Verso il museo multimediale della lingua italiana
DOI: 10.1401/9788815410283/c3
Vito Lattanzi Patrimonio culturale e rivoluzione digitale: il posto del museo
Notizie Autori
Vito Lattanzi si è occupato di gestione e valorizzazione dei musei e dei luoghi della
cultura presso la Direzione generale Musei del ministero della Cultura. Di
formazione antropologo, ha diretto i servizi educativi e le collezioni
mediterranee del Museo nazionale preistorico etnografico «Luigi Pigorini» di
Roma, dando vita a iniziative di mediazione interculturale e sperimentando
metodologie di fruizione partecipata del patrimonio. Ha curato mostre e
allestimenti anche a livello territoriale ed è autore di pubblicazioni di
argomento antropologico e museologico. Tra i suoi recenti contributi,
Musei e antropologia. Storia, esperienze, prospettive
(2021). Attualmente lavora presso il Museo delle Civiltà di Roma.
Abstract
Le competenze convocate per affrontare il tema di questo seminario sono diverse
e, del resto, le domande che solleva il progetto di Museo multimediale della lingua
italiana (MULTI) richiedono differenti prospettive di analisi. Il costituendo Museo
multimediale della lingua italiana, proprio per le caratteristiche di immaterialità
che lo contraddistinguono, si colloca indubbiamente in una dimensione al confine tra
il museo tradizionale e il post-museo o museo del futuro che dir si voglia. Questa
idea di museo, integrata alla nozione di patrimonio e così differente da quella più
tradizionale di museo costituito da un edificio, da una collezione e da un pubblico,
ha aperto nuove prospettive alla museografia contemporanea e gli stessi manuali di
museologia ne hanno dovuto riconoscere la portata innovativa. Se le cose stanno in
questi termini non può meravigliare che negli ultimi anni la definizione di museo
sia stata messa in discussione e da più parti se ne proponga l’aggiornamento, al
fine di trovare una rappresentazione più adeguata e coerente con le mutate
condizioni della contemporaneità. Uno degli sforzi che il museo della lingua
italiana dovrà fare è quello di giocare con una delle parole chiave del museo, la
conservazione del patrimonio, guardando alla sua dimensione processuale e dinamica,
aperta al domani. L’espressione allude alla nostra capacità di traghettare nel
futuro ciò che vale la pena di salvare del passato, perché possano realizzarsi le
migliori condizioni di vita per le future generazioni. Grazie alle potenzialità che
il digitale offre, tutto questo sarà evidentemente tradotto e realizzato in modo
spettacolare, «immersivo» come si suol dire oggi, cercando cioè di coinvolgere il
visitatore dal punto di vista anche emozionale.
Le competenze convocate per affrontare
il tema di questo seminario sono diverse e, del resto, le domande che solleva il progetto di
Museo multimediale della lingua italiana (MULTI) richiedono differenti prospettive di
analisi. Il mio contributo cercherà soprattutto di circoscrivere il campo museologico
all’interno del quale focalizzare meglio il tema in questione.
Affronterò l’argomento organizzando la
mia relazione in tre momenti, con l’obiettivo di individuare tre ambiti di riflessione utili
alla discussione. Anzitutto, mi propongo di definire una cornice
metodologica plausibile. Quindi, con riferimento al contesto in cui il
progetto MULTI si colloca, segnalerò alcune non trascurabili evidenze della contemporanea
museologia. Da ultimo, indicherò la prospettiva che a mio parere
conviene adottare nell’impresa avviata e qui in discussione.
1. Ogni progetto ha bisogno di una
cornice di riferimento, che certo non ha il compito di
circoscrivere in modo rigido il panorama generale delle questioni che si intendono
affrontare. Tuttavia, lo sforzo preliminare di inquadramento di sicuro aiuta a definire
l’orizzonte teorico e metodologico d’azione, che nel caso dei musei è sia culturale che
politico. La cornice che mi permetto di indicare può essere ricondotta, a buon diritto, alle
sperimentazioni classificabili come museologie di frontiera. Il
costituendo Museo multimediale della lingua italiana, proprio per le caratteristiche di
immaterialità che lo contraddistinguono, si colloca indubbiamente in una dimensione al
confine tra il museo tradizionale e il post-museo o museo del futuro che dir si voglia. I
manuali di museologia a ogni definizione di museo premettono che abbiamo a che fare con una
realtà complessa; anche se, in ¶{p. 30}fin dei conti, la sua struttura
risulta essere piuttosto semplice dato che si fonda su quattro elementi: la collezione, il
pubblico che la fruisce, il personale che la gestisce, la sede che la ospita. Nella sua
semplicità probabilmente questa rappresentazione non rende ragione delle caratteristiche di
quello che il museo è diventato e di ciò che il MULTI vuole probabilmente essere. Tuttavia
resta per noi un punto di riferimento. Del resto, la stessa museologia per alcuni è niente
altro che un campo di interesse, per altri una disciplina che «si occupa del museo come
istituzione: ne definisce la natura, ne formula la teoria, ne narra la storia, ne analizza
la struttura interna e il funzionamento, ne considera il ruolo culturale e sociale» [Marini
Clarelli 2005, 24].
