La lettura ad alta voce condivisa
DOI: 10.1401/9788815410238/c4
Secondo la ricerca che valorizza
gli aspetti socio-culturali, la costruzione e la strutturazione dell’identità di genere
è da ascrivere principalmente alle numerose influenze presenti nel contesto sociale: la
famiglia e il gruppo degli adulti di riferimento (parenti, insegnanti ecc.) che
rappresentano modelli di ruolo, esibiscono aspettative, attivano atteggiamenti
incoraggianti o scoraggianti [Fagot, Rodgers e Leinbach 2000]; il gruppo dei pari che
attraverso la segregazione di genere produce «culture separate» [Maccoby 1998]; i
giocattoli, i media (libri, televisione, videogiochi, internet), il linguaggio che
veicolano in modo esplicito o implicito messaggi stereotipici [Kinder 1999; Signorielli
2001]. Tale considerazione incrocia la spiegazione dello sviluppo dell’identità di
genere da una prospettiva cognitiva: i processi cognitivi individuali, e sostanzialmente
impliciti e inconsapevoli, di
¶{p. 128}categorizzazione organizzano lo
sviluppo dell’identità di genere, poiché influenzano in modo decisivo le aspettative e i
ricordi delle bambine e dei bambini, il modo in cui elaborano i loro giudizi sociali e
il modo in cui si comportano [Bussey e Bandura 1999]. Le categorie sociali vengono poi
via via sviluppate da bambine e bambini attraverso, appunto, i modelli adulti e i media.
Le bambine e i bambini mostrano,
fin dalla primissima infanzia, un interesse attivo a conoscere e ad apprendere le
categorie sociali e a comprendere il modo in cui utilizzarle per poter acquisire un
posto nel sistema di categorizzazione usato dal proprio gruppo sociale. È per questo
motivo che le bambine e i bambini apprendono molto presto anche alcuni stereotipi
socialmente condivisi e vi si affidano, rendendoli inizialmente molto resistenti al
cambiamento. Le prime distinzioni categoriali che bambine e bambini, anche molto
piccoli, percepiscono e utilizzano con competenza sono quelle relative a genere, età ed
etnia [Bigler e Liben 1992; Nelson 2009]. In particolare, la consapevolezza delle
bambine e dei bambini delle caratteristiche tipiche di sesso e genere interviene
piuttosto precocemente. Già molto prima del compimento dell’anno di vita bambine e
bambini sanno discriminare volti (3-4 mesi) e voci (6 mesi) femminili e maschili [Quinn
et al. 2002]. Intorno ai 10 mesi le bambine e i bambini
stabiliscono associazioni stereotipiche tra visi di uomini e donne e oggetti
gender-typed [Levy e Haaf 1994].
Alcuni studi dimostrano che tra i
18 e i 24 mesi le bambine e i bambini possiedono la capacità di riconoscere l’identità
sessuale propria e degli altri e sanno etichettare linguisticamente i maschi e le
femmine, mostrando così l’acquisizione della consapevolezza del genere come categoria
[Martin e Ruble 2009]. Tra i 2 anni e mezzo e i 3 anni la categoria di genere è
utilizzata dalle bambine e dai bambini attivamente e con competenza [Yee e Brown 1994].
L’acquisizione graduale e crescente
della consapevolezza di appartenere a un determinato gruppo sociale è un fattore
importante nel processo di sviluppo del concetto del sé, che inizia nella prima infanzia
e prosegue nel corso dell’adolescenza e dell’età adulta. La costruzione del concetto del
¶{p. 129}sé, infatti, si muove tra il piano del sé personale (sé come
diverso dall’altro) e il piano del sé sociale (sé come connesso all’altro). Il sé
sociale si sviluppa anche attraverso la crescente consapevolezza della propria
appartenenza a particolari categorie sociali (distinte sulla base del genere, dell’etnia
ecc.). Tale consapevolezza, implicando un’identificazione con alcune categorie rispetto
ad altre, attiva processi valutativi che conducono a esprimere giudizi maggiormente
positivi nei confronti dei membri della categoria di appartenenza [Ruble et
al. 2006].
