Territori in bilico
DOI: 10.1401/9788815374240/c4
Capitolo quarto
La dimensione locale e culturale dello sviluppo
sostenibiledi Ida Castiglioni, Matteo Colleoni e Sara Spanu
Abstract
La dimensione locale costituisce lo scenario più idoneo per l’elaborazione e la messa in pratica di strategie di sviluppo sostenibile, non solo perché coerenti anzitutto con la realtà territoriale nella quale produrranno effetti, ma anche perché a questa scala appare più verosimile poter incidere nella promozione di comportamenti, nuove abitudini e stili di vita, come, ad esempio, relativamente alle pratiche di spostamento quotidiano. Il capitolo prosegue delineando l’effettiva capacità delle amministrazioni e delle politiche locali In un Paese come l’Italia ricco di beni culturali materiali e immateriali e di bio-diversità territoriale, dove stiamo assistendo solo di recente a una maggiore pianificazione in termini di cultura e sostenibilità, attività che rimangono ancora fuori dalle tradizionali agende di pianificazione urbana di molte città.
1. Premessa
La necessità di ripensare lo
sviluppo in chiave di sostenibilità e durevolezza, mutuando
l’accezione francese del termine, inizia a farsi strada allorché gli eccessi generati da
un sistema di produzione di tipo accumulativo appaiono sempre più evidenti in uno
scenario di progressiva instabilità che coinvolge i Paesi più industrializzati del mondo
a partire dagli anni Settanta del XX secolo. Episodi come la crisi energetica del 1973,
unitamente al rallentamento della produzione e all’aumento dei prezzi delle materie
prime già in atto da alcuni anni, mettono in discussione la tenuta di un’idea di
sviluppo potenzialmente infinito.
In questa fase il concetto di
sviluppo tende, peraltro, a sovrapporsi e coincidere progressivamente con quello di
progresso e di crescita di tipo economico-industriale quale tratto peculiare dell’epoca
[Hettne 1986]. A rafforzare questa convergenza di significati fra sviluppo, progresso e
crescita incide la cosiddetta ideologia della modernizzazione fondata sulla fiducia
nella linearità del processo di sviluppo e, soprattutto, sull’inesauribilità delle
risorse naturali e sulla razionalità economica come forza capace di regolare i sistemi
economici, sociali e ambientali. Sotto questo profilo, al sistema
economico-industriale-tecnologico di impostazione taylorista/fordista è attribuita la
capacità di assicurare benessere nell’ambito di un circuito di accumulazione e consumo
di beni costante e inalterato.¶{p. 54}
Le voci critiche nei confronti
dell’ideologia della modernizzazione iniziarono a sollevarsi tutto sommato
tempestivamente rispetto ai primi segnali di crisi: si pensi che la pubblicazione del
Rapporto The Limits To Growth del 1972 precede di un solo anno lo
scoppio della crisi energetica e che per la prima volta si introduce la questione dei
limiti del Pianeta, con riferimento ai tassi di crescita dell’industrializzazione,
dell’inquinamento, della popolazione, della produzione di cibo e dello sfruttamento
delle risorse [Meadows et al. 1972]. Proprio sul rapporto fra
ambiente e sviluppo in quello stesso anno si celebra a Stoccolma la Conferenza
sull’Ambiente delle Nazioni Unite che delinea «prospettive e principi comuni al fine di
ispirare e guidare i popoli del mondo verso una conservazione e miglioramento
dell’ambiente umano» [Un 1973, 3].
Com’è noto, occorreranno 15 anni
prima di giungere a una definizione più chiara dei contorni entro i quali immaginare un
nuovo e diverso modello di sviluppo da perseguire, cioè capace di soddisfare i bisogni
del presente senza compromettere quelli futuri [Wced 1987]. Un’indicazione di metodo che
solleva almeno due ordini di problemi: il primo, di tipo inter-generazionale, perché
riguarda la garanzia di pari opportunità nella fruizione delle risorse da parte delle
generazioni future; la seconda, di tipo infra-generazionale, perché rimanda alla
necessità di stabilire oggi le condizioni necessarie per consentire l’accesso alle
risorse indipendentemente dalla localizzazione geografica. In altre parole, se
l’obiettivo è perseguire uno sviluppo equo, il percorso appare ancora oggi complesso in
rapporto a una moltitudine di questioni aperte. Fra queste, ad esempio, le modalità
attraverso cui perseguire concretamente un diverso sviluppo economico, così come
l’adozione di stili di vita quotidiani alternativi che sottraggono la sostenibilità da
scenari vaghi e di incerta applicazione.
2. La rilevanza locale della sostenibilità
Uno degli elementi in grado di dare
concretezza al progetto della sostenibilità chiama in causa la dimensione
¶{p. 55}territoriale dei programmi e degli interventi. In particolare,
il riferimento è all’importanza del contesto specifico entro cui si articolano i
processi di definizione e implementazione di azioni e progetti capaci di assecondare un
diverso modello di sviluppo durevole sul piano ambientale, sociale ed economico. Da
questa prospettiva, la dimensione locale costituisce lo scenario più idoneo per
l’elaborazione e la messa in pratica di strategie di sviluppo sostenibile, non solo
perché coerenti anzitutto con la realtà territoriale nella quale produrranno effetti, ma
anche perché a questa scala appare più verosimile poter incidere nella promozione di
comportamenti, nuove abitudini e stili di vita, come, ad esempio, relativamente alle
pratiche di spostamento quotidiano [Colleoni e Rossetti 2018; Colleoni 2019b].
