L'educazione socio-emotiva
DOI: 10.1401/9788815370327/c1
Le competenze, così definite,
sono state sistematizzate in molteplici modelli concettuali, che ne articolano le
dimensioni ritenute importanti per la struttura della personalità e per gli effetti
che a esse si associano. A seconda degli
¶{p. 36}interessi
scientifici e delle impostazioni teoriche, questi modelli organizzano diversamente
la materia. Mi limito qui ad alcuni esempi, senza alcuna pretesa di esaustività: la
P21 (Partnership for 21st Century Skills) ha affermato le
cosiddette «quattro C»: pensiero critico, comunicazione, collaborazione e
creatività. Nel celebre testo di Tony Wagner, The Global Achievement
Gap [2010], sono elencate sette «competenze per la sopravvivenza»:
problem solving e pensiero critico, collaborazione con reti
diverse e capacità di leadership, flessibilità e adattabilità,
iniziativa e imprenditorialità, efficacia comunicativa (orale e scritta), capacità
di accedere e analizzare informazioni, curiosità e immaginazione.
Le tassonomie e i programmi di
SEL sviluppati in ambito europeo tendono generalmente a un approccio più ampio, che
include la salute, gli aspetti economici e legati alla carriera che influenzano il
benessere emotivo, la sensibilizzazione rispetto all’uso di sostanze,
l’alimentazione e la sicurezza. Tuttavia, il focus principale
dei programmi tende a essere sulle competenze sociali, di cittadinanza, di
promozione della salute e dei diritti umani e sulla prevenzione della violenza e del
bullismo [Cefai et al. 2018].
Di particolare rilievo, per la
sua articolazione e per la sua diffusione, è anche il modello di SEL avanzato dal
gruppo CASEL, che si basa su cinque cluster di competenze: autoconsapevolezza
(self-awareness), gestione di sé
(self-management), consapevolezza sociale (social
awareness, un tratto che si avvicina alla capacità di assumere
cognitivamente la prospettiva altrui), competenze relazionali e capacità di prendere
decisioni responsabili (fig. 1.1).
Infine, di grande importanza per
noi sono le recenti elaborazioni in sede OCSE, che sistematizzano il discorso in
cinque dimensioni, denominate collaborazione, esecuzione di un compito, regolazione
delle emozioni, ingaggio con gli altri e apertura mentale [John e De Fruyt 2015;
Chernyshenko, Kankaraš e Drasgow 2018]. Queste corrisponderebbero alle cinque
dimensioni del cosiddetto modello Big Five per lo studio della
personalità, al tempo stesso modificandolo.¶{p. 37}
Il modello Big
Five, per quanto naturalmente non unanimemente accolto nelle
elaborazioni teoriche contemporanee in campo psicologico, rappresenta tuttavia un
riferimento concettuale ed empirico ampiamente condiviso [Borkenau e Ostendorf 1990;
Christal 1992; Digman 1990; Goldberg 1990; McCrae e Costa Jr. 1987]. Il modello
garantisce una solida base empirica, poiché risulta da un vasto
corpus di ricerca che ha consolidato i cluster in grado di
identificare le principali caratteristiche di personalità, giungendo a risultati
convergenti, che individuano una struttura a cinque fattori (fig. 1.2). Inoltre, il
modello fornisce una sintesi molto efficiente delle differenze individuali nelle
competenze socio-emotive. I cinque dominii in cui si articola hanno mostrato un alto
valore predittivo, riferito ad abilità individuali malleabili e temporalmente
stabili.
Il modello Big
Five non parte da una semantica propria di una particolare
prospettiva teorica, ma si fonda piuttosto ¶{p. 38}sull’analisi del
linguaggio informale utilizzato dalle persone per descrivere sé stesse e gli altri
rispetto alle caratteristiche di personalità. Perciò, il modello rappresenta una
tassonomia delle differenze individuali, sulla base delle modalità di codifica delle
caratteristiche personali utilizzate nel linguaggio quotidiano [John e De Fruyt
2015; Chernyshenko, Kankaraš e Drasgow 2018]. A partire da vari studi
psico-lessicali è emersa un’ampia varietà di termini, a partire dalla quale gli
psicologi hanno svolto le proprie ricerche, concludendo che tali caratteristiche
possono essere organizzate in cinque fattori sovraordinati, originariamente
denominati come segue: coscienziosità, estroversione, amicalità, stabilità emotiva e
apertura mentale. Ognuna di queste dimensioni rappresenta ¶{p. 39}a
sua volta un insieme di pensieri, sentimenti e comportamenti tra loro interconnessi.
