculière attention à trier des mots solemnes et former des dauses artistes», cfr. III, 13/1196 s. Sui testamenti v. pure I, 7/51 e spec. II, 8/437 s.
  17. II, 12/656.
  18. III, 13/1196.
  19. Cfr. II, 10/454.
  20. Wolf, op. cit., p. 632. L’«opposizione capitale di Montaigne e della sua epoca» (Brunschwicg, Descartes et Pascal lecteurs de Montaigne,New York-Paris, 1944, p. 47) è un carattere centrale degli Essais.
  21. Cfr. I, 26/177.
  22. I, 24/157.
  23. III, 9/1079.
  24. I, 26/184: «... s’il embrasse les opinions de Xenophon et de Platon par son propre discours, ce ne seront plus les leurs, ce seront les siennes». In un piano di ricerca autonomo «les paroles redictes ont, corame autre son, autre sens» (III, 12/1193).
  25. II, 12/653, con allusione ai «prima principia legis naturae» dell’insegnamento tomistico.
  26. Brimo, Pascal et le droit, Paris, 1942, p. 99.
  27. Anche Pascal, che pure amava Montaigne più di quanto non osasse confessare a se stesso (secondo il giudizio di Saint-Beuve), si è costruito in lui un antagonista in parte fittizio. Cfr. Goldmann, Le dieu cache, Paris, 1955, pp. 29, 250. Wolf, op. cit., p. 636, ritiene eccessiva l’accusa di indifferenza religiosa. ma su questo punto si discuterà all’infinito. Certamente eccessivo è il ritratto di Montaigne come unicamente e rigorosamente scettico (più accentuato, però, nel «Colloquio con M. de Sari», la cui redazione scritta non appartiene a Pascal, che nei «Pensieri»). Sui limiti del suo scetticismo v. pure Dilthey, L’analisi dell’uomo e l’intuizione della natura dal Rinascimento al secolo XVIII,vol. I, Venezia, 1927, p. 48.
  28. Il termine «rapsodia», con cui Montaigne definisce i suoi Essais (I, 13/68, e I, 56/353 nell’edizione postuma del 1595), ai suoi tempi, e ancora in Kant, esprimeva l’antitesi del concetto di sistema. Cfr. Friedrich, op. cit., pp. 32 ss.
  29. Cfr. III, 2/900. In un altro luogo questa apertura si manifesta con un’immagine pittoresca, ma troppo maliziosa sulla bocca di un cristiano: «In verità, non temo di confessare che al bisogno non avrei difficoltà a portare una candela a San Michele e l’altra al suo serpente» (III, 1/886). «Ecco qui uno che sicuramente piacerà più al serpente che a San Michele», insinua Gide, Montaigne, Milano, 1950, p. 31.
  30. Wolf, op. cit., pp. 653, 662 s.
  31. II, 12/652: «... nostre devoir n’a autre règle que fortuite»; III, 9/1070: «La nécessité compose les hommes et les assemble. Cette cousture fortuite se forme après en loix»; III, 13/1203: «Elles (les loix) sont souvent faictes par des sots ..., tousjours par des hommes, autheurs vains et irrésolus». L’evoluzione, su questo punto, del pensiero di Montesquieu è rilevata da Meinecke, Le origini dello storicismo, Firenze, 1967, pp. 97, nota 1, 101 ss.
  32. II, 12/657 (e p. pure I, 43 i. f./308). A questo passo va ricollegato un altro passo (I, 23/145), in cui Montaigne, per una sola volta nel suo libro, evoca un ricordo personale della sua attività di giudice. Racconta che, dovendo applicare a un caso una certa coutume e non volendo confermarla semplicemente in base alla sua autorità di legge e ai precedenti pratici (exemples), cercò di comprenderne meglio il significato con un’investigazione storica «jusques à son origine». Ma trovò un fondamento razionale cosi debole, che ne fu disgustato.
  33. Cfr. II, 12/663: «Les sens sont le commencement et la fin de l’humaine cognoissance». In generale, la sfiducia di Montaigne nel metodo storico-causale è espressa nel celebre passo in III, 11/1151: «Je vois ordinairement que les hommes, aux faicts qu’on leur propose, s’amusent plus volontiers à en cercher la raison, qu’à en cercher la vérité: ils laissent là les choses, et s’amusent à traiter les causes. Plaisans causeurs».
  34. Journaux intimes, in Oeuvres, Pléaide, Paris, 1957, p. 275.
  35. II, 12/657. Per l’interpretazione del termine «possession» come denotativo della forza sociale (potere formale) che di fatto pone la legge, v. pure Wolf, op. cit., p. 652. Altrove l’idea che l’effettività della legge dipende da un rapporto di interazione col costume è espressa con l’endiadi «loix et coustumes», «l’usage et les loix» (cfr. II, 12/562, 570, 628; III, 12/1202: «les coustumes et loix forment la justice»).
