La lettura ad alta voce condivisa
DOI: 10.1401/9788815410238/c4
Capitolo quarto
Letture oltre il genere: lettura per tutt*di Giordana Szpunar
Notizie Autori
Giordana Szpunar è professoressa associata di Pedagogia generale e sociale
nel Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione
della Sapienza. È presidente del Corso di studi in Scienze della formazione
primaria e insegna Pedagogia interculturale nei Corsi di studio pedagogici.
I suoi principali temi di ricerca riguardano l’educazione alla differenza in
una prospettiva inclusiva, la riduzione del pregiudizio nei contesti
educativi, la formazione di abiti riflessivi per la democrazia.
Abstract
L’invenzione della lettura, che risale a qualche migliaio di anni fa, ha
determinato una riorganizzazione del cervello che ha comportato, a sua volta,
l’evoluzione intellettuale della specie fino allo stato attuale. Tale evoluzione è
stata possibile solo grazie alla capacità del cervello umano di modellarsi in base
all’esperienza e, di conseguenza, di combinare collegamenti nuovi tra strutture
preesistenti. La scelta di ciò che si legge, infatti, influenza in buona misura la
costruzione dell’identità delle bambine e dei bambini. Si pensi, ad esempio,
all’identità di genere. Il processo di strutturazione dell’identità di genere è il
risultato complesso dell’interazione tra fattori biologici, cognitivi e
socio-culturali. Le bambine e i bambini mostrano, fin dalla primissima infanzia, un
interesse attivo a conoscere e ad apprendere le categorie sociali e a comprendere il
modo in cui utilizzarle per poter acquisire un posto nel sistema di categorizzazione
usato dal proprio gruppo sociale. processi narrativi integrano tipi di pensiero
diversi: coinvolgono processi di rispecchiamento, di comprensione emotiva, di
attivazione empatica e processi lineari che utilizzando il linguaggio creano una
rappresentazione e un’interpretazione ordinata e causale. Una comprensione narrativa
può dirsi efficace in presenza di una coordinazione tra diversi punti di vista
interpretativi e tra diversi processi cognitivi, automatici e riflessivi, lenti e
veloci, che integri le attività dei due emisferi e utilizzi le specifiche risorse
provenienti dai racconti già esistenti. Chi legge, dunque, è chiamato a mediare la
conversazione in modo tale da garantire e potenziare le caratteristiche precipue di
una comunità di ricerca. Se la lettura scelta è accessibile e la mediazione del
lettore è attenta, la comunità di ricerca che si crea in un’attività di lettura ad
alta voce è un organismo di per sé democratico e inclusivo, perché tutti e tutte
possono partecipare alla condivisione dell’esperienza collettiva a partire dalla
propria.
1. Non siamo nati per leggere, ma siamo quello che leggiamo
Non siamo nati per leggere. Su
questo aspetto la ricerca e la letteratura presentano, ormai, dati incontrovertibili.
L’invenzione della lettura, che risale a qualche migliaio di anni fa, ha determinato una
riorganizzazione del cervello che ha comportato, a sua volta, l’evoluzione intellettuale
della specie fino allo stato attuale. Tale evoluzione è stata possibile solo grazie alla
capacità del cervello umano di modellarsi in base all’esperienza e, di conseguenza, di
combinare collegamenti nuovi tra strutture preesistenti. Una plasticità che è alla base
di gran parte di ciò che siamo e di ciò che possiamo diventare [Wolf 2007]. In
particolare, il processo di apprendimento della lettura, grazie al meccanismo del
«riciclaggio neuronale», riutilizza una serie di aree cerebrali inizialmente dedicate
alla visione e alla lingua parlata. Quando si impara a leggere, il cervello si organizza
in modo che le regioni visive riconoscano le sequenze di lettere e le indirizzino verso
le aree del linguaggio: le parole lette sono trattate come le parole pronunciate. Non ci
sono geni specifici che ci mettono nella condizione di saper leggere. Dunque, il bambino
e la bambina, per acquisire la capacità di riciclare le funzioni destinate alla visione
e al linguaggio e imparare a leggere, devono ripercorrere tutto il processo che ha
portato la nostra specie a riorganizzare i circuiti neuronali del cervello in funzione
della lettura. E per far questo, devono beneficiare di un ambiente e di condizioni
particolarmente favorevoli. L’infanzia è un periodo dello sviluppo particolarmente
efficace per imparare a leggere perché la corteccia visiva, evolutasi per imparare
¶{p. 124}a riconoscere le immagini e ad adattarsi alla loro forma, è
ancora molto flessibile: basta esporla alle parole scritte per permetterle di adattarsi
e riciclarsi in vista dell’attività di lettura. Man mano che si cresce, automatizzare il
riconoscimento delle lettere e delle loro combinazioni diventa sempre più difficile
perché la corteccia visiva cessa gradualmente di modificarsi. Imparare a leggere da
adulti comporta, invece, tempi più lunghi perché il processo è molto più lento e la
stessa modalità di lettura tende a rimanere, nel tempo, quella di un principiante
[Dehaene 2019].
