La lettura ad alta voce condivisa
DOI: 10.1401/9788815410238/c3
La concentrazione richiesta dalla
lettura, esclusiva ed escludente, oltre a richiedere un grande dispendio di tempo e di
energie, mette a repentaglio l’incolumità di chi legge, isolandolo e rendendolo
vulnerabile. Attività pericolosa e antieconomica, la lettura – qualunque sia il motivo
che spinge a praticarla – è sempre «basata su un interesse utilitario», afferma
Spinazzola [2001, 40], nel senso che «se io leggo un libro, lo faccio perché penso di
trarne un vantaggio, un arricchimento della mia vita interiore, che mi ripaghi del tempo
e delle energie spese leggendo».
¶{p. 108}
Tuttavia, sulla scorta delle
riflessioni teoriche di Louise Rosenblatt [1994, 22-47] possiamo individuare almeno due
distinti approcci alla lettura, che dipendono dalla natura e dalla conformazione dei
testi, che contengono al loro interno o nel peritesto editoriale le istruzioni relative
al loro possibile uso, ma anche se non soprattutto dalla situazione comunicativa, dagli
interessi in gioco e dal sistema di valori e di credenze dell’io leggente: una lettura
efferente, durante la quale l’attenzione di chi legge è
focalizzata su ciò che dovrà rimanere dopo la lettura (e quindi, letteralmente,
conduce fuori dal qui e ora della lettura) e una lettura
estetica, che si realizza quando chi legge – oppure, nel nostro
caso, ascolta – è interessato a ciò che accade durante la fruizione, nel qui e ora
dell’esperienza che sta vivendo. Se lo studio, la ricerca di informazioni o, anche, il
commento e l’interpretazione dei testi, sono pratiche che richiedono e sollecitano una
lettura efferente, la lettura ad alta voce condivisa – specialmente se accompagnata da
riti e atteggiamenti che contribuiscano a dare valore al momento della fruizione e
all’immersione nella storia [Batini e Giusti 2021a; 2022] – richiede e sollecita una
lettura estetica che trova il suo senso e la sua motivazione nel momento stesso
dell’esecuzione.
Quando per descrivere una nostra
esperienza di lettura ricorriamo alla metafora del viaggio o dell’immersione, è molto
probabile che stiamo facendo riferimento a una lettura avvenuta in modalità estetica,
durante la quale abbiamo sperimentato quella sensazione di spostamento o trasferimento
che ci ha consentito di visualizzare personaggi e ambienti, di provare emozioni e, anche
in presenza di emozioni negative come la paura, la rabbia o il disgusto, di valutare
positivamente l’esperienza e di scegliere di rimanere lì dentro, ancorati al dispositivo
testuale, attivamente impegnati in quell’opera di co-creazione [Raimondi 2007, 65] che
ci mette di fronte all’imprevisto e ci spinge ad assumere un atteggiamento ispettivo, a
fare ipotesi e cercare di avvalorarle rimanendo il più a lungo possibile nella realtà
finzionale del mondo narrato [Jedlowski 2013, 21].¶{p. 109}
Non occorre essere individui
speciali per compiere questo tipo di esperienza, né occorre aver ricevuto un particolare
addestramento – diversamente dalla lettura in sé, in quanto decodifica e comprensione di
un qualsiasi testo scritto, che richiede anni e anni di duro allenamento – poiché è
strettamente correlata a una delle capacità fondamentali dell’essere umano, il
decoupling (disaccoppiamento o sganciamento) [Barkow, Cosmides
e Tooby 1992], che consiste nella «capacità di elaborare informazioni non legate alla
contingenza, distanti dunque dal reale e allocate in uno spazio immaginale, finzionale,
al fine magari di disattivarne le insidie nascoste, i pericoli reali» [Cometa 2017, 93],
che ha origini antichissime nella storia dell’umanità e viene esercitata fin dalle prime
fasi dello sviluppo, quando la bambina e il bambino, già intorno alla fine del secondo
anno di vita, diviene capace di usare il gioco in forma simbolica, imparando dunque a
«rappresentare realtà possibili» e poi, in forma sempre più strutturata e complessa, a
raccontare storie [Smorti 2022, 52-53].
