Elena dell'Agnese, Daniel Delatin Rodrigues (a cura di)
Re(l)-azioni
DOI: 10.1401/9788815410795/c1

Capitolo primo Risignificare la ruralità? Discorsi e progetti turistici del GAL Sicani
di Francesca Sabatini

Notizie Autori
Francesca Sabatini ha conseguito il dottorato in Scienze della Cultura presso l’Università di Palermo. È attualmente assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi de L’Aquila, con un progetto di cultural mapping dell’Appennino centrale. Scrive e fa ricerca su aree interne e montane, terremoti, turismo, metodi itineranti e creativi, questioni di genere. Fa parte del collettivo Emidio di Treviri.

1. Introduzione

Il mondo rurale è un oggetto geografico difficile da definire: una «messy and slippery idea that eludes easy definition and demarcation» [Woods 2011, 1]. Per molto tempo rurale e urbano sono stati pensati per differenza secondo un’immaginazione binaria e oppositiva. Ad esempio, è nota la lettura di Raymond Williams [1973] che analizzava the country and the city come tópoi della letteratura inglese costruiti in relazione ai rapporti di produzione e alle ideologie delle classi egemoni. Tuttavia, in un mondo riconfigurato da flussi e traiettorie di globalizzazione, le rappresentazioni che oppongono città e campagna come dimensioni diverse e alternative non sono più aderenti: piuttosto, ha senso parlare di un continuum di forme insediative ibride in cui saltano dicotomie e distinzioni nette. Non più riconducibile all’idillio bucolico o al mondo stabile e chiuso definito dalla presenza rassicurante del campanile di Marcellinara [De Martino 2012], il rurale oggi ospita usi e tradizioni contadine assieme a meccanismi produttivi e scarti [Armiero 2021] del tardo-capitalismo. Offuscato dalle luci della città che hanno fatto scomparire le lucciole [Pasolini 1975], il rurale non è però scomparso: è frammentato, esploso e riconfigurato da traiettorie e spinte che tengono assieme globalizzazione e marginalizzazione, innovazione e abbandono, nuove migrazioni e persistenti abbandoni.
Questo contributo si posiziona all’interno di una ricerca che si interroga su come diversi tipi di discorsi – dalle politiche nazionali, alle programmazioni regionali, fino ai discorsi promozionali di tour operator locali – trasformino {p. 24}e risignifichino la ruralità nelle cosiddette «aree interne» [1]
. L’analisi si concentra sull’area dei Sicani: un territorio montano-rurale nel cuore dell’entroterra agrigentino. Una geografia quasi invisibile [de Spuches e Sabatini 2022] che negli ultimi anni è stata interessata da diverse iniziative di sviluppo rurale e dalla più recente Strategia nazionale per le aree interne. A fianco all’analisi delle politiche, la ricerca ha raccolto i discorsi di alcuni attori locali attraverso interviste semistrutturate ed esperimenti di osservazione partecipante realizzati nei Sicani tra aprile 2021 e ottobre 2022. A partire da questa ricerca, il presente contributo intende mettere a fuoco in che modo alcune iniziative del gruppo di azione locale (GAL) Sicani stiano riterritorializzando [Raffestin 1980; Turco 1988] e risignificando quest’area rurale. Qual è il discorso che il GAL costruisce su questo territorio marginale? In che modo questo discorso risignifica quest’area, investendola di nuove funzioni e usi?