Nonostante non siamo nati per
leggere, la ricerca in ambito biologico, psicologico, neuroscientifico, filosofico
converge nell’affermare che il cervello dell’essere umano è caratterizzato da una
struttura narrativa. Una persona adulta esperisce e comprende la propria vita come una
raccolta più o meno integrata di storie, una narrazione [Gallagher 2011]. L’io di una
persona è la molteplicità delle storie che racconta di sé e della propria vita e,
dunque, non può essere nettamente separato dalla propria autointerpretazione e dai
processi di immaginazione richiesti per esplorare e dare forma alla rete di storie che
viene narrata [Zahavi 2006]. La questione su cui ci si sta interrogando negli ultimi
anni è quale impatto possono avere le narrazioni esterne di natura sociale, anche di
tipo finzionale, sul sé narrativo [Consoli 2018]. Le ricerche mostrano che la narrazione
finzionale influenza le credenze riferite al mondo reale [Marsh, Meade e Roediger 2003]
e le credenze relative al sé [Djikic et al. 2009], modifica gli
atteggiamenti e i comportamenti prosociali [Bal e Veltkamp 2013; Johnson 2012], facilita
l’attivazione dell’empatia cognitiva e della capacità di comprendere l’altro [Kidd e
Castano 2013], promuove la riduzione del pregiudizio [Vezzali et
al. 2015].
La narrazione ha, inoltre, una
relazione privilegiata con il linguaggio. E il linguaggio «costituisce una vera e
propria metamorfosi del pensiero» [Smorti 2018, 322]. È proprio il linguaggio, infatti,
che ci consente di contraddistinguere, selezionare e precisare significati specifici e
individuali, ma anche di raggrupparli nei loro rapporti reciproci.
Il potere delle parole consiste
dunque, nella loro capa¶{p. 125}cità di rinviare agli oggetti e alle
esperienze che consentono di comprenderle, vale a dire, nella loro capacità di tenere
insieme significante e significato. Le parole sono potenti, plasmano e motivano il
nostro comportamento. In questo senso possiamo affermare che il linguaggio è
magico [Chambers 2020]. La lingua, oltre a permetterci di
comunicare con gli altri, ci consente di definirci e di descrivere il mondo. Da un lato,
le parole sono atti di identità ed esprimono le caratteristiche che ci
contraddistinguono come persone nella nostra individualità e come parte di gruppi
sociali diversi. Dall’altro, ci consentono di descrivere la realtà mettendone in luce
aspetti diversi e quindi restituendone interpretazioni differenti (si pensi, ad esempio,
ai sinonimi). Allo stesso tempo, le parole condizionano il modo stesso in cui vediamo la
realtà. In questo senso, la competenza nel padroneggiare le parole e la lingua rende
libere e liberi, poiché ci permette di partecipare pienamente e in modo soddisfacente
alla società della comunicazione [Gheno 2019] e di dar voce alle nostre fantasie, alle
nostre emozioni, ai nostri pensieri, alle nostre esperienze passate, presenti e future.
E, dunque, torniamo all’importanza delle narrazioni: «la lingua è il dio che ci crea»,
perché la usiamo per costruire le storie che rappresentano le nostre idee su chi siamo e
su cosa possiamo diventare. Allora non è sufficiente avere un’esperienza per cambiare e
per formarsi, ma è necessario narrarla, raccontare la storia di quell’esperienza. Finché
non diamo forma alla nostra vita in un racconto strutturato, non possiamo comprendere il
significato delle esperienze che abbiamo vissuto. La narrazione è uno strumento
fondamentale di comprensione e di interpretazione del mondo e la letteratura ci permette
di esplorare e ricreare i significati dell’esperienza umana, nella sua complessità,
singolarità e diversità: siamo ciò che leggiamo [Chambers 2020].
Rispetto alla lettura individuale,
la lettura ad alta voce condivisa possiede una caratteristica fondamentale: la relazione
con il lettore e con il gruppo sociale degli ascoltatori e delle ascoltatrici. Nella
lettura ad alta voce le ascoltatrici e gli ascoltatori sviluppano un senso di
appartenenza a una comunità: una comunità che partecipa a un’esperienza
col¶{p. 126}lettiva, che condivide esperienze immaginarie, che negozia
significati comuni.