Il racconto che abbiamo iniziato a
leggere – che sia stato o meno creato per questo scopo – ci ha dunque offerto degli
appigli, ci ha trascinati lì dentro, costringendoci a impegnarci in un corpo a corpo che
costa fatica, tempo, energie. Ora si tratta di capire perché siamo rimasti così a lungo
là in basso, nelle viscere del mondo narrato, al punto da aver fatto perdere le nostre
tracce a chi ci sta aspettando là fuori. Supponendo che quella lettura non ci sia stata
ordinata e che non serva a ricavare informazioni utili allo svolgimento di una qualsiasi
ulteriore attività, dobbiamo allora ipotizzare che, grazie a quelle capacità cognitive
che sono state messe in moto dal dispositivo testuale, stiamo facendo una lettura
estetica che ci gratifica durante il suo stesso svolgimento, proprio attraverso la
mobilitazione di risorse comuni, che sono nella disponibilità di ciascun individuo della
nostra specie e che vengono attivate in determinate situazioni, spesso, ma non
necessariamente, in presenza di opere d’arte [Schaeffer 2015, 52-54]: pitture, statue,
poemi, ma anche abiti, gioielli, romanzi, albi illustrati ecc.¶{p. 110}
Tutto inizia con una «inflessione
particolare dell’attenzione» [Schaeffer 2009, 20], una modalità attenzionale orientata
esteticamente, che si differenzia dalla standard per alcune caratteristiche che il
filosofo e teorico della letteratura Jean-Marie Schaeffer [2015] ha puntualmente
descritto a partire dalle argomentazioni di Nelson Goodman [1968] e dalle ricerche
condotte nell’ambito della psicologia cognitiva e che possono essere sintetizzate con i
concetti di superinvestimento attenzionale [Schaeffer 2015, 77] – ovvero la
disponibilità a intensificare gli sforzi di attenzione – e di «polifonia», cioè la
possibilità di implicare e di far interagire differenti livelli, strati e modalità di
focalizzazione dell’attenzione [ibidem, 90-99]. Più precisamente,
senza addentrarsi nelle sue documentate argomentazioni, Schaeffer sembra confermare le
tesi di Rosenblatt sull’esistenza di differenti modalità di attenzione, più o meno
esteticamente orientate, che si traducono in comportamenti e strategie cognitive
differenti, tutte socialmente marcate, che vengono scelte da ciascun individuo in base
ai contesti e ai propri bisogni. Impegnarsi in un’esperienza estetica, quindi, equivale
ad adottare uno stile attenzionale particolare che Schaeffer
[ibidem, 104] definisce divergente e che, in opposizione allo
stile convergente, che minimizza i costi attenzionali per andare subito a ricavare le
informazioni pertinenti, si caratterizza per una categorizzazione ritardata e per un
maggiore dispendio di energie, che si rende particolarmente necessario soprattutto nel
caso della lettura della poesia [Schaeffer 2011, 83-87].
Gli sforzi richiesti dall’esperienza
estetica non sono poi alleggeriti dal fatto che l’attenzione sia legata a esperienze
emotive intense e, in termini energetici, altrettanto dispendiose. Si tratta, anche in
questo caso, di risorse che vengono impiegate dal soggetto – l’io leggente – e che
contribuiscono a rendere possibile un’attenzione sempre più intensa e ad aumentare di
conseguenza il dispendio complessivo di energia richiesta all’organismo per rimanere
ancorato al testo. Capita, durante la lettura, di assistere a un’improvvisa attivazione
fisiologica che incide sulla frequenza cardiaca, sul ritmo respiratorio, la pressione
sanguigna, ma anche sulla mimica facciale, sulla postura, fino a provocare riso o
pianto, ma ¶{p. 111}senza mai tradursi in comportamenti e in reazioni
utili a fronteggiare problemi o situazioni in cui sarebbe necessario agire. Nella vita
di tutti i giorni, infatti, le emozioni preparano l’azione, mentre nell’esperienza
estetica, pur mantenendo intatta la loro forza, non si traducono in comportamenti
[Schaeffer 2015, 164]. Ma se al di fuori del contesto estetico, infatti, il costo
dell’investimento attenzionale e dell’attivazione emotiva vengono ricompensati
dall’utilità strumentale dell’attenzione e delle emozioni, che contribuiscono a rendere
reattivo il soggetto, perché mai durante l’esperienza estetica la persona dovrebbe
proseguire un viaggio considerato allo stesso tempo dispendioso e inutile, fonte
potenziale di stress e di emozioni negative?