Se apriamo il volumetto dedicato ai
Concetti chiave di Museologia, a cura di André Desvallées e
François Mairesse, scopriamo che le accezioni in cui viene inteso questo campo di interesse
o questa disciplina sono molteplici. La museologia a) è tutto ciò che
riguarda il museo e che generalmente rientra nel termine «museale»; b)
in senso accademico è lo studio del museo; c) è l’insieme dei tentativi
di teorizzazione o di riflessione critica legati al campo museale; d) è
un vero e proprio campo scientifico d’investigazione del reale, una disciplina che studia le
relazioni tra l’uomo e il mondo [Desvallées e Mairesse 2016, 67-70].
Quest’ultima accezione rappresenta
indubbiamente il portato più significativo della rivoluzione che negli anni Sessanta del
secolo scorso ha visto protagonista la cosiddetta nuova museologia. È quella che ha aperto
le porte al post-museo e che forse si attaglia meglio al progetto qui in esame. C’è un’opera
antologica, organizzata in due tomi e pubblicata negli anni Novanta con il titolo
Vagues, che costituisce una sorta di manifesto di questa estensione
del campo museale a 360 gradi [de Bary, Desvallées e Wassermann 1992-94]. L’opera raccoglie
gli scritti che dal dopoguerra hanno dato un contributo alla ridefinizione del museo in
senso sociale, considerandolo come un’istituzione che «copre l’universo intero e tutto è
dunque musealizzabile, poiché il museo è il luogo scientifico in cui si possono studiare le
relazioni dell’uomo con la realtà dell’universo nella sua totalità, e la
¶{p. 31}museologia è la scienza delle relazioni dell’uomo con la realtà
dell’universo» [ibidem, 21]. Una definizione così articolata e così
originale rispetto a quelle sino ad allora offerte dai manuali ha dimostrato di avere un
respiro talmente ampio che il lavoro avviato con il progetto MULTI può trovarvi pieno
diritto di cittadinanza. Occorre però precisare che sarebbe difficile pensare al museo nei
termini appena descritti senza connettere tale istituto a una nozione di patrimonio
culturale altrettanto originale e che i padri della nuova museologia hanno così definito: il
patrimonio è qualcosa di più che l’insieme di collezioni e di
oggetti, poiché è «un ambiente naturale e culturale da percepire come un insieme che si
riceve in eredità, di cui ci si appropria, che si conserva e si trasmette restando
consapevoli delle trasformazioni che gli fanno conoscere le creazioni – e le distruzioni –
dell’uomo, e di cui rileviamo una testimonianza se non per spiegare la natura e la storia di
quell’eredità» [ibidem]. Il patrimonio, in questo senso, ha a che fare
più con l’essere che con l’avere; non è ciò che si possiede, che si conserva con un diritto
di proprietà culturale e simbolica, ma è ciò che si è, ciò che si costruisce e ciò che ha a
che fare con la nostra identità contemporanea [Fabre 1996, 3].
Questa idea di museo, integrata alla
nozione di patrimonio e così differente da quella più tradizionale di museo costituito da un
edificio, da una collezione e da un pubblico, ha aperto nuove prospettive alla museografia
contemporanea e gli stessi manuali di museologia ne hanno dovuto riconoscere la portata
innovativa. «Il museo – scrive Maria Vittoria Marini Clarelli – è un tentativo di dare un
senso all’accumularsi degli oggetti del mondo trasformandoli in un’eredità comune,
accessibile e trasmissibile: una grande riserva di significati nella quale l’identità e la
diversità, il passato e il presente provano a coesistere» [Marini Clarelli 2005, 8].
Il cambiamento di prospettiva ci ha
permesso di superare l’idea che parlare di musei significhi parlare esclusivamente di
edifici che contengono collezioni. Il proliferare di musei senza collezioni, di musei
tematici realizzati a partire da istanze identitarie e vocazioni territoriali, permette di
¶{p. 32}parlare senza scandalo di musei dell’immateriale. E siamo
esattamente nel cuore del progetto di cui si occupa questo seminario.