2. Discorsi e territori rurali

Da tempo si assiste a una riconcettualizzazione della ruralità, che muove da e verso molte direzioni diverse. Ad esempio, negli urban studies il binomio città/campagna è stato fortemente messo in crisi dall’idea della planetary urbanization [Brenner e Schmid 2015]: concetto che indica la globale assimilazione dei territori non urbani nei circuiti di riproduzione urbana. Un processo che dà vita a nuove scale di urbanizzazione e che riarticola gli spazi rurali con nuove forme residenziali e funzioni produttive connesse alla logistica, alla produzione industriale o alla meccanizzazione dell’agricoltura intensiva. In questa prospettiva, il rurale è sempre più raggiunto e sussunto dalle catene lunghe e dalle forme insediative dell’urbano e l’urbano assimila stili di vita, {p. 25}spazialità e immaginari rurali che derivano da desideri di contatto con la natura e di auto-produzione agricola. D’altro canto, anche la geografia rurale è da tempo attraversata da svolte significative che hanno portato, ad esempio, a una postmodern rural geography: se Halfacree [1993] ha definito il rural idyll come una rappresentazione legata alle pratiche spaziali e culturali della classe media urbana, diversi autori [Cloke e Little 1997] hanno decostruito le rappresentazioni normative della ruralità attraverso storie, prospettive e relazioni contro-egemoniche. In questa prospettiva, le contested countrysides spostano il discorso sulle reti e relazioni globalizzate, sui conflitti attorno all’agricoltura produttivista e sulle pratiche spaziali di immigrati e soggettività LGBTQIA+. In altro modo, anche il dibattito italiano ha tenuto traccia della necessità di ripensare il dualismo urbano-rurale, facendo emergere dimensioni ibride come la metro-montagna [Barbera e De Rossi 2021] o le montagne di mezzo [Varotto 2020] e avviando un copioso filone discorsivo sulle aree interne [Barca, Casavola e Lucatelli 2014; De Rossi 2018] come laboratori di innovazione [Carrosio 2019] ricostruito altrove [Sabatini 2023b]. Alla base di queste nuove rappresentazioni sta la necessità di comprendere i contesti rurali, montani e marginali con sguardi nuovi, portatori di quel global sense of place [Massey 1991] che connette e cortocircuita locale e globale.
Tra le diverse prospettive che indagano le riarticolazioni della ruralità, questa riflessione attinge a un filone della postmodern rural geography che utilizza le riflessioni seminali di Foucault per analizzare i processi di costruzione e di governo della ruralità [Sharp e Richardson 2001; Richardson 2000; Woods 2011]. Riprendendo il concetto di discorso come dispositivo di produzione del sapere intriso di relazioni di potere [Foucault 1966; 1969], questo filone interdisciplinare indaga in che modo diversi discorsi producano e normino visioni, immaginari e strumenti di governo del rurale. Mettendo al centro la dimensione discorsiva dei processi e delle politiche territoriali, questi autori decostruiscono le visioni e gli strumenti che riterritorializzano la ruralità: dalla realizzazione di strutture e infrastrutture, ai processi {p. 26}di significazione e produzione del senso dei luoghi. Queste prospettive assumono come punto di osservazione fondamentale – anche se non esclusivo – i discorsi delle politiche e dei policy-makers: luoghi privilegiati per far emergere i valori, le visioni e le strategie che orientano i processi territoriali e indagare le diverse geometrie di potere al loro interno [Sharp e Richardson 2001].
Come scrive Dente, le politiche pubbliche sono «l’insieme delle azioni compiute da un insieme di soggetti (gli attori), che siano in qualche modo correlate alla soluzione di un problema collettivo e cioè un bisogno, un’opportunità o una domanda insoddisfatta, che sia generalmente considerato di interesse pubblico» [1990, 15]. Questa definizione considera le politiche pubbliche come strumenti che intervengono attorno a problemi collettivi, mettendo al centro la dimensione pubblica dei bisogni, più che lo statuto degli attori legittimati a costruire la politica. Questa definizione sottintende una visione costruttivista dei problemi collettivi che derivano dalla negoziazione tra attori diversi – istituzionali e non – a partire dal riconoscimento di bisogni e interessi comuni. In questo senso, si considerano le politiche pubbliche innanzitutto come strumenti e processi di problem setting e solo in seguito di problem solving. Inoltre, come sostiene ancora Dente, la costruzione delle politiche dipende da diverse forme di produzione di conoscenza e di gestione del potere, in quanto gli attori che concorrono a definirle mobilitano frames politico-valoriali e forme di conoscenza diverse: esperte, non esperte, tacite e diffuse.
Calando questa idea in prospettiva geografica, le politiche pubbliche sono discorsi che interpretano i territori e costruiscono visioni e strumenti per intervenire materialmente su questi [Governa 2014]. Anche da un punto di vista geografico, dunque, il processo di problem setting delle politiche è cruciale: un momento di definizione di fatti, territori e fenomeni geografici in cui diversi attori interagiscono per formulare visioni e progettualità, spesso marginalizzando le visioni di attori con ruoli istituzionali, conoscenze e interessi diversi. Le politiche territoriali sono luogo di definizione di oggetti geografici: forme di discorso {p. 27}prescrittive e normative che nominano e perimetrano fatti, fenomeni e formazioni geografiche, individuando metodi e strumenti con cui intervenire sugli stessi.
La performatività delle politiche si lega alla loro natura territorializzante, nel senso che le politiche sono discorsi che alimentano processi di territorializzazione [Raffestin 1980; Turco 1988] guidati da visioni che sottendono geometrie di potere e processi di costruzione del sapere. La riflessione sulle politiche pubbliche e i processi di territorializzazione è, quindi, una riflessione sui processi di governo discorsivo del territorio.

3. I GAL e la pay-as-you-enter countryside

Sullo sfondo di questa costellazione teorica che connette ruralità, discorsi e politiche territoriali si affacciano i GAL e l’approccio LEADER allo sviluppo rurale.
L’approccio LEADER (Liaison Entre Actions de Développement de l’Économique Rurale) [2]
nasce negli anni Novanta come una metodologia e uno strumento finanziario della politica strutturale dell’UE per definire nuove strategie di sviluppo nelle regioni rurali marginali. Il LEADER ha rappresentato un’importante sperimentazione europea tra le politiche di sviluppo locale endogeno: considerando i territori e le comunità rurali come soggetti attivi – e non beneficiari passivi di azioni di sviluppo – questo approccio ha messo al centro i capitali territoriali e le identità culturali come risorse per uno sviluppo territorializzato e multisettoriale.
I gruppi di azione locale (GAL) sono il principale strumento di applicazione del LEADER: enti intermedi formati da partenariati pubblico-privati tra imprese, amministrazioni, associazioni culturali e di categoria. Strutture reticolari – spesso coordinate da agenzie di sviluppo – che implementano le politiche di sviluppo rurale attraverso i piani di azione locale (PAL). Inserendosi all’interno della
{p. 28}fase di rescaling [Brenner 2004] dei sistemi di governo territoriale, i GAL appartengono a quelle formazioni territoriali intermedie che promuovono progetti e processi di sviluppo, attraverso patti e strumenti multiscalari. A questo proposito, la governance dei GAL prevede modalità di progettazione bottom-up che danno vita a processi definiti Community Led Local Development (CLLD).
Note
[1] Questo contributo si situa nel quadro di una tesi di dottorato dal titolo Geografie e discorsi delle aree interne. Turismo e restanza nella Sicilia fredda, realizzata nell’ambito del dottorato in Scienze della cultura dell’Università degli Studi di Palermo, con tutor Giulia de Spuches e Pietro Maltese.
[2] Maggiori informazioni al sito https://ec.europa.eu/enrd/leader-clld_en.html.