  36. Cfr. Strauss, Diritto naturale e storia, Venezia, 1957, p. 94, nota 3, ma senza riferimento a Montaigne.
  37. III, 10/1132.
  38. I, 23/144.
  39. III, 9/1082.
  40. I, 23/146 s.
  41. Cfr. Piano Mortari, Diritto romano e diritto nazionale in Francia nel secolo XVI, Milano, 1962, pp. 79 ss. Montaigne non è soltanto antibartolista, ma condivide l’antiromanesimo del cancelliere de L’Hospital, che deplorava la recezione delle leggi romane (Piano Mortari, op. cit., p. 98). Nel luogo citato alla nota precedente egli svolge il motivo dell’estraneità di queste leggi, scritte in una lingua incomprensibile dal popolo, alle tradizioni e alle consuetudini francesi. Sempre pronto a prendere per buone le leggende narrate dagli annalisti, conclude la sua invettiva raccontando con fierezza di un gentiluomo guascone, suo compaesano, «qui le premier s’opposa à Charlemaigne (!), nous voulant donner les loix Latines et Imperiales».
  42. III, 13/1195 s.
  43. III, 13/1223.
  44. In questo senso, diverso dalle intenzioni con cui la medesima immagine è usata da Michel de L’Hospital (cfr. Piano Mortari, op. cit.,p. 101), Montaigne soggiunge: «A chaque pied son soulier».
  45. Cfr. II, 12/567.
  46. Brunschvicg, op. cit., p. 30; e v. III, 12/1186: «Nous autres naturalistes (in opposizione agli scolastici) estimons qu’il y aie grande et incomparable préférence de l’honneur de l’invention...». Tra i vari significati attribuiti da Montaigne alla parola «essais» vi è anche quello di «prove del suo giudizio» (cfr. I, 50/338).
  47. Per questa espressione v. ancora II, 12/567.
  48. III, 13/1198. Sotto il termine «Glossa» Montaigne (come, dopo di lui, Grazio e Vico) comprende non solo Accursio e i suoi seguaci, ma anche i postglossatori, cioè Bartolo e i bartolisti (commentatori e consigliatori), i quali in verità – secondo il giudizio del Vico, De nostri temporis studiorum ratione, XI, in Opere, vol. I, a cura di Gentile e Nicolini, Bari, 1914, p. 110 – furono «solertissimi aequitatis indagatores».
  49. II, 12/568.
  50. Impersonato dal giudice che segnava a margine dei suoi libri le quaestiones pro amico (II, 12/656; si ricordi che uno dei maggiori esponenti cinquecenteschi della dottrina del «punto dell’amico», Andrea Tiraqueau, giurista coutumier, ma ammiratore del diritto romano e di orientamento bartolista, fu magistrato al Parlamento di Bordeaux non molti anni prima della nomina di Montaigne); o, più ferocemente, da quel «conseillier de ma connaissance», di taglio rabelaisiano, descritto in III, 10/1148.
  51. Viehweg, Topica e giurisprudenza, Milano, 1962.
  52. II, 12/60.5
  53. III, 1/896 s.
  54. De jure belli ac pacis, lib. II, cap. XI, § 7, n. 2.
  55. Cfr. Engisch, Sinn und Tragweite juristischer Systematik, in «Studium generale», 1957, p. 176.
  56. III, 1/898: «... l’interest commun ne doit pas tout requérir de tous contre l’interest privé».
  57. Variété IV, Paris, 1938, p. 45 (in Oeuvres, vol. I, Pléiade, Paris, 1957, p. 740).
  58. Oltre al celebre passo in II, 12/679 s., cfr. ad es. III, 8/1033 («Nous autres, qui privons nostre jugement du droit de faire des arrests...») ; III, 8/1039 («Nous sommes nais à quester la vérité; il appartient de la posséder à une plus grande puissance»).
  59. Friedrich, op. cit., pp. 241 ss.; e v. Wolf, op. cit., pp. 649 s., 657 s.
  60. XVIIe Provinciale (in Oeuvres complètes, Pléiade, Paris, 1960, p. 868).
  61. Pensées, n. 313 dell’ed. Pléiade cit. (n. 338 dell’ed. Brunschvicg).
  62. II, 3/389.
  63. III, 1/890; II, 12/554.
  64. II, 21/760. V. pure III, 12/1202 («... il est forcé de faire tort en détail qui veut faire droict en gros»).
  65. III, 9/1072.
  66. II, 12/652.
  67. II, 19/753.
  68. I, 23/149.
  69. Leder, Histoire de la tolérance au siede de la réforme, vol. II, Paris, 1955, p. 152.
  70. III, 1/886.
  71. I, 3/35. Cfr. Wolf, op. cit., p. 659, e, da un punto di vista storico-politico, il rilievo di Battista, Alle origini del pensiero politico libertino. Montaigne e Charron, Milano, 1966, p. 30, nota 36.
  72. Cfr. Brown, Religious and political Conservatism in the Essais of Montaigne, Genève, 1963, p. 96.
  73. I, 23/148.
  74. I, 28/232. Nel linguaggio degli Essais la parola «nouvelletez» non indica qualsiasi innovazione nell’ordine esistente, ma si riferisce ai mutamenti radicali, che toccano le fondamenta dello stato, imposti da pressioni esterne (come ad es., nell’esperienza di Montaigne, la riforma protestante). Non si tratta nemmeno del concetto politico moderno di rivoluzione, che appare solo nel 1688 con la rivoluzione inglese. Cfr. Brown, op. cit., p. 16, nota 2.
  75. III, 9/1072.
  76. Riprodotta in appendice a Brown, op. cit., pp. 97 ss.
  77. I, 23/146, 135 s.
  78. III, 9/1075 s.
  79. Variété IV, cit., p. 39 (Oeuvres, vol. I, cit., p. 736).
  80. III, 9/1071.