Alessandro Sicora, Silvia Fargion (a cura di)
Costruzioni di genitorialità su terreni incerti
DOI: 10.1401/9788815411365/c7
Presente in alcune delle testimonianze di assistenti sociali raccolte nel corso della ricerca CoPInG, il disallineamento tra ciò che l’assistente sociale pensa sia necessario fare e i vincoli posti dal sistema organizzativo e delle politiche può produrre quel fenomeno di moral distress richiamato all’inizio di questo paragrafo o, più in generale, un certo grado di tensione tra assistenti sociali e organizzazioni di appartenenza con molteplici conseguenze nei professionisti: ritiro emotivo oppure sovrainvestimento nel lavoro; assunzione di un atteggiamento di appiattimento acritico alle regole dell’organizzazione
{p. 209}e di una burocrazia che da mezzo per gestire efficacemente enti e istituzioni si trasforma in finalità dell’azione delle istituzioni stesse, oppure, all’estremo opposto, un atteggiamento di contrapposizione priva di consapevolezza organizzativa [Garett e Bertotti 2017; Liljegren 2012].
Come uscire da tale opposizione tra i professionisti e le loro organizzazioni di appartenenza? Dalle interviste emerge, sostengono Fargion, Mauri e Bertotti nel capitolo da loro curato, la possibilità di un mutuo sopporto tra colleghi delle équipe che appare particolarmente utile per fronteggiare la tensione tra mandato istituzionale (proprio dell’organizzazione) e mandato professionale (incardinato su principi guida che pongono al centro la persona utente). Anche in questo caso il concetto di posizionamento appare proficuo per comprendere come le dinamiche tra colleghi, responsabili e livelli gerarchici più alti siano visibili sulla base della collocazione assunta dai soggetti in campo. A tale proposito appare particolarmente efficace l’immagine della «cerniera» [De Ambrogio, Casartelli e Cinotti 2020] usata per descrivere la collocazione dei responsabili di un’équipe intermedia tra operatori di un servizio e i «capi» di una organizzazione.
L’unicità della persona utente, quarto tema trasversale alle aree di indagine del progetto CoPInG, è stato sviluppato tramite i concetti di intersezionalità (più generale) e superdiversità (specifico per le migrazioni). In particolare, l’utilizzo dell’approccio intersezionale ha consentito di evidenziare la presenza di variabili dominanti che oscurano la natura unica e irripetibile di ogni essere umano e che legittimano diverse forme di stigmatizzazione e oppressione [Chang e Culp 2002]. Tale dinamica viene agita anche dalle organizzazioni che avrebbero il compito di garantire la piena esigibilità dei diritti di cittadinanza sociale. In tale ambito un ruolo centrale è ricoperto dalla già richiamata standardizzazione di valutazioni e prestazioni che, sotto il mito dell’efficienza, rischia di compromettere l’efficacia dei servizi. La pratica riflessiva appare quale via maestra per ristabilire l’ordine di priorità tra mezzi (organizzazioni e relative procedure) e fini (benessere delle persone) nell’ambito delle politiche sociali [Sicora 2014]. La scoperta da parte degli assistenti sociali delle dinamiche sottese alla pratica professionale ha luogo all’interno di un ciclo continuo che scorre dall’esperienza alla riflessione e da questa porta all’azione realizzata in virtù dei nuovi apprendimenti emersi dalla riflessione generatrice di una nuova esperienze da cui far ripartire il ciclo esperienza-riflessione-azione. La pratica riflessiva non si può limitare ad individuare le responsabilità individuali, ma deve portare al riconoscimento del ruolo che le risorse e i vincoli amministrativi e organizzativi hanno nel determinare il successo oppure il fallimento degli interventi di aiuto.
Il riconoscere il peso dei vincoli amministrativi e organizzativi (standardizzazione neoliberista, ecc.) che portano a etichettamenti e iper-semplificazioni che disconoscono l’unicità della persona richiede lo svilupparsi dell’abitudine a riflettere con continuità e in maniera strutturata sulle situazioni professionali {p. 210}incontrate. Tale esercizio sulla pratica professionale e sugli esiti delle azioni organizzative è centrale nel promuovere una cultura della responsabilità e dell’apprendimento che si possa contrapporre alla cultura della colpa (blame culture) sempre più diffusa nelle organizzazioni [Munro 2019]. Tale cultura si incarna poi in atteggiamenti che si alimentano del considerare semplicisticamente le azioni degli individui come se fossero avulse dai contesti organizzativi nelle quali nascono e si sviluppano.
