Verso il museo multimediale della lingua italiana
DOI: 10.1401/9788815410283/c3
Se le cose stanno in questi termini non
può meravigliare che negli ultimi anni la definizione di museo sia stata messa in
discussione e da più parti se ne proponga l’aggiornamento, al fine di trovare una
rappresentazione più adeguata e coerente con le mutate condizioni della contemporaneità. La
discussione avviata in occasione dell’ultima Assemblea generale dell’ICOM, svoltasi a Kyoto
nel 2019, su una nuova definizione che consideri i musei «spazi di democrazia, inclusivi e
polifonici, dedicati al dialogo critico sul passato e il futuro», testimonia di questo
fertile momento di riflessione, che attualmente sta impegnando i comitati nazionali per
giungere a una condivisione tutt’altro che scontata
[1]
. Credo sia un esempio illuminante del punto di
¶{p. 34}arrivo
del processo di trasformazione in atto, che definisce in maniera molto particolare e
specifica la cornice all’interno della quale anche il progetto del Museo multimediale della
lingua italiana si colloca.
2. Ma veniamo al
contesto in cui si situa il progetto MULTI. Ho individuato due
aspetti che a mio parere vale la pena di sottolineare.
Il primo è nella diffusione dei
principi contenuti nella Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul
valore dell’eredità culturale per la società, meglio nota come Convenzione di Faro 2005,
ratificata anche dall’Italia nel 2020. Quei principi connettono il concetto globale di
patrimonio di cui s’è parlato con le cosiddette comunità di eredità. La Convenzione intende
per eredità culturale «un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni
identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione
dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione. Essa comprende
tutti gli aspetti dell’ambiente che sono il risultato dell’interazione nel corso del tempo
fra le popolazioni e i luoghi». Il museo di cui qui trattiamo ha per oggetto la lingua
italiana, cioè una risorsa identitaria che non avrebbe senso conservare, salvaguardare e
promuovere se non ci fosse una comunità linguistica di riferimento, che sempre l’articolo 2
della citata Convenzione definisce quale «insieme di persone che attribuisce valore ad
aspetti specifici dell’eredità culturale, e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica,
sostenerli e trasmetterli alle generazioni future»
[2]
.¶{p. 35}
C’è anche un altro elemento che va
sottolineato per la messa a fuoco del contesto in cui viene progettato il MULTI e riguarda
la cosiddetta rivoluzione digitale [Mandarano 2019]. I musei hanno sempre avuto a che fare
con gli strumenti di comunicazione, e la multimedialità è una caratteristica intrinseca del
museo. La compiutezza del discorso museale è sempre affidata al sistema allestitivo, che
colloca gli oggetti all’interno di uno spazio e di unità espositive fondate sulla coerenza
di codici espressivi differenti: ci sono le vetrine, l’illuminazione, i testi scritti dei
pannelli e delle didascalie, le immagini fotografiche e in movimento, le diverse soluzioni
grafiche e scenografiche, i punti di ascolto e di contatto. Tutte queste unità mobilitano le
capacità cognitive ed esperienziali del visitatore, che è chiamato a misurarsi con il
progetto esibito nella rappresentazione espositiva: una macchina delle meraviglie che è
parte integrante del museo come medium tra gli altri media. Parlare di
rivoluzione digitale nel museo sarebbe scontato a meno di non riferirci alle ricadute che la
tecnologia applicata alla ricerca determina nell’esperienza cognitiva dei visitatori. Le
cosiddette digital humanities, ben note alla linguistica, favoriscono
una più piena accessibilità alla conoscenza e consentono di migliorare l’esperienza visiva,
estetica e intellettuale del pubblico [Greco e Christillin 2021]. Purché – è bene segnalarlo
– si abbia consapevolezza della necessità di accompagnare con le dovute maniere quei
cittadini che hanno difficoltà con le tecnologie e rischiano di essere esclusi dai vantaggi
che procura la dimensione digitale. Vorrei indicare almeno due temi caldi del grado di
accessibilità sollevato dal digitale.