A partire dagli anni Settanta abbiamo
assistito alla diffusione locale di centri di interpretazione del territorio, che servono la
possibilità di conoscere l’ambiente naturale e culturale in cui si viaggia sollecitati dalla
curiosità di sapere dove trovare piste e percorsi utili per muoversi in modo più piacevole e
consapevole. Il museo si è letteralmente trasformato in istituzione culturale totale e il
turismo di massa vi ha consumato definitivamente la sua natura di monumento costruito
attorno a una collezione. L’idea di museo-tempio si è indebolita e questo processo di
cambiamento è testimoniato anche dalle mutate definizioni di museo date dall’ICOM dal ’46 a
oggi. La prima definizione alludeva proprio al monumento-collezione, ma già negli anni
Cinquanta il museo diviene istituto di conservazione e promozione per assumere nei Sessanta
la veste di istituzione culturale della società civile, aperta al museale inteso appunto
come campo delle relazioni tra uomo e mondo [Jalla 2003].
Su questa strada il museo si è talmente
rinnovato da diventare persino un luogo d’intrattenimento, capace di competere con altre
attività imprenditoriali indirizzate alla cultura e al tempo libero. Sicché oggi il museo
non è più solo un’istituzione impegnata in modo neutrale nella raccolta, nella
conservazione, classificazione ed esposizione di oggetti, ma è «un luogo dove è possibile
visitare mostre, mangiare, studiare, conservare e restaurare oggetti d’arte, ascoltare
musica, assistere a proiezioni e dibattiti, incontrare gente» [Lumley 2005, 5].
E forse c’è di più, se solo si pensa a
tutto ciò che sta tra lo spazio pubblico del museo contemporaneo e la dimensione virtuale di
alcune strategie museali. Sul piano dello spazio pubblico, infatti, il museo da semplice
luogo espositivo si è trasformato in un vero e proprio luogo culturale, con funzioni di
agency di produzione e creazione. Da questo punto di vista, merita
una riflessione anche il ruolo svolto dal paradigma interpretativo nel processo di
cambiamento della museologia intesa come ordine delle collezioni. Sul piano
¶{p. 33}dell’interpretazione e del senso da assegnare alle raccolte,
utilizzando una contrapposizione suggerita già da Alberto Mario Cirese, non solo antropologo
ma studioso di musei, abbiamo anche assistito al passaggio dal museo-archivio al museo-opera
aperta, dalla museo-logica, che rimanda a una ragione universale dell’ordinamento delle
collezioni, alla museo-poetica, che sceglie la circostanzialità del particolare e della
comunicazione emozionale. Opera collettiva versus opera autoriale,
logica versus poetica, ragione versus emozione,
descrizione versus interpretazione [Cirese 2002].
La svolta interpretativa e poi quella
digitale hanno trasformato il museo in un «dispositivo leggero che realizza una
comunicazione complessa», per dirla con un allievo di Cirese, che ha sviluppato l’idea del
museo come messa in scena antropologica [Clemente 1996]; talmente leggero da non essere più
necessariamente riconducibile alla sola collezione e a una solida architettura monumentale.
Piuttosto, esso rimanda a una dimensione liquida e multidisciplinare. Nelle audaci versioni
fornite dall’antropologia museale è un’esperienza totalmente contemporanea; dunque inattuale
dal punto di vista professionale e accademico; indisciplinata come comandano le
installazioni artistiche; persino profetica, nella sua veste di eterotopia della memoria
futura [Padiglione 2008].
Se le cose stanno in questi termini non
può meravigliare che negli ultimi anni la definizione di museo sia stata messa in
discussione e da più parti se ne proponga l’aggiornamento, al fine di trovare una
rappresentazione più adeguata e coerente con le mutate condizioni della contemporaneità. La
discussione avviata in occasione dell’ultima Assemblea generale dell’ICOM, svoltasi a Kyoto
nel 2019, su una nuova definizione che consideri i musei «spazi di democrazia, inclusivi e
polifonici, dedicati al dialogo critico sul passato e il futuro», testimonia di questo
fertile momento di riflessione, che attualmente sta impegnando i comitati nazionali per
giungere a una condivisione tutt’altro che scontata
[1]
. Credo sia un esempio illuminante del punto di
¶{p. 34}arrivo
del processo di trasformazione in atto, che definisce in maniera molto particolare e
specifica la cornice all’interno della quale anche il progetto del Museo multimediale della
lingua italiana si colloca.
Note
[1] Il dibattito si è concluso all’Assemblea generale dell’ICOM di Praga, tenutasi il 24 agosto 2022, con l’approvazione della seguente nuova definizione: «Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che compie ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio culturale, materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano in modo etico e professionale e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze».