Diritto e valori
DOI: 10.1401/9788815413499/c4
Certo la rilettura dei «Saggi» con l’occhio dello specialista, proposta da Wolf, non è immune da pericoli. Montaigne non può essere smembrato, e una rilettura parziale, intrapresa con gli strumenti di classificazione propri del pensiero scientifico, al fine di incasellare nella filosofia o nella scienza del diritto le riflessioni sul fenomeno giuridico sparse in un libro che è «tousjours un»
[23]
, rischia di reciderne il legame vitale con l’«étre universel» dell’autore, nel quale il momento giuridico si riflette come puro fatto esistenziale, come testimonianza dell’umana condizione. Senza questo legame, i pensieri di Montaigne sul diritto perdono la loro originalità. In gran parte, soprattutto là dove sferrano un attacco frontale contro il diritto naturale, essi sono stati tramandati alla nostra cultura con la mediazione di Pascal e nello splendore dello stile di Pascal. Ma nel grande apologista della religione cristiana quelle riflessioni assumono significato e finalità affatto diversi, perché diverso è il piano di ricerca in cui si inseriscono. Come direbbe lo stesso autore degli Essais, non sono più pensieri di Montaigne, sono pensieri, appunto, di Pascal
[24]
. La constatazione empirica dell’incapacità della ragione umana di riconoscere principi immutabili di diritto naturale, nemmeno «ces trois ou quatte loix choisies»
[25]
, che per Montaigne, profondamente im
¶{p. 108}manentista, è punto di arrivo, per Pascal è punto di partenza di una ricerca protesa verso il trascendente; «ciò che in Montaigne è riflessione scettica, in Pascal diventa costruzione dottrinale»
[26]
.
Con molta sensibilità Wolf evita l’accostamento, facile ma fuorviante, a Pascal. Nelle pagine introduttive del suo studio egli si preoccupa di offrirci, con tratti sobri e precisi, un’immagine di Montaigne, della struttura del suo pensiero e del suo universo spirituale, lontana dalle deformazioni polemiche di Port-Royal
[27]
. Con altrettanta sensibilità, guardandosi dal cadere in sommarie catalogazioni sotto l’etichetta degli «ismi», egli si serve delle categorie dell’analisi scientifica per ordinare i passi relativi agli argomenti che lo interessano. S’intende che un pensiero precorritore dei tempi sollecita raffronti storici con pensatori successivi e con teorie elaborate dalle generazioni a noi più vicine. Ma trattandosi di un pensiero rapsodico
[28]
, privo di preoccupazioni sistematiche e consapevolmente aperto alla contraddizione
[29]
, occorre procedere con cautela, e forse qualche maggiore precisazione sarebbe stata desiderabile. Oltre al raffronto, abbastanza ¶{p. 109}scontato, con Montesquieu, Wolf suggerisce un raffronto, che meriterebbe di essere svolto, con la filosofia del diritto del Vico e, alla lontana, anche col sociologismo giuridico del tardo Jhering. Non ravvisa, invece, significative analogie col modo di pensare di Savigny e della sua scuola
[30]
. Tanto meno il pragmatismo di Montaigne può essere apparentato con lo storicismo, dal quale lo separano l’idea dell’origine fortuita delle leggi
[31]
e la conseguente svalutazione dell’interpretazione storica: «il est dangereux de les ramener à leur naissance»
[32]
; la loro genesi, affondata nell’irrazionalità, non fornisce una misura del loro contenuto. Il metodo di Montaigne, rigorosamente contenuto nei limiti dell’osservazione
[33]
, esclude l’indagine sulle cause delle istituzioni sociali. Alla storia egli non domanda spiegazioni intorno alle causae rerum, ma soltanto informazioni sui motivi delle azioni umane, cioè dicta ed exempla (non importa se autentici o no) utili per ammaestrare.
