Federico Batini (a cura di)
La lettura ad alta voce condivisa
DOI: 10.1401/9788815410238/c3

Capitolo terzo La lettura ad alta voce come esperienza estetica
di Simone Giusti

Notizie Autori
Simone Giusti è ricercatore senior di Letteratura italiana e insegna Didattica della letteratura italiana nell’Università di Siena. Svolge attività di ricerca, di formazione dei docenti e di consulenza per agenzie formative, scuole, università. La sua ricerca si concentra sulla didattica della letteratura, sui processi di trasmissione e di traduzione delle opere della letteratura italiana e sull’educazione alla lettura e alla scrittura. È condirettore della rivista «Per leggere» e delle collane editoriali «QDR/Didattica e letteratura» (Loescher), «Storie per le persone e le comunità» (Franco Angeli). Tra le più recenti pubblicazioni Didattica della letteratura italiana. La storia, la ricerca, le pratiche (Carocci, 2023).
Abstract
È la voce ad attribuire un significato al libro, oggetto altrimenti inanimato, che grazie alla lettura diventa capace di dare forma al rapporto tra i corpi, di stabilire le distanze e di attirare sguardi e attenzione. Se nell’ambito degli studi letterari si tende a pensare che la realizzazione acustica di un’opera letteraria non faccia parte della struttura dell’opera, osservando il fenomeno dal punto di vista dell’esperienza estetica dobbiamo ammettere che la voce, la situazione comunicativa e i modi stessi dell’ascolto diventano inseparabili, e che la loro interpretazione è dunque pertinente e necessaria alla comprensione del fenomeno. Per indicare la pratica dell’ascolto condiviso di testi scritti si ricorre al concetto di auralità [Batini 2022, 22], a sottolineare l’importanza assegnata al suono della voce e quindi all’udito come canale privilegiato di accesso al dispositivo testuale e all’esperienza estetica. In attesa di ulteriori conferme da parte della ricerca empirica, possiamo provvisoriamente affermare che la scelta e la varietà dei libri proposti hanno un ruolo determinante sulla riuscita dell’esperienza estetica e, anche, sull’impatto della lettura ad alta voce condivisa, i cui effetti positivi sui processi cognitivi sono ampiamente documentati dalla ricerca educativa.

1. Un patto, per cominciare

Una persona tiene in mano un libro, l’osserva di sfuggita, poi si guarda intorno, apre il volume, gli occhi stavolta fissi sulla pagina. Almeno un’altra persona è in attesa, oppure è impegnata in altre attività, ma a un certo punto qualcosa accade e quest’ultima comincia a prestare attenzione, guarda e ascolta, protesa verso il libro e la bocca che sta per iniziare la pesca delle parole. A questo punto assistiamo a una peculiare situazione comunicativa, in cui il protagonista assoluto della scena è la voce, materia viva e consistente che scaturisce dal corpo: respiro che suona tra le corde vocali e inciampa, rallenta la sua corsa nella bocca, tra il palato, i denti e le labbra in movimento. È la voce ad attribuire un significato al libro, oggetto altrimenti inanimato, che grazie alla lettura diventa capace di dare forma al rapporto tra i corpi, di stabilire le distanze e di attirare sguardi e attenzione. Pensiamo a quanto la presenza di un libro modifichi la gestione dello spazio nei rapporti interpersonali (la prossemica), a quanto essa ci consente di raggiungere distanze straordinariamente intime che altrimenti non oseremmo. Una maestra potrebbe mettersi guancia a guancia col bambino se non ci fosse di mezzo un libro o un quaderno da leggere insieme? O, per usare un esempio letterario, Paolo avrebbe mai potuto violare lo spazio intimo di Francesca senza il libro galeotto?
Guardiamo adesso il movimento della mano sulle pagine del libro: ogni pagina è una scena che si muove sotto il tocco delle dita, è una pausa della voce e una ripresa del racconto ed è, soprattutto, una direzione verso cui continuare il {p. 104}cammino, da sinistra verso destra, pagina dopo pagina, e poi ancora da sinistra verso destra, dall’alto verso il basso. Uno parla e l’altro ascolta, osserva, ogni tanto reagisce, chiede con gli occhi, come le mani o con la bocca, ride sussulta, sospira; sempre più spesso interagisce al momento giusto, quando è il suo turno.
E se dovesse accadere di nuovo, come un rito, sempre alla stessa ora o nello stesso luogo, ciascuno imparerà a riconoscere i segni e a capire che sta per accadere di nuovo: il soffio della voce sul libro sta per sconvolgere l’ordinarietà del tempo e dello spazio quotidiani. Un patto si sta stringendo tra gli interlocutori: per un certo tempo e in un determinato spazio entrambi giocheranno lo stesso gioco, basato sulla voce e sull’ascolto, sul reciproco riconoscimento dei ruoli e sulla disponibilità a credere che valga la pena rimanere ancorati alle parole che la bocca va a pescare dalle pagine aperte.