Per comprendere meglio a chi giovi
questo spreco di energie che l’individuo deve affrontare mentre orienta esteticamente la
sua attenzione nei confronti di un’opera d’arte come un romanzo – che d’altronde
potrebbe essere letto anche non esteticamente, senza tanto dispendio di risorse
cognitive ed emotive, per andare alla ricerca delle risposte a un esercizio di analisi
del testo o per ricavare le informazioni necessarie a rimanere aggiornati sugli usi e
costumi del proprio tempo – dobbiamo introdurre il concetto di piacere, un termine
apparentemente semplice e condiviso da molte teorie estetiche, con cui si tende a
spiegare il senso ultimo di un’esperienza estetica pienamente riuscita. Rimane da
risolvere il problema di come sia possibile applicare la categoria di piacere a
un’esperienza spiacevole come la frustrazione o la rabbia provate dall’io leggente di
fronte ad alcune pagine del suo romanzo.
Intanto, specifica ancora Schaeffer
[ibidem, 197], nell’ambito dell’esperienza estetica si deve
parlare di un piacere che viene prodotto dall’attività attenzionale nel momento stesso
in cui si sta svolgendo e non a posteriori, dopo la sua conclusione. Un po’ come accade
durante la degustazione di cibo o bevande, la modalità estetica dell’attenzione, per
essere sostenibile dall’organismo, deve essere accompagnata da una costante valutazione
positiva dei costi sostenuti. Questa valutazione – che interagisce in modo complesso e
inestricabile con il contesto di vita in cui avviene
l’espe¶{p. 112}rienza estetica e con le altre condizioni che determinano
il benessere o il malessere del soggetto, si fonda dunque su una misurazione istantanea,
non necessariamente accessibile alla coscienza – è indispensabile ma non sufficiente a
spiegare la complessità dell’apprezzamento estetico, che è correlato ad almeno tre
variabili: la fluenza, la curiosità e l’interesse [ibidem,
221-250], da intendersi sempre all’interno di un processo circolare, autoteleologico,
secondo cui l’attenzione è esercitata per sé stessa e non per ottenere una qualche
ricompensa esterna all’esperienza estetica.
Ciò non significa, ovviamente, che
questo tipo di esperienza non produca cambiamenti nei soggetti e che non abbia come
conseguenza degli apprendimenti significativi. Premesso che le opere letterarie, come
ogni opera d’arte, possono essere portatrici di valori e di conoscenze che non dipendono
dalla loro fruizione estetica, è necessario a questo punto del ragionamento tenere a
mente che l’esperienza estetica – e in particolare quella simulazione immersiva
sperimentata da chi partecipa alla lettura ad alta voce condivisa di un albo illustrato
o di un romanzo – è di per sé un’attività cognitiva che produce degli apprendimenti non
dichiarativi, impliciti [Schaeffer 2011; trad. it. 2014, 80], capaci di modificare
l’apparato percettivo dell’io leggente [Todorov 2007; trad. it. 2008, 70] con modalità e
processi cognitivi analoghi a quelli messi in atto durante l’apprendimento esperienziale
[Giusti 2020b]. Una forma di apprendimento che può essere praticata da ogni essere
umano, purché abbia iniziato fin dai primi giorni di vita a interagire con gli altri e
faccia parte di una comunità che attribuisce valore alla condivisione di storie,
all’ascolto reciproco e all’esercizio sistematico dell’attenzione in modalità estetica.
4. Un’esperienza di collaborazione
Se nell’ambito degli studi letterari
si tende a pensare che la realizzazione acustica di un’opera letteraria non faccia parte
della struttura dell’opera [Schaeffer 2015, 96], osservando il fenomeno dal punto di
vista dell’esperienza estetica
¶{p. 113}dobbiamo ammettere che la voce,
la situazione comunicativa e i modi stessi dell’ascolto diventano inseparabili, e che la
loro interpretazione è dunque pertinente e necessaria alla comprensione del fenomeno.