Anche il raffronto col positivismo, di cui è considerato un precursore, deve segnare un limite. La formula «les loix se maintiennent en crédit, non par ce qu’elles ¶{p. 110}sont justes, mais par ce qu’elles sont loix» scolpisce il nucleo centrale del pensiero positivistico, il quale scinde la questione della validità dalla questione della giustizia delle leggi. Ma il positivismo di Montaigne è puramente empirico, si colloca sul piano dell’«essere», cioè dell’antropologia giuridica, così che non lo riguarda l’esclamazione indignata di Benjamin Constant: «Et l’on dira encore que l’on doit respecter la loi comme loi!»
[34]
. Diversamente dal positivismo del secolo XIX, Montaigne non esaurisce il concetto di diritto nella positività. Per lui una legge è valida non solo in quanto posta e sanzionata da un’autorità, ma in quanto effettivamente dotata di forza determinante della condotta degli uomini. E tale forza formativa della realtà sociale piuttosto che dalla «contrainte civile» deriva dall’inserimento delle leggi nel sistema dei costumi, intesi come punti di vista valorativi vigenti in una determinata società. In questo senso egli scrive che «les loix prennent leur authorité de la possession et de l’usage»
[35]
. Nel pensiero del saggista il posto lasciato dal diritto naturale non rimane vuoto, ma è occupato dal costume
[36]
, considerato «une seconde nature, et non moins puissante»
[37]
della natura originaria, di cui la corruzione umana ha disperso le tracce. Dal costume, nostra seconda natura, mutevole nel tempo e nello spazio, nascono le leggi della coscienza
[38]
, fonti di un vincolo «ben più pressante e di maggior peso che non quello della costrizione civile»
[39]
. Il positivismo giuridico di Montaigne si lega, sul piano filosofico, con un giusnatura¶{p. 111}lismo relativo, fondato su una visione naturalistica della vita sociale.
3. Antisistematicità del pensiero di Montaigne.
Questo residuo giusnaturalistico di carattere sociologico, che subordina la validità della legge positiva all’adesione delle coscienze, regolate dal costume, attira l’attenzione di Montaigne sul momento giurisprudenziale del diritto. Qui il suo pensiero sopravanza il positivismo giuridico e assume contenuti densi di attualità. Il processo creativo del diritto non si conchiude nella legislazione, ma si rinnova perennemente nell’interpretazione delle leggi. Nel processo interpretativo, che ne adegua il contenuto alla coscienza sociale (ai «jugemens publiques», nel linguaggio del saggista), «elles grossissent et s’ennoblissent en roulant, corame nos rivières», riscattando la loro nascita oscura, insondabile dalla ragione. Perciò la sua avversione per il diritto romano, inizialmente
[40]
nutrita dai motivi del nazionalismo giuridico francese della seconda metà del sedicesimo secolo
[41]
, nell’ultimo capitolo degli Essais si sviluppa in un orientamento teorico contrario al concetto stesso di codice, e quindi in una posizione di distacco nei confronti del movimento, avviato dal cancelliere de L’Hospital, verso la codificazione del diritto nazionale. Sprezzantemente evocato col pronome «celuy-là», Giustiniano assurge a simbolo dell’idea di codificazione, nella quale Montaigne scorge la pretesa di irrigidire la realtà giuridica in una «moltitudine di leggi fisse e immobili»
[42]
. ¶{p. 112}Il diaframma di un sistema precostituito di norme, calato tra l’interprete e la realtà, non riesce a imbrigliare nei giudici la libertà d’interpretare le leggi «à leur façon»: «l’exemple est un miroir vague, universel et à tout sens»
[43]
, che può produrre una visione deformata della verità dei fatti e favorire soluzioni arbitrarie, formalmente giustificate da un’esigenza di coerenza sistematica. Un sistema di «événemens choisis et enregistrez» (di astratte fattispecie normative, diremmo noi nel nostro gergo) quanto più è complesso tanto minore proporzione ha «con l’infinita diversità delle azioni umane..., che sono in perpetuo movimento»; non se ne troverà una che possa esservi ricondotta senza lasciare un residuo di circostanze diverse «qui requière diverse considération de jugement». Le leggi più desiderabili «ce sont les plus rares, plus simples et générales», il cui ordito lasci spazio alle trame dell’arte inventiva dell’interprete, liberamente ispirata dalla natura delle cose, «sans obligations d’exemple et de conséquence». A una giurisprudenza rigidamente «scientificizzata» Montaigne preferisce una giurisprudenza intuitiva («à l’oeil»), che sappia cogliere la «vérité des faicts» e estrarne la regola adatta al caso da decidere
[44]
.