La
coscienziosità si riferisce, da un lato, alla tendenza
all’autocontrollo, all’organizzazione, alla pianificazione dei e alla cautela nei
comportamenti; dall’altro, comprende l’ambizione, la dedizione e la caparbietà nel
raggiungere gli obiettivi prefissati. L’estroversione
rappresenta la tendenza a ricercare il contatto con l’altro, a mantenere una rete di
rapporti e a sentirsi a proprio agio nelle situazioni sociali. Inoltre, le persone
estroverse tendono a essere maggiormente assertive, energiche ed entusiaste della
vita. D’altra parte, l’amicalità si riferisce alle qualità
delle relazioni piuttosto che all’estensione del proprio
network sociale. Le persone «amicali» sono più cooperative,
cercano di minimizzare il conflitto interpersonale e mirano a mantenere relazioni
positive. La stabilità emotiva è relativa alla capacità
dell’individuo di controllare e gestire le proprie risposte emotive, i propri stati
d’animo e la qualità di questi ultimi. Le persone con un alto grado di stabilità
emotiva sono maggiormente resilienti, meno soggette a provare rabbia, irritazione e
improvvisi sbalzi d’umore. Infine, l’apertura mentale si
riferisce alla curiosità, a immaginazione, creatività e desiderio di cambiamento,
all’apertura a stimoli intellettuali in genere. Essa riflette, inoltre, la
preferenza verso una stimolazione di tipo esperienziale, di cui fanno parte
l’apprezzamento per l’arte e la dimensione estetica, l’autoriflessione e
l’autoesplorazione.
Il modello, nonostante le molte
riflessioni ancora aperte sui termini utilizzati per identificare i fattori, ha
ottenuto riscontri significativi su molteplici campioni a livello internazionale.
Sarebbe comunque un errore considerarlo come una visione onnicomprensiva della
personalità umana. È sempre possibile evocare ulteriori dimensioni, quali la
motivazione, l’avversione al rischio o l’onestà [Kankaraš 2017], in ambito
prestazionale o morale-motivante. Il punto per noi è che le SES siano qui
adeguatamente schematizzate, nel quadro di una visione integrata che coimplica il
carattere come comprendente aspetti capacitanti, o di
prestazione (SES), e motivanti o d’impegno al valore, in
relazione a molteplici ¶{p. 40}sfere d’esperienza e d’azione. La
risultante di questo campo di forze è l’identità personale (fig. 1.3)
[18]
.
Un’ultima considerazione è
rilevante per l’impostazione della nostra indagine. Nell’ambito del Big
Five è stato sostenuto che sia più efficace analizzare le diverse
sfaccettature della personalità, cioè le sotto-dimensioni del modello, piuttosto che
le dimensioni in senso ampio
[19]
. L’analisi delle sotto-dimensioni può risultare maggiormente predittiva
rispetto ai punteggi relativi alle cinque macro-dimensioni. Le sotto-dimensioni, che
possono essere definite come manifestazioni contestualizzate di fattori di
personalità più ampi, sono risultate più attendibili in termini predittivi. Per
esempio, la coscienziosità può essere vista come una tendenza generale a esercitare
un certo grado di controllo sul proprio ambiente interno o esterno e quindi include
una serie di pensieri e modelli comportamentali più specifici, come laboriosità,
ordine e autocontrollo [Roberts et al. 2005]. Di conseguenza,
essa è l’esito di diversi percorsi e azioni: implementare le competenze di
pianificazione e orga
¶{p. 41}nizzazione
(orderliness), migliorare le capacità di definizione e
perseguimento degli obiettivi preposti (industriousness),
sviluppare le abilità di autocontrollo.