Quando le organizzazioni sono oppressive rispetto ai professionisti che in esse lavorano, spesso lo sono anche nei confronti delle persone utenti. Lo studio delle pratiche anti-oppressive, ultimo concetto chiave considerato, consente di mettere in luce la connessione di tali pratiche con il virare dei servizi e delle politiche verso modalità d’azione burocratiche, disumanizzanti e quindi oppressive in quanto incapaci di promuovere il cambiamento sociale, operando, invece, come strumenti di controllo sociale per il mantenimento dello status quo nelle relazioni di potere che perpetuano situazioni di disagio e ingiustizia. In tale ambito appare chiaro che solamente quando i contesti organizzativi sono anti-oppressivi è possibile per gli assistenti sociali lavorare in modo altrettanto anti-oppressivo [Dominelli 2009]. Ciò può avvenire smantellando quei paradigmi organizzativi omologanti, spersonalizzati e rigidi [Gui 2008] con cui sono offerti i servizi per i genitori coinvolti nella ricerca CoPInG. In tal senso, un’organizzazione anti-oppressiva può essere costruita come tale attraverso l’eliminazione delle pratiche discriminatorie in essa presenti e la promozione continua della giustizia sociale tramite l’attivazione di processi di riflessione, partecipazione e inclusione che consentano di uscire dai confini dell’organizzazione stessa per andare nella direzione del coinvolgimento delle comunità di cui è al servizio e della creazione di alleanze tra i diversi sistemi coinvolti [Barnoff 2011].

4. Il livello macro: condizioni e politiche sociali

Come anticipato, i risultati della ricerca presentati in questo volume sulla base di alcuni temi trasversali hanno permesso uno sguardo in profondità alle esperienze quotidiane di genitori che vivono in situazioni complesse e nel rapporto tra servizio sociale e costruzioni di genitorialità in situazioni di incertezza. L’obiettivo centrale del progetto è stato quello di partire dalle esperienze e dalle rappresentazioni dei genitori mettendole a confronto e in dialogo con il punto di vista dei professionisti e le rappresentazioni di (buona) genitorialità insite anche nelle pratiche e nelle politiche di supporto alla genitorialità. Il progetto è stato orientato da una prospettiva critica nei confronti dei discorsi dominanti sulla genitorialità che tendono a rappresentare il parenting, ovvero il fare i genitori, come responsabilità individualizzata e pratica decontestualizzata in base a visioni normative e stereotipizzate in {p. 211}contrasto con quelle che sono le condizioni di vita di tanti genitori [Gillies 2006; 2020; Faircloth 2014; Bertone 2017; Fargion 2023]. Mettendo in discussione tale visione, la ricerca ha posto trasversalmente in evidenza che le costruzioni di genitorialità dipendono dall’intreccio complesso di variabili diverse in situazioni e contesti specifici che vanno presi in considerazione per sviluppare pratiche e politiche di supporto alla genitorialità che possano dare delle risposte significative e appropriate a quelli che sono i bisogni e le sfide specifiche di genitori che si trovano, per motivi diversi, in situazioni di incertezza e distanti da un’immagine di famiglia stereotipizzata e idealizzata.
Questa visione è consona a una pratica di servizio sociale che si riconosce in un’ottica trifocale [Gui 2022] e multidimensionale [Sicora 2022], cogliendo e riconoscendo l’interazione di variabili e livelli diversi nella comprensione di situazioni specifiche e individuando delle strategie di intervento in base a un mandato professionale esplicito rispetto alla promozione dei diritti, della giustizia sociale, delle responsabilità condivise e del rispetto delle diversità [IFSW 2014]. Questo paragrafo considera specificamente e sinteticamente il livello macro nella presentazione dei risultati della ricerca per delineare poi possibilità e strategie di intervento per un impegno del social work anche sulle condizioni e politiche sociali.