Nel caso specifico della
categorizzazione di genere, già prima di acquisire una consapevolezza della costanza di
genere, le bambine e i bambini esprimono una preferenza per le persone del proprio sesso
e, dunque, si assiste a un conseguente e progressivo processo di segregazione. Tra i 5 e
gli 8 anni si manifestano da parte di bambine e bambini (nel caso del genere più da
parte delle bambine che dei bambini) atteggiamenti particolarmente centrati sul gruppo
[Brown 2010]. Gli stereotipi cominciano ad acquisire una certa flessibilità intorno ai
10 anni [Signorella, Bigler e Liben 1993]. Tuttavia, le associazioni stereotipiche e la
discriminazione intergruppo che ne consegue permangono anche in età adulta,
manifestandosi attraverso il fenomeno del sessismo ambivalente [Glick e Rudman 2013].
I media, e in particolare la
letteratura per bambine e bambini, ragazze e ragazzi, attraverso le rappresentazioni
sociali che offre, è uno degli agenti socio-culturali più rilevanti che intervengono nel
processo della costruzione della consapevolezza e della socializzazione dei ruoli di
genere [Gianini Belotti 1973; Blakemore, Berenbaum e Liben 2009]. Fin dagli anni ’70,
negli Stati Uniti e in Europa, numerose sono state le riflessioni su questo tema. Le
ricerche e gli studi convergono almeno su un paio di dati interessanti: il primo è che
nei libri per bambine e bambini sono rappresentate molte più figure maschili che
femminili (sia umane sia animali); il secondo è che sia le figure adulte sia le figure
infantili sono frequentemente rappresentate in modo stereotipato rispetto al genere. In
particolare, le figure maschili sono generalmente impegnate in occupazioni di
¶{p. 130}diverso tipo, che prevedono per lo più abilità e competenze di
alto livello, mentre le figure femminili sono molto spesso impegnate nella cura degli
altri, soprattutto i familiari, e raramente sono rappresentate in ambienti esterni
all’abitazione. I bambini sono quasi sempre raffigurati in ambienti esterni, impegnati
in giochi di movimento, di avventura e in attività di risoluzione di problemi, mentre le
bambine sono ritratte spesso nel contesto domestico e impegnate in giochi di ruolo
nell’interpretazione di mansioni domestiche e di cura [Weitzman et
al. 1972; Béreaud 1974; Giani Gallino 1973; Gianini Belotti 1978].
A partire dal movimento femminista
degli anni ’60 e ’70 e dai conseguenti cambiamenti della figura della donna nel contesto
sociale, la presenza femminile nei libri per la prima infanzia è gradualmente aumentata
e la rappresentazione stereotipata dei ruoli di genere è stata leggermente
ridimensionata. Ancora oggi, tuttavia, le ricerche mostrano che permangono ancora
differenze sostanziali sia in termini di presenza/assenza sia in termini di
rappresentazione dei ruoli [Spitz 1999; Brugeilles, Cromer e
Cromer 2002; Turin 2003; Biemmi 2010; Chabrol Gagne 2011;
Fierli et al. 2015; Corsini e Scierri 2016].
In particolare, da alcuni degli
studi sul tema, emerge che la rappresentazione di bambine, ragazze e donne è meno
stereotipata, mentre poco è cambiato relativamente alla raffigurazione di bambini,
ragazzi e uomini. La figura paterna è rappresentata più frequentemente, tuttavia i papà
compaiono spesso da soli, all’interno di storie a loro dedicate, nelle quali agiscono in
un’aura di straordinarietà. Resta costante il dato sulla rappresentazione delle figure
maschili impegnate nello svolgimento di attività che vengono considerate tipicamente
femminili (per esempio i lavori domestici o la cura dei bambini) [Evans e Davies 2000;
Diekman e Murnen 2004; Francis et al. 2018].
La letteratura e l’attività di
lettura possono assumere, nel caso delle rappresentazioni sociali, una funzione di
ribaltamento di modelli precostituiti, di decostruzione degli stereotipi e di riduzione
del pregiudizio e quindi rappresentare un contesto accogliente, inclusivo, rispettoso
delle ¶{p. 131}differenze, che promuove la costruzione di identità
libere da etichette socialmente imposte, solo se tengono presenti alcune questioni.