Nella valutazione del momento giurisprudenziale del diritto si riflette la struttura speculativa degli Essais, che sono espressione di un pensiero eminentemente problematico, «enquêtant plustost qu’instruisant»
[45]
, orientato al «fermo esercizio di un giudizio indipendente»
[46]
, anziché alle costruzioni logico-formali. Al metodo della Glossa, additata come modello del pensiero giuridico legato alle «cadances dogmatistes»
[47]
della consequenzialità tipica di
¶{p. 113}un sistema, nei cui meandri l’intelligenza si oscura e si seppellisce «à la mercy de tant de clostures et barrières»
[48]
, Montaigne contrappone il metodo della spregiudicata «disceptation et agitation des diverses et contraires ratiocinations que la matière du droit souffre», proprio di una giurisprudenza aperta alla comprensione della problematicità dei fatti. Da esso, egli dice – ancora con un fondo di nazionalismo giuridico, che lo spinge per un istante ad alzare il velo sulla sua passata attività di magistrato dell’ordine giudiziario –, traggono la loro bellezza le sentenze esemplari «que nos parlemens présentent au peuple»
[49]
.
Note
[23] III, 9/1079.
[24] I, 26/184: «... s’il embrasse les opinions de Xenophon et de Platon par son propre discours, ce ne seront plus les leurs, ce seront les siennes». In un piano di ricerca autonomo «les paroles redictes ont, corame autre son, autre sens» (III, 12/1193).
[25] II, 12/653, con allusione ai «prima principia legis naturae» dell’insegnamento tomistico.
[26] Brimo, Pascal et le droit, Paris, 1942, p. 99.
[27] Anche Pascal, che pure amava Montaigne più di quanto non osasse confessare a se stesso (secondo il giudizio di Saint-Beuve), si è costruito in lui un antagonista in parte fittizio. Cfr. Goldmann, Le dieu cache, Paris, 1955, pp. 29, 250. Wolf, op. cit., p. 636, ritiene eccessiva l’accusa di indifferenza religiosa. ma su questo punto si discuterà all’infinito. Certamente eccessivo è il ritratto di Montaigne come unicamente e rigorosamente scettico (più accentuato, però, nel «Colloquio con M. de Sari», la cui redazione scritta non appartiene a Pascal, che nei «Pensieri»). Sui limiti del suo scetticismo v. pure Dilthey, L’analisi dell’uomo e l’intuizione della natura dal Rinascimento al secolo XVIII, vol. I, Venezia, 1927, p. 48.
[28] Il termine «rapsodia», con cui Montaigne definisce i suoi Essais (I, 13/68, e I, 56/353 nell’edizione postuma del 1595), ai suoi tempi, e ancora in Kant, esprimeva l’antitesi del concetto di sistema. Cfr. Friedrich, op. cit., pp. 32 ss.
[29] Cfr. III, 2/900. In un altro luogo questa apertura si manifesta con un’immagine pittoresca, ma troppo maliziosa sulla bocca di un cristiano: «In verità, non temo di confessare che al bisogno non avrei difficoltà a portare una candela a San Michele e l’altra al suo serpente» (III, 1/886). «Ecco qui uno che sicuramente piacerà più al serpente che a San Michele», insinua Gide, Montaigne, Milano, 1950, p. 31.
[30] Wolf, op. cit., pp. 653, 662 s.
[31] II, 12/652: «... nostre devoir n’a autre règle que fortuite»; III, 9/1070: «La nécessité compose les hommes et les assemble. Cette cousture fortuite se forme après en loix»; III, 13/1203: «Elles (les loix) sont souvent faictes par des sots ..., tousjours par des hommes, autheurs vains et irrésolus». L’evoluzione, su questo punto, del pensiero di Montesquieu è rilevata da Meinecke, Le origini dello storicismo, Firenze, 1967, pp. 97, nota 1, 101 ss.