Il primo riguarda la necessità di fare
i conti con i principi di accessibilità totale propri del museo, da un lato favorendo
l’inclusione nei processi di fruizione digitale della generazione che va dai 46 ai 64 anni,
quella dei cosiddetti baby boomers per intenderci, che nella fase
pandemica ha dimostrato di non avere sempre grande dimestichezza con il digitale anche a
causa dell’assenza delle infrastrutture e dei ¶{p. 36}mezzi necessari (banda
larga/hardware adeguati). Dall’altro, educando i cosiddetti nativi digitali (la
net generation) a metodi di apprendimento e di comunicazione più
coerenti con le esperienze museali, dunque alternativi a quelli abituali, fondati sulla
rapidità, sull’occasionalità ecc., approfondendo quindi la ricerca sulle fonti conoscitive e
sulle diverse strategie rappresentative.
Il secondo aspetto rinvia a quanto
rilevato da un’indagine online sul pubblico dei musei fatta durante la fase due del
lockdown, da cui risulta che il 65% dei partecipanti ritiene che la
visita online non possa sostituire la visita fisica al museo, anche qualora fossero
disponibili contenuti di elevata qualità: foto, video, rappresentazioni in 3D, musiche,
audio e quant’altro. L’offerta digitale viene senz’altro valutata come un incentivo alla
familiarizzazione e uno stimolo alla conoscenza delle collezioni dei musei, e i partecipanti
ritengono che sia questa sostanzialmente la funzione da attribuire al digitale. Tuttavia il
museo come luogo dove si cammina, ci si muove e ci si incontra, dove si ascolta e si tocca,
dove nell’esperienza del pubblico tutti i cinque sensi vengono coinvolti, resta ancora la
realtà dominante e con questo dato bisogna evidentemente fare i conti [Solima e Cicerchia
2020].
3. Veniamo infine alla
prospettiva, al terzo aspetto che mi sono proposto di segnalare e
che probabilmente verrà maggiormente approfondito negli interventi che seguiranno.
Soprattutto in ragione della tipologia di museo sulla quale stiamo ragionando vorrei
connotare la prospettiva del MULTI con l’espressione conservare il
futuro. Uno degli sforzi che il museo della lingua italiana dovrà fare è
quello di giocare con una delle parole chiave del museo, la conservazione del patrimonio,
guardando alla sua dimensione processuale e dinamica, aperta al domani. L’espressione allude
alla nostra capacità di traghettare nel futuro ciò che vale la pena di salvare del passato,
perché possano realizzarsi le migliori condizioni di vita per le future generazioni.
Per realizzare questa prospettiva è
necessario valorizzare pienamente un’altra parola chiave, che è
partecipazione. ¶{p. 37}Provo a spiegarmi. Nel
definire la propria missione ogni progetto museale deve rispondere a tre domande
fondamentali: «Perché si fa un museo?», «Per chi lo si realizza?» e «Come, in quale forma,
con quali strategie?». Dietro la domanda «perché un museo» ci sono ragioni politiche e
culturali, che nel caso specifico del MULTI hanno evidentemente a che fare con l’opportunità
di istituire anche nel nostro paese un museo dedicato alla lingua nazionale. La domanda «per
chi farlo» sottintende una ragione sociale, che nella fattispecie comporta di valorizzare e
trasmettere, ai cittadini e per i cittadini italiani, le conoscenze relative al patrimonio
linguistico di una collettività di parlanti. Dunque un museo per tutti, che però tenga conto
delle criticità e dei rischi che prima mettevo in evidenza dal punto di vista dei rapporti
tra le generazioni. Sottolineo questo aspetto poiché la fortuna di un museo non dipende
soltanto dalla sua sostenibilità economica, questione che interessa in
particolare il «come fare» il museo, cioè come organizzarlo dal punto di vista gestionale.