Il processo di comprensione del
mondo, dunque, è strettamente legato alla narrazione e la lettura ad alta voce condivisa
rappresenta uno degli strumenti più potenti per promuoverlo: nella dimensione della
narrazione e nelle attività di lettura ad alta voce il bambino e la bambina imparano a
connettere esperienze, a prevedere conseguenze, a fare deduzioni, a rendersi conto di
una mancata comprensione, a riconoscere che ogni nuova scoperta può sovvertire la
conoscenza acquisita [Wolf 2007]. E questo processo è fortemente supportato dalla
mediazione dei riferimenti adulti (insegnanti, genitori), che promuove la produzione di
domande e accompagna la co-costruzione delle risposte, e dal confronto con i pari, che
apre alla possibilità di appropriarsi di molteplici interpretazioni e punti di vista
diversi per leggere e rileggere la realtà e il sé.
2. Il lettore che sceglie: da un grande potere derivano grandi responsabilità
La letteratura sul tema ci dice
chiaramente che, nell’organizzare un’attività di lettura ad alta voce, è necessario che
il lettore non si improvvisi, ma presti particolare attenzione a una serie di elementi
fondamentali. L’attività di lettura deve essere progettata con grande accuratezza: il
lettore deve fare in modo che ogni ascoltatrice e ogni ascoltatore facciano esperienza
della «zona di lettura», vale a dire di quella particolare condizione psicofisica che
ogni persona può sperimentare quando si immerge completamente in un libro [Atwell e
Atwell Merkel 2016].
È importante la cura di alcuni
elementi di contesto che favoriscano una lettura piacevole, serena, rilassata. In
particolare, è necessario predisporre uno spazio comodo, accogliente e sicuro e
prevedere l’uso di un tempo sufficiente, che permetta agli ascoltatori e alle
ascoltatrici di immergersi nella «condizione di auralità» rappresentata dallo spazio
particolare che si produce in un gruppo esposto alla ¶{p. 127}lettura ad
alta voce e che consenta anche di prospettare una continuità, un ritmo, una regolarità
dell’attività. Anche la scelta di cosa leggere richiede una particolare attenzione. Una
delle questioni più importanti riguarda l’aspetto della progressività: le letture
iniziali devono rispondere ai bisogni immediati e agli interessi degli ascoltatori e
delle ascoltatrici, devono essere accessibili dal punto di vista linguistico e
proporzionate alle capacità di attenzione, per garantire che lo spazio di lettura sia
inclusivo, per poi diventare gradualmente sfidanti, tanto da garantire una crescita
costante [Cardarello 2004; Chambers 1993; Batini 2022].
La possibilità di scegliere cosa
leggere rappresenta, inoltre, un grande potere perché, come si è detto, cosa leggiamo
stimola, orienta, forma, trasforma chi ascolta. E questo potere porta con sé grandi
responsabilità, soprattutto quando si lavora in contesti popolati da ascoltatrici e
ascoltatori giovani e molto giovani, per esempio nei contesti scolastici. La scelta di
ciò che si legge, infatti, influenza in buona misura la costruzione dell’identità delle
bambine e dei bambini. Si pensi, ad esempio, all’identità di genere. Il processo di
strutturazione dell’identità di genere è il risultato complesso dell’interazione tra
fattori biologici, cognitivi e socio-culturali [Ruble, Martin e
Berenbaum 2006; Blakemore, Berenbaum e Liben 2009].
Secondo la ricerca che valorizza
gli aspetti socio-culturali, la costruzione e la strutturazione dell’identità di genere
è da ascrivere principalmente alle numerose influenze presenti nel contesto sociale: la
famiglia e il gruppo degli adulti di riferimento (parenti, insegnanti ecc.) che
rappresentano modelli di ruolo, esibiscono aspettative, attivano atteggiamenti
incoraggianti o scoraggianti [Fagot, Rodgers e Leinbach 2000]; il gruppo dei pari che
attraverso la segregazione di genere produce «culture separate» [Maccoby 1998]; i
giocattoli, i media (libri, televisione, videogiochi, internet), il linguaggio che
veicolano in modo esplicito o implicito messaggi stereotipici [Kinder 1999; Signorielli
2001]. Tale considerazione incrocia la spiegazione dello sviluppo dell’identità di
genere da una prospettiva cognitiva: i processi cognitivi individuali, e sostanzialmente
impliciti e inconsapevoli, di
¶{p. 128}categorizzazione organizzano lo
sviluppo dell’identità di genere, poiché influenzano in modo decisivo le aspettative e i
ricordi delle bambine e dei bambini, il modo in cui elaborano i loro giudizi sociali e
il modo in cui si comportano [Bussey e Bandura 1999]. Le categorie sociali vengono poi
via via sviluppate da bambine e bambini attraverso, appunto, i modelli adulti e i media.