[32] II, 12/657 (e p. pure I, 43 i. f./308). A questo passo va ricollegato un altro passo (I, 23/145), in cui Montaigne, per una sola volta nel suo libro, evoca un ricordo personale della sua attività di giudice. Racconta che, dovendo applicare a un caso una certa coutume e non volendo confermarla semplicemente in base alla sua autorità di legge e ai precedenti pratici (exemples), cercò di comprenderne meglio il significato con un’investigazione storica «jusques à son origine». Ma trovò un fondamento razionale cosi debole, che ne fu disgustato.
[33] Cfr. II, 12/663: «Les sens sont le commencement et la fin de l’humaine cognoissance». In generale, la sfiducia di Montaigne nel metodo storico-causale è espressa nel celebre passo in III, 11/1151: «Je vois ordinairement que les hommes, aux faicts qu’on leur propose, s’amusent plus volontiers à en cercher la raison, qu’à en cercher la vérité: ils laissent là les choses, et s’amusent à traiter les causes. Plaisans causeurs».
[35] II, 12/657. Per l’interpretazione del termine «possession» come denotativo della forza sociale (potere formale) che di fatto pone la legge, v. pure Wolf, op. cit., p. 652. Altrove l’idea che l’effettività della legge dipende da un rapporto di interazione col costume è espressa con l’endiadi «loix et coustumes», «l’usage et les loix» (cfr. II, 12/562, 570, 628; III, 12/1202: «les coustumes et loix forment la justice»).
[36] Cfr. Strauss, Diritto naturale e storia, Venezia, 1957, p. 94, nota 3, ma senza riferimento a Montaigne.
[37] III, 10/1132.
[38] I, 23/144.
[39] III, 9/1082.
[40] I, 23/146 s.
[41] Cfr. Piano Mortari, Diritto romano e diritto nazionale in Francia nel secolo XVI, Milano, 1962, pp. 79 ss. Montaigne non è soltanto antibartolista, ma condivide l’antiromanesimo del cancelliere de L’Hospital, che deplorava la recezione delle leggi romane (Piano Mortari, op. cit., p. 98). Nel luogo citato alla nota precedente egli svolge il motivo dell’estraneità di queste leggi, scritte in una lingua incomprensibile dal popolo, alle tradizioni e alle consuetudini francesi. Sempre pronto a prendere per buone le leggende narrate dagli annalisti, conclude la sua invettiva raccontando con fierezza di un gentiluomo guascone, suo compaesano, «qui le premier s’opposa à Charlemaigne (!), nous voulant donner les loix Latines et Imperiales».
[42] III, 13/1195 s.
[43] III, 13/1223.
[44] In questo senso, diverso dalle intenzioni con cui la medesima immagine è usata da Michel de L’Hospital (cfr. Piano Mortari, op. cit., p. 101), Montaigne soggiunge: «A chaque pied son soulier».
[45] Cfr. II, 12/567.
[46] Brunschvicg, op. cit., p. 30; e v. III, 12/1186: «Nous autres naturalistes (in opposizione agli scolastici) estimons qu’il y aie grande et incomparable préférence de l’honneur de l’invention...». Tra i vari significati attribuiti da Montaigne alla parola «essais» vi è anche quello di «prove del suo giudizio» (cfr. I, 50/338).
[47] Per questa espressione v. ancora II, 12/567.
[48] III, 13/1198. Sotto il termine «Glossa» Montaigne (come, dopo di lui, Grazio e Vico) comprende non solo Accursio e i suoi seguaci, ma anche i postglossatori, cioè Bartolo e i bartolisti (commentatori e consigliatori), i quali in verità – secondo il giudizio del Vico, De nostri temporis studiorum ratione, XI, in Opere, vol. I, a cura di Gentile e Nicolini, Bari, 1914, p. 110 – furono «solertissimi aequitatis indagatores».
[49] II, 12/568.