2. Qui e altrove

Questa pratica di lettura condivisa [Batini 2022], che sinteticamente definiamo con l’espressione «lettura ad alta voce» – reading aloud in inglese – secondo cui una persona legge per gli altri, mettendo in comune i suoni e i significati di un determinato testo scritto, può essere considerata, ad alcune condizioni e se messa a fuoco dal punto di vista di chi è in ascolto, un’esperienza estetica, simile ma non identica a quella che sperimentiamo durante la lettura silenziosa di un romanzo:
Leggendo, calati nella logosfera del testo, ci si può persino sentire, a occhi aperti, immersi in un sogno più vero e più vivo della realtà circostante. E tuttavia questo spazio sono io a costruirlo, per animarlo lo reinvento di continuo partecipando del suo movimento nello specchio attivo dell’immaginazione [Raimondi 2007, 11-12].
Anche nel caso di ascoltatrici e ascoltatori prealfabeti – bambine e bambini del primo anno di una scuola dell’infanzia, per esempio – quel che accade non è poi così {p. 105}lontano da ciò che racconta Machiavelli al Vettori, quando nella lettera del 10 dicembre 1513 descrive con parole puntuali il «rituale magico della lettura, i piaceri e i benefici che essa dà» [Bulzoni 2019, 171]:
Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro [Machiavelli 1984, 426].
In una sua illuminante interpretazione della lettera, Lina Bulzoni [2019, 171-192] mette in evidenza come Machiavelli marchi una differenza rispetto alla tradizione del topos della lettura come dialogo con l’altro e di scoperta di sé, insistendo sulla «dimensione di radicale déplacement» di un rito quotidiano «che attraverso tappe successive realizza il trasferimento in un mondo altro» [ibidem, 172]. Pur nell’impossibilità di ricorrere alla memoria e all’introspezione – strumento principe dell’indagine ermeneutica – possiamo provare a immaginare che questo spostamento avvenga anche nel bambino imbambolato ad ascoltare la storia letta ad alta voce, oppure possiamo andare a cercare conferma di quest’ipotesi in quelle scienze cognitive che da tempo stanno indagando i modi e le condizioni di questa esperienza [Schaeffer 2015].
Di spostamento, nello specifico, o più esattamente di teoria dello spostamento deittico (deictic shift theory) tratta la poetica cognitiva [Stockwell 2002; Costa 2014], secondo cui la lettura di un testo letterario comporta da parte di chi legge, sulla base di specifiche indicazioni da rinvenire all’interno dello stesso dispositivo testuale, l’assunzione di una posizione cognitiva all’interno di un testo costruito mentalmente [Stockwell 2002, 46]. Pur rimanendo qui e {p. 106}ora, nell’attimo della percezione e della comprensione del testo, che può avvenire nelle condizioni più disparate, l’io leggente – termine elaborato da Spinazzola [2018, 7-9] per designare il lettore come persona singola, nella sua soggettività storicamente condizionata ma esistenzialmente irriducibile – indipendentemente dall’età e dalle condizioni sociali e, nel caso della lettura ad alta voce condivisa, anche se fosse analfabeta, compirebbe un trasferimento in un altro mondo, il mondo del testo [Stockwell 2002, 135], la cui costruzione avviene in modo incrementale, grazie alla partecipazione attiva di chi legge, in un movimento dinamico e rapidissimo (e per questo non pienamente accessibile alla coscienza) tra la memoria personale e le istruzioni presenti nel testo. Contemporaneamente qui e altrove, chi ascolta la storia letta ad alta voce è protagonista di uno spettacolo che sta avvenendo simultaneamente in aula e nella mente o, meglio, nel corpo dell’io leggente, poiché la lettura è un «atto incarnato» e ogni testo «è condannato a essere di per sé lettera morta e privo di significati se non viene assorbito da un essere umano che vive e respira» [Husvedt 2012; trad. it. 2014, 110]. Ogni racconto – inteso in senso narratologico [Genette 1972; trad. it. 1976, 73 ss.] – anche quello pronunciato durante una conversazione o letto nella cronaca cittadina di un quotidiano locale, senza scomodare i grandi capolavori dell’arte letteraria, può essere considerato uno dei tanti «dispositivi transizionali» che «ci permettono di transitare fra il mondo empirico nel quale stiamo attualmente e uno o più altri mondi possibili» [Jedlowski 2013, 21].
Quello che cambia, con la lettura ad alta voce, è l’uso del dispositivo: non più un testo da decodificare con lo sguardo nel silenzio di una stanza, ma una situazione complessa che vede compresenti, insieme al libro – oggetto tridimensionale colorato, anch’esso suscettibile di interpretazione – i corpi di compagni e compagne in ascolto, alcuni oggetti, altri libri e soprattutto il corpo in movimento di chi legge, la sua voce, le frasi pronunciate secondo quel tono, con quella determinata inflessione e con un ritmo che rendono unica ogni esecuzione e che contribuiscono a dare forma e senso all’esperienza in corso, frutto di uno straordinario e indi{p. 107}stinguibile miscuglio di suoni e di visioni, in un incessante andirivieni tra mondo narrato – rigorosamente incorporato nel soggetto leggente – e mondo del discorso, nel quale il soggetto si presenta in vesti dimesse, quasi assente, fantasmatico, eppure concentratissimo, anche quando sta guardando nel vuoto, tiene gli occhi chiusi o gioca distrattamente con un fazzoletto che tiene tra le mani.
Questo «spazio ibrido» [Batini e Giusti 2021b, 167], che esiste solo nello spazio e nel tempo di una relazione, produce un’apertura verso altri mondi e verso esperienze dagli esiti incerti.