Gli interventi di servizio sociale a livello macro comprendono le pratiche che si concentrano sulle questioni sociali a livello sistemico-strutturale, cercando di prevenire o combattere le cause dei problemi sociali attraverso strategie di advocacy e sensibilizzazione, il coinvolgimento nei processi di pianificazione e di sviluppo delle politiche sociali, nonché la collaborazione con altri attori impegnati a livello sociale e politico per la promozione dei diritti e della giustizia sociale [Brueggemann 2013; McBeath 2016]. L’impegno degli assistenti a livello macro richiede quindi la capacità di cogliere l’impatto che condizioni e politiche esistenti hanno sulla vita delle persone e di sviluppare delle strategie per contribuire a processi di cambiamento attraverso la collaborazione con organizzazioni della società civile, funzionari e decisori politici per richiedere e sviluppare politiche e programmi che affrontino i problemi sociali esistenti, cercando di migliorare le condizioni e la qualità di vita delle persone svantaggiate e marginalizzate. Il servizio sociale può contribuire in questo senso partendo dalle esperienze concrete delle persone, evidenziando l’impatto di condizioni strutturali che si riflettono anche in politiche familiari e sociali, nonché servizi e pratiche professionali. Negli anni recenti si è registrata, a livello internazionale, una maggiore attenzione per il macro social work, che si rispecchia anche nell’ultima versione della definizione internazionale di servizio sociale che sottolinea l’importanza di approcci volti alla promozione dei diritti e della giustizia sociale basati sul riconoscimento di fonti strutturali di discriminazione e oppressione e su un maggiore impegno collettivo e politico della professione [Ornellas, Spolander e Engelbrecht 2018]. Di seguito, la {p. 212}centralità di tale prospettiva viene sottolineata sintetizzando come gli aspetti sistemico-strutturali sono stati toccati nella presentazione dei risultati della ricerca nell’ambito dei temi trasversali selezionati.
Il capitolo 2 ha evidenziato l’importanza di essere consapevoli degli stereotipi e delle conseguenze della loro diffusione per orientare un agire professionale rispettoso delle diversità e delle pratiche genitoriali in situazioni di incertezza o davanti a sfide particolari. Informazioni semplificate o scorrette associate a forme e pratiche genitoriali e familiari che si discostano da modelli normativi dominanti rischiano infatti di veicolare pregiudizi e forme di discriminazione o oppressione che il servizio sociale deve riconoscere e cercare di contrastare. In questo senso, la consapevolezza degli stereotipi presenti e delle loro conseguenze non si può limitare a un prendere coscienza a livello personale dei propri pregiudizi, ma vuol dire saper analizzare e riconoscere i problemi che individui e gruppi che interagiscono con i servizi possono incontrare proprio a causa dei processi di stereotipizzazione insiti nelle politiche e nelle pratiche. Le politiche sociali e familiari si basano comunque su modelli e assunzioni riguardanti le famiglie e le genitorialità [Saraceno e Naldini 2021]. La decostruzione critica di questi modelli e una crescente attenzione per quelle che sono le pratiche del fare famiglia [Morgan 1996; 2011; Saraceno 2008; Jurczyk 2014] sono partite anche dall’analisi attenta delle esperienze di genitori e famiglie che si discostano da modelli e rappresentazioni idealizzate e stereotipizzate di famiglia e di buona genitorialità [Monaco e Nothdurfter 2023]. Cogliere l’impatto di stereotipizzazioni e idealizzazioni di questo tipo e riconoscere forme di fare famiglia e costruzioni di genitorialità diverse e marginalizzate da un repertorio di rappresentazioni dominanti che si rispecchiano anche nelle politiche sociali e familiari e nelle forme di supporto alla genitorialità sono due aspetti importanti per sviluppare pratiche professionali consapevoli.