Esiste infatti anche una sostenibilità culturale del museo, che
consiste nella capacità di connettere le generazioni tra loro, cioè di riuscire a costruire
un «tempo etico» transgenerazionale, nel quale i nonni e i nipoti possano riconoscersi e
intendersi, assicurando così il passaggio da una generazione all’altra dei valori di una
comune tradizione culturale [Simonicca 2006]. La sostenibilità culturale di un progetto
intitolato al patrimonio linguistico italiano dipenderà dunque dalla capacità di promuovere
il riconoscimento della comune appartenenza a un orizzonte valoriale, pur nelle differenze
storiche e attuali delle diverse parlate generazionali e locali.
In questo senso, credo che il successo
del progetto possa essere determinato soprattutto dal grado di partecipazione del suo
pubblico reale e potenziale. Tanto più trattandosi di un museo virtuale, che dunque avrà
delle stanze in 3D, dove il navigatore web avrà l’impressione di muoversi all’interno di un
vero museo e troverà immagini, video, informazioni, testimonianze, approfondimenti legati
alla lingua italiana e a tutto quello che la lingua italiana significa dal punto di vista
culturale. Grazie alle potenzialità che il digitale offre, ¶{p. 38}tutto
questo sarà evidentemente tradotto e realizzato in modo spettacolare, «immersivo» come si
suol dire oggi, cercando cioè di coinvolgere il visitatore dal punto di vista anche
emozionale. E così tutto sembrerà assomigliare a un gioco cognitivo, del resto legittimato
dalle regole del gaming e del mapping, ormai
accreditate anche nei musei quali strategie di conoscenza e di apprendimento, sia
on site che online [Mandarano 2019]. Ciò non toglie che per
assicurare risultati apprezzabili nella comunicazione digitale sarà importante lavorare alla
creazione di dispositivi che favoriscano la nascita di communities in
grado di interagire con il museo. Dunque la partecipazione, quale cifra del museo
contemporaneo, resta comunque un punto di riferimento programmatico.
Sarà ad esempio fondamentale
coinvolgere il visitatore non soltanto nella visita di stanze virtuali ma anche nella
possibilità di crearne lui di proprie, attraverso quel gioco curatoriale che alcuni progetti
museali hanno a volte già sperimentato mettendo a disposizione del pubblico gallerie di
immagini cui attingere per fare un percorso di visita personalizzato. Ma sarà anche
interessante offrire al visitatore la possibilità di entrare nel museo virtuale per donare
informazioni ed elementi utili per realizzare forme di co-produzione culturale.
Del resto, in ragione delle questioni
che ho cercato di illustrare in maniera necessariamente frammentaria, il paradigma del museo
è profondamente mutato a partire dalla seconda metà del Novecento. Quel paradigma non è più
informato esclusivamente all’educazione o alla comunicazione. Il valore dato alla
partecipazione in qualche modo ha liberato la possibilità che il museo si trasformi in un
luogo di produzione culturale [Chaumier 2013]. E la produzione culturale come sappiamo non
può che essere realizzata attraverso la condivisione, l’interazione: attraverso appunto la
partecipazione. Ebbene, se il costituendo Museo multimediale della lingua italiana si
collocherà all’interno della cornice museologica di frontiera prima tratteggiata, se saprà
tener conto del contesto che oggi sottolinea in modo prepotente il valore dell’eredità
culturale e il ruolo
¶{p. 39}delle comunità di eredità nella salvaguardia
del patrimonio culturale, se saprà valutare il digitale come una potenzialità e
un’opportunità da governare con sapienza e se, infine, guarderà in prospettiva futura
utilizzando la chiave della partecipazione come antidoto alle derive autoreferenziali, forse
sarà quel museo per tutti e per tutte che mi auguro di poter quanto prima visitare in modo
creativo e interattivo.
Note
[1] Il dibattito si è concluso all’Assemblea generale dell’ICOM di Praga, tenutasi il 24 agosto 2022, con l’approvazione della seguente nuova definizione: «Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che compie ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio culturale, materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano in modo etico e professionale e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze».
[2] Cfr. Consiglio d’Europa, Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società, Faro, 27 ottobre 2005, http://www.musei.beniculturali.it/wp-content/uploads/2016/01/Convenzione-di-Faro.pdf (ultimo accesso: gennaio 2023).