3. La distanza, il sovraccarico, la ricompensa

Non è scontato che la lettura di una pagina ottenga il risultato di allontanare da sé e dal contesto l’io leggente, ma quando dovesse accadere ecco che il soggetto sembra andare alla deriva, prendendo le distanze da tutto e da tutti, come in questa poesia di Valerio Magrelli [2014, 38] tratta da una serie intitolata La lettura è crudele:
Trovarsi a fianco qualcuno assorto nella lettura,
mi porta a domandargli: dove sei?
Per questo cerco di cercarti dentro,
di raggiungerti dentro quel dentro
da cui mi sento irrimediabilmente escluso.
Per questo mi viene da chiederti:
perché non mi porti con te?
La concentrazione richiesta dalla lettura, esclusiva ed escludente, oltre a richiedere un grande dispendio di tempo e di energie, mette a repentaglio l’incolumità di chi legge, isolandolo e rendendolo vulnerabile. Attività pericolosa e antieconomica, la lettura – qualunque sia il motivo che spinge a praticarla – è sempre «basata su un interesse utilitario», afferma Spinazzola [2001, 40], nel senso che «se io leggo un libro, lo faccio perché penso di trarne un vantaggio, un arricchimento della mia vita interiore, che mi ripaghi del tempo e delle energie spese leggendo».
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