Il tema del riconoscimento è stato particolarmente approfondito nel capitolo 3, evidenziando l’impatto di processi di riconoscimento o misconoscimento nelle esperienze dei genitori in situazioni di incertezza, sia nella loro quotidianità sia nei loro contatti con professionisti, servizi e istituzioni. Come è stato sottolineato, una chiave di lettura basata sul tema del riconoscimento permette di cogliere la complessa interazione di variabili implicate a livello micro, meso e macro. Tra le diverse dimensioni del riconoscimento è stata evidenziata la rilevanza della sfera politico-giuridica, ovvero della dimensione dei diritti, come modalità di riconoscimento nella quale le persone si identificano reciprocamente come portatori di diritti [Honneth 2018]. La dimensione del riconoscimento di diritti è fondamentale per la tutela e la protezione contro lesioni che possono derivare da forme di misconoscimento nelle sfere affettiva e sociale. La negazione dei diritti invece compromette lo status delle persone come cittadini a pieno titolo portatori di diritti, il cui esercizio è necessario all’ampliamento delle loro capacità e della loro partecipazione sociale. I {p. 213}risultati presentati hanno trasversalmente messo in evidenza quali sono le conseguenze di forme mancanti di riconoscimento legale e sociale nella vita quotidiana dei genitori coinvolti nella ricerca e il ruolo che gli assistenti sociali possono avere per permettere esperienze di riconoscimento e per supportare la rivendicazione di diritti negati o non rispettati.
Il capitolo 4 ha adottato proprio la prospettiva del posizionamento non solo per guardare alle esperienze dei genitori costretti a (ri-)posizionarsi in situazioni di incertezza, ma anche per analizzare in modo critico come il servizio sociale stesso si colloca nella sua funzione di intermediario tra quelle che sono le esperienze e i bisogni dei genitori e delle loro famiglie nei contesti di vita quotidiana, da un lato, e le risposte date in termini di servizi e politiche dal sistema di welfare, dall’altro. Quest’ultimo è a sua volta espressione di un contesto sociopolitico e culturale che non è e non può essere affatto neutro nei confronti dei temi riguardanti le famiglie e la (buona) genitorialità [Bertotti 2012]. In questo senso, l’incontro tra l’assistente sociale e la persona pone in connessione due sfere fatte di posizioni, rappresentazioni e linguaggi differenti e non solo due individui [Lorenz 2006]. I risultati presentati hanno messo in evidenza che il modo in cui gli assistenti sociali si posizionano come intermediari in questo incontro – riuscendo o meno a tradurre linguaggi differenti e a mettere in dialogo rappresentazioni diverse – può fare la differenza nell’esperienza dei genitori. Una consapevolezza critica in questo senso consente di riconoscere il rischio che, attraverso gli interventi da parte di un sistema di welfare, si riproducano meccanismi di oppressione sociale e disuguaglianza strutturali. Partire dalle esperienze dei genitori in posizione di marginalità o in situazioni di vita complesse può contribuire alla produzione di conoscenze utili per sostenere pratiche professionali e politiche inclusive che aprano spazi di partecipazione e riescano a superare le disuguaglianze.
Il tema del posizionamento si collega anche ai temi dell’unicità della persona e dell’intersezionalità trattati nel capitolo 5. Rispettare l’unicità della persona in ogni intervento vuol dire infatti anche essere consapevoli del suo posizionamento sociale specifico, riconoscendo come l’intersezione di diversi aspetti e categorizzazioni relativi all’identità personale definiscano il posto che gli individui e i gruppi occupano all’interno della società, nonché le forme specifiche di discriminazione e privilegio che ne derivano [Mattsson 2014]. Il concetto di intersezionalità sostiene che persistono delle gerarchizzazioni tra i soggetti a partire da quelle che sono le loro caratteristiche identitarie, e mette in evidenza il formarsi di un sistema di oppressione che rispecchia l’intersezione di forme di discriminazione multipla [Collins e Bilge 2020; Bernard 2021]. Questa prospettiva è stata presa in considerazione anche a livello istituzionale internazionale (in particolare europeo) ed è stata sottolineata in diverse raccomandazioni e linee guida per la progettazione, attuazione e valutazione di politiche e progetti volti a tutelare le persone in un’ottica intersezionale [Hankivsky e Jordan-Zachery 2019]. Un importante contributo
{p. 214}in questo senso può però partire anche dal basso, dalle esperienze concrete di discriminazione nella vita quotidiana delle persone. È stato infatti a partire da un caso di esperienza specifica di discriminazione che Kimberlé Crenshaw [1991; 2017] ha coniato il concetto di intersezionalità. Anche il servizio sociale può dare un importante contributo in questo senso, guardando le situazioni di difficoltà e marginalità da una prospettiva intersezionale e mettendo in evidenza, a partire dall’esperienza concreta, le forme di discriminazione intersezionale presenti all’interno di sistemi di marginalizzazione e oppressione.