Verso il museo multimediale della lingua italiana
DOI: 10.1401/9788815410283/c10
Se si escludono, infatti, coloro che
hanno avuto un’adeguata formazione linguistica di livello universitario, sembrano
{p. 103}prevalere tra i parlanti alcune vulgate che si stenta a mettere in
discussione. Le conversazioni intorno alla lingua, che si svolgano dal vivo o, oggi più
frequentemente, attraverso i social network, coinvolgono spesso emotivamente gli
interlocutori, anche perché è difficile scindere lo strumento principale della nostra
socializzazione dalle nostre personali esperienze di vita; le discussioni, tuttavia,
affrontano quasi sempre gli stessi argomenti e mettono in evidenza opinioni sedimentate nel
tempo e quasi mai verificate sul piano storico o scientifico. L’attenzione si focalizza
soprattutto su tre questioni: la prima è la distinzione tra lingua e dialetto, per la quale
si stenta curiosamente ad accettare che tutti i dialetti della penisola, e non solo alcuni,
siano lingue
[1]
. Si preferirebbe veder trionfare nel novero delle lingue solo i dialetti che
vantano una storia prestigiosa, spesso segnata da un’importante tradizione letteraria, e
raggruppare tutti gli altri sotto la denominazione, considerata di scarso valore, di
«dialetto». I linguisti faticano a far capire che tutti i dialetti italoromanzi hanno una
storia che discende dal latino e che tutti possiedono una propria autonoma grammatica, anche
se rispetto all’italiano occupano uno spazio geografico minore e hanno possibilità di
impiego molto più ridotte. Le altre due questioni riguardano la presenza sempre più
avvertita dell’inglese e la correttezza o meno di espressioni, forme, costrutti sintattici
per i quali raramente si è disposti ad abbandonare convinzioni irremovibili. La difesa di un
solo dialetto sugli altri, il timore di ciò che viene dall’esterno, la ricerca di una norma
assoluta sono indici di un legame autentico e forte con il proprio patrimonio linguistico?
La risposta purtroppo non può essere pienamente positiva. Se il «si dice così e non così»
appassiona molto più della storia della nostra lingua, della conquista faticosa e lenta ma
ormai ben salda della sua modernità, dell’importanza di conoscere a fondo il suo lessico per
poter leggere a pieno il mondo reale,
¶{p. 104}pensiamo che ci sia qualcosa
da migliorare nella formazione e nella consapevolezza linguistica dei parlanti italiani.
Il bisogno di norma è legittimo, ma da
un lato va riconosciuta la convivenza tra la norma dello standard, legata soprattutto alla
scrittura alta e formale, e la norma sociale o
implicita, sempre dipendente dal grado di accettazione della
comunità linguistica; dall’altro va ridimensionato il peso della cosiddetta «norma sommersa»
che, generata dalla tradizione scolastica, provoca dubbi e conflitti spesso ingiustificati
[Serianni 1994; 2007; D’Achille 2011]. La preoccupazione per l’invadenza degli anglicismi
sarebbe da incanalare lungo argini più solidi, ridimensionandone la pericolosità nella
conversazione quotidiana e segnalandone al contrario le possibili, gravi conseguenze nei
settori scientifici o nella comunicazione dei politici, degli amministratori e degli
economisti. L’amore, infine, per il proprio dialetto va separato dalle difese
campanilistiche e indirizzato verso lo studio e la conservazione, in una piena e pacifica
convivenza della piccola e della grande patria: una convivenza che, con l’esecrabile
eccezione del ventennio fascista, non solo non è stata negata ma ha caratterizzato una
storia linguistica italiana di cui andare orgogliosi. Spetta, dunque, ai linguisti evitare
di assecondare l’orizzonte d’attesa dei parlanti alimentando le risposte al «come si dice» o
adattandosi alle paure e alle aspettative più diffuse.
Può un museo della lingua italiana
riuscire a scardinare i luoghi comuni e a favorire nella nostra comunità parlante una nuova
percezione linguistica? La risposta sarà affermativa solo se si eviterà l’eccesso di
semplificazione: un luogo comune, infatti, nasce da un indebito processo di
generalizzazione, dal ricondurre a unitarietà persone e azioni distinte da sfumature
molteplici. La trasmissione delle conoscenze ha il dovere di rifuggire dalle semplificazioni
riduttive, sia pure perseguendo con costanza la chiarezza dell’esposizione e la capacità del
coinvolgimento. Se è vero che la divulgazione di contenuti complessi è molto più difficile
della trattazione specialistica, è anche vero che il MULTI e il MUNDI non possono lasciar
cadere questa sfida se vogliono dare un senso alla loro esistenza, e se vogliono includere
tra i propri ¶{p. 105}obiettivi l’estirpazione dei preconcetti, la
correzione delle percezioni, la costruzione di un sentimento autentico verso la nostra
lingua. Si tratta di una sfida estremamente audace e di un impegno oneroso, ma è sempre
dall’audacia delle ambizioni e dal rigore dell’impegno che nascono le grandi innovazioni.
Note
[1] Sulle insidie di posizioni ripetute con grande frequenza soprattutto in rete, tali da costruire una sorta di «dialettologia parallela» scientificamente priva di fondamento, sono interessanti le considerazioni di De Blasi [2007; 2021].