3. Per una lettura ad alta voce condivisa inclusiva
Il metodo della lettura ad alta
voce condivisa è, di per sé, un metodo che promuove una pratica educativa democratica,
inclusiva, equitativa. Le caratteristiche di quotidianità, sistematicità, intensità,
progressività che il metodo propone, sembrano mettere in condizione la lettura di
fornire un vantaggio maggiore proprio a chi ne ha più bisogno. La lettura, infatti, è
un’attività a «soglia bassa», vale a dire è un’attività che non richiede il possesso di
determinate abilità o determinati livelli di competenza e che consente diversi livelli e
modalità di accesso e di fruizione [Batini 2021] e, se praticata con la mediazione di un
adulto, con costanza nei contesti educativi, può produrre un beneficio per tutte e
tutti, anche in un gruppo disomogeneo, soprattutto per gli individui più fragili.
Per rafforzare questo suo potere,
la lettura ad alta voce condivisa deve porre un’attenzione specifica ad almeno due
aspetti: il processo di scelta di ciò che si legge insieme e il processo di mediazione e
di conduzione della conversazione che nasce dalla condivisione dell’attività di lettura
tra le ascoltatrici e gli ascoltatori.
Certamente la scelta del lettore
deve essere consapevolmente motivata e richiede una costante riflessione e un continuo
aggiornamento e accrescimento delle proprie competenze, un’attenzione alle proposte
editoriali, una permanente condivisione e negoziazione con i colleghi e le colleghe
[Chambers 1993]. Ma, soprattutto, la scelta del lettore deve orientarsi verso la
bibliovarietà [Batini 2022], muovendosi attraverso una molteplicità di proposte che
garantisca un’ampia varietà di protagonisti (dal punto di vista delle caratteristiche
fisiche, del genere, dell’orientamento sessuale, della provenienza culturale, delle
visioni del mondo, della posizione socio-economica, delle abilità, dei
¶{p. 132}modelli familiari ecc.), di vicende rappresentate
(relativamente ai problemi che affrontano, alle strategie che usano, alle soluzioni che
trovano, alle modalità di relazione che hanno i protagonisti e a luoghi, spazi e tempi
della storia), di forme narrative, di generi letterari, di linguaggi e di stili.
L’attenzione alla varietà garantisce la possibilità del duplice e complementare
movimento dell’identificazione e della spinta ad aprirsi a possibilità diverse. Da una
parte, infatti, è certamente opportuno che le bambine e i bambini abbiano sempre la
possibilità di identificarsi con i protagonisti, di ritrovarsi nelle loro storie, di
condividere le loro esperienze, di sentire le loro emozioni. Il senso di familiarità è
rassicurante e consente ad ascoltatrici e ad ascoltatori di ri-conoscere sé stessi e di
attribuire significato alle proprie esperienze. Bambine e bambini devono poter
incontrare storie «scritte proprio» per loro [ibidem],
sperimentando una letteratura del riconoscimento e dell’appartenenza che ne esprime la
funzione pacificatoria [Chambers 2020]. Per far sì che ogni bambina e ogni bambino
trovino la storia scritta apposta per sé, è necessario proporre tante storie, differenti
personaggi, diverse situazioni narrative, molteplici contesti. La varietà e le plurali
combinazioni di tali elementi consentono alle bambine e ai bambini di non ridurre
automaticamente e obbligatoriamente l’immagine di sé a un modello fisso, predeterminato
e condiviso socialmente, ma di poter scegliere e poter ritrovare tra le numerose
proposte, l’immagine in cui potersi rispecchiare. Si tratta di gettare «sassi nello
stagno» e sollecitare le private leggi di decodifica di ogni ascoltatrice e di ogni
ascoltatore [Rodari 1973], che conducono alla produzione di caleidoscopiche
interpretazioni personali e collettive delle storie.
D’altra parte, tuttavia, è
altrettanto importante sfruttare la funzione sovversiva della letteratura [Taibo II
2006; Chambers 1993] che, nella sua capacità di proporre rappresentazioni della
complessità della realtà, offre uno strumento potente di comprensione del mondo in tutte
le sue possibili declinazioni. La letteratura, infatti, si fa carico di rappresentare la
molteplicità delle relazioni e la sua grande sfida è il saper tessere insieme i diversi
saperi e i diversi codici in
¶{p. 133}una visione plurima, sfaccettata
del mondo, rappresentando un modello della rete e della moltiplicazione dei possibili
[Calvino 1993].