La rilevanza della dimensione locale
nelle riflessioni su nuovi modelli di sostenibilità emerge sin dai primi anni Novanta:
si pensi, ad esempio, ai diversi richiami presenti nel Rapporto Our Common
Future così come al fatto che in occasione del Summit della
Terra nel 1992 la Comunità Internazionale decise di impegnarsi nel
portare avanti localmente il programma d’azione meglio noto come Agenda
21 nella misura in cui problematiche come il degrado ambientale e le
disparità sociali non solo hanno origine a partire da specifiche realtà territoriali, ma
possono essere opportunamente affrontate con il supporto delle comunità di riferimento
in termini di risorse e competenze locali. Pur tra luci e ombre, va riconosciuto il
fatto che Agenda 21 abbia avviato interessanti pratiche di
confronto collettivo e il graduale consolidarsi di una consapevolezza civica attorno
alle problematiche ambientali [Selman 1998; 2000; Kern et al.
2007], oltre ad aver gettato le basi di un percorso di progressiva definizione di
obiettivi per il perseguimento della sostenibilità: dai 9 Millennium
Development Goals (2000-2015) orientati primariamente ai Paesi in via di
sviluppo ai 17 Sustainable Development Goals (2015-2030) che,
attraverso un approccio più olistico nella definizione di modelli di sviluppo locale, si
rivolgono a tutta la comunità internazionale chiamata a identificare percorsi di
crescita ¶{p. 56}sostenibile sul piano economico, ambientale e sociale a
partire dal coinvolgimento degli stakeholders su scala nazionale e
locale. La dimensione culturale della sostenibilità rimane apparentemente a sé stante,
talvolta è associata alle questioni sociali ma, come evidenziato nei paragrafi 4 e 5,
rimane una delle questioni aperte.
Parlare di sostenibilità da una
prospettiva territoriale significa ricondurre la gran parte delle iniziative alla scala
urbana e ciò in virtù del peso crescente che le città svolgono ormai da diversi anni nei
processi demografici globali. Non a caso si parla di progressiva urbanizzazione del
mondo dal momento che la maggior parte della popolazione mondiale vive in città: se nel
2010 si è assistito al superamento della quota di popolazione urbana su quella rurale
(51,7%), nel 2030 è atteso un incremento del fenomeno pari al 60,4% [Un 2018]. Sebbene
le tendenze appena descritte riguardino principalmente l’Asia e l’Africa e più
marginalmente il nostro Continente, le città europee sono da tempo parte integrante
della programmazione comunitaria, a partire dalla Strategia tematica
sull’ambiente urbano del 2004, passando per il VII Programma
generale di azione dell’Unione in materia di ambiente fino al 2020 che
sollecita gli impegni sul fronte della progettazione urbana sostenibile fino ad arrivare
alla definizione dell’Agenda urbana europea, che attribuisce alle città il ruolo di
autorità urbane nelle attività di co-progettazione su scala locale secondo una logica di
governance multilivello, come si vedrà nel paragrafo 6, e che recentemente è stata
implementata con un rafforzamento sul fronte climatico-ambientale e sociale [Ec 2021].
3. Questioni attuali
Lo scoppio della pandemia da Sars
Cov-2 ha messo a nudo le fragilità dei sistemi urbani e territoriali, che si sono
rapidamente dimostrati incapaci di far fronte agli improvvisi cambiamenti in atto negli
ultimi due anni. Cambiamenti che hanno inciso nell’immediato sulle abitudini, sui tempi
e ritmi della quotidianità in relazione alle limitazioni più o
¶{p. 57}meno stringenti e a un’organizzazione degli spazi urbani e dei
servizi che ha mostrato scarsa capacità di adattarsi alle nuove esigenze emerse in epoca
di distanziamento fisico [Sennett 2020; Mazzette et al. 2021]. A
ciò si aggiungono nuovi scenari di accresciuta diseguaglianza e disparità sociale
innescati dalla grave recessione economica che è scaturita come conseguenza delle
limitazioni imposte a livello nazionale [World Bank 2020] e di cui ora si inizia ad
avere maggiore consapevolezza [Oxfam 2022]. In altre parole, il principio del
Leaving no one behind verso cui gli sforzi
dell’Agenda 2030 e dei diversi Sdgs convergono per promuovere
inclusione ed equità soprattutto tra le popolazioni più vulnerabili sembra essere di
difficile affermazione.
Se è vero, infatti, che il
perseguimento di alcuni goals appariva complicato, con l’avvento
della pandemia lo scenario risulta ancora più critico [Naidoo e Fisher 2020] e di questo
occorrerà tenere conto in sede di valutazione e definizione delle prossime azioni da
intraprendere. Per la verità gli effetti prodotti dalla pandemia rappresentano
un’occasione importante per ripensare alle modalità attraverso cui delineare modelli di
sviluppo capaci di mitigare le disuguaglianze esacerbate dalla fase pandemica [Ashford
et al. 2020].
4. Il cambiamento culturale necessario: cultura e sostenibilità
La sostenibilità culturale tende ad
essere definita in due modi: l’uno ha a che fare con modelli e pratiche culturali e
artistiche, l’altro con le caratteristiche culturali e le azioni che concorrono alla
transizione sociale verso modelli di vita più sostenibili [Kangas et
al. 2018, 2].
La cultura, in quanto insieme di
valori e comportamenti coordinati di un gruppo umano, in effetti è il cuore delle
pratiche sostenibili. La narrazione e le azioni a supporto della sostenibilità non sono
solo elementi necessari per la creazione di una maggiore sensibilità su base individuale
e collettiva verso uno sviluppo più sostenibile, ma rendono più
¶{p. 58}chiaro il ruolo dell’arte, della cultura e delle politiche
culturali. La sostenibilità culturale sembra essere una definizione condivisa da molti
studiosi, quasi un meme, diventando così un concetto che sta perdendo di significato
prima ancora di avere raggiunto una vera realizzazione pratica.