L'educazione socio-emotiva
DOI: 10.1401/9788815370327/c8
La popolazione docente
osservata si compone per la quasi totalità da donne (61 su 63), come peraltro atteso
in questo segmento della scuola, in cui come è noto (lo squilibrio di genere è
evidenziato nel sito del Ministero dell’Istruzione)
[1]
la femminilizzazione del personale è particolarmente forte. Le età dei
docenti si distribuiscono in modo abbastanza armonico dalle età giovanili
post-laurea alle età precedenti il pensionamento, ma possiamo comunque osservare una
¶{p. 248}prevalenza di un corpo insegnante relativamente «giovane»:
oltre il 66% (66,3% per l’esattezza) è composto da insegnanti di età pari o
inferiore a 44 anni. Inoltre le insegnanti si collocano su una media di anni di
esperienza comunque superiore a 10, tranne i pochi casi dei reclutamenti recenti con
meno di 5 anni. Possiamo quindi dire che complessivamente siamo di fronte a una
popolazione professionalmente esperta. L’eventuale inesperienza o minore esperienza
viene compensata dall’affiancamento in aula con docenti con più anzianità di
servizio. In 31 casi il personale docente ha almeno vent’anni di servizio nella
scuola; in 13 casi almeno dieci anni; i restanti casi meno di dieci. Quindi le
classi osservate si caratterizzano per un mix equilibrato di esperienza. Esperienza
da una parte e un’età non avanzata (cui corrisponde anche la frequenza a corsi di
studio universitari relativamente recente) dovrebbero contribuire a una maggiore
apertura verso elementi di innovazione e una certa familiarità con la cultura della
valutazione. Come si mostrerà anche nelle pagine che seguono in realtà entrambi gli
aspetti sono fortemente critici.
Il corpo docente presenta
omogeneità anche rispetto ai titoli di studio, come si osserva nella tabella 8.2:
lasciando da parte il caso dei diplomi ISEF o musicali, che sono specifici
esclusivamente per alcune discipline, per il resto siamo in presenza di due
macroraggruppamenti di titoli di studio, l’uno costituito dai diplomi di scuola
media superiore e l’altro dalle lauree. Tuttavia, anche verificando la relazione tra
questi due gruppi e le classi di età, non si apprezzano variazioni significative;
ciò significa che non abbiamo comunque ancora una composizione del personale docente
di età così giovane da richiedere per legge sempre e comunque la laurea al minimo
triennale o la laurea a ciclo unico in formazione primaria.
I dirigenti scolastici si sono
espressi in modo concorde in merito alla questione della motivazione del corpo
docente, sottolineando la rilevanza dell’appartenenza di coorte e
dell’esperienza:¶{p. 249}
Titoli di studio
|
%
|
Diploma
di scuola secondaria superiore
|
36,5
|
Diploma
universitario, diploma di laurea (vecchio e nuovo ordinamento),
ecc.
|
54,0
|
Diplomi
formazione artistica e musicale e/o ISEF
|
4,8
|
Altro
|
4,8
|
Totale
|
100,0
|
Poi c’è un fatto anche riconducibile al fattore età. I giovani hanno anche ricevuto una formazione diversa, sono mediamente più motivati e hanno l’idea della formazione continua, quindi complessivamente io li trovo più preparati, più attivi e propositivi (Intervista a DS scuola Camelia).Le insegnanti sono tutte con diversi anni di esperienza, questa è una ricchezza perché hanno esperienza ma anche un limite. Introdurre nuovi metodi didattici e innovare con loro non è sempre facile (Intervista a DS scuola Ortensia).
Le insegnanti che hanno
risposto al questionario insegnano nei due raggruppamenti standard, ossia le
discipline scientifiche e/o umanistiche. L’assegnazione dell’area disciplinare può
variare negli anni (in genere tuttavia si mantiene la stessa area disciplinare per i
cinque anni del ciclo, a meno che non vi siano variazioni di classe o nella coppia
docente). Per quanto riguarda i rispondenti al questionario, essi si trovano in una
condizione di relativa stabilità nel loro ruolo sia per quanto riguarda la coppia
docente (il team di classe è stabile, al minimo da tre anni, nella maggior parte dei
casi dal primo anno della primaria), sia per quanto riguarda l’area disciplinare.
Le scuole cui le insegnanti
appartengono presentano aspetti differenti: per utenza, per mix sociale, per
caratteristiche degli alunni, per relazione con le famiglie. I molti aspetti di cui
si compone la quotidianità scolastica concorrono allo sviluppo, al mantenimento e
all’incremento delle competenze, quindi indagare gli ambienti di apprendimento in
senso ampio fornisce indicazioni utili per definire la visione delle insegnanti in
merito alle SES.¶{p. 250}
2.3. Insegnanti e benessere degli ambienti di apprendimento
L’interazione con gli alunni e
l’attenzione al loro benessere costituisce uno dei primi elementi utili a
qualificare l’investimento e l’attenzione delle insegnanti sugli aspetti non
strettamente cognitivi all’interno della relazione educativa. Nella tabella 8.3 sono
illustrate le risposte dei docenti ad affermazioni sul benessere degli alunni.
Osserviamo uno stato di diffuso accordo su tutti gli item proposti: sostanziale
accordo tra corpo docente e studenti, attenzione al benessere degli alunni,
orientamento all’ascolto, attenzione per situazioni che richiedono supporto
supplementare.
Altri aspetti della
professione insegnante concorrono a creare il clima idoneo per lo sviluppo delle
competenze socio-emotive. Nella tabella 8.4 sono stati riassunti i risultati
relativi a tali aspetti. I primi 4 item si riferiscono a criticità e fattori
stressanti negli aspetti relazionali, gli altri due ad aspetti stressanti sul piano
organizzativo e formativo dentro la professione. Si evidenzia la criticità della
relazione con le famiglie, che viene considerata stressante per il 44,4% degli
intervistati. Questo dato sottolinea come continui a mancare una reale alleanza
educativa fra scuola e famiglia, basata su una solida relazione fiduciaria, capace
di riconoscere la differenza e la complementarietà dei propri ruoli. La ricerca ci
ha mostrato (si vedano al riguardo i capitoli sugli studi di caso in particolare)
che, spesso, l’intrusione delle famiglie spazia dal livello didattico (come si fa
lezione, come si valuta, quali parti del programma si affrontano, come e quando,
ecc.) al livello relazionale (come ci si rapporta con i bambini, come si interagisce
con loro, quale spazio vi è per la motivazione, ecc.). E tutto ciò non può che
essere una reciproca fonte di continuo stress.
Si rileva poi una parziale
criticità nel rapporto con i colleghi; risultano buone o discrete le altre
relazioni. Sugli aspetti organizzativi i carichi di lavoro vengono variamente
valutati dai docenti, ma forse anche per effetto delle diverse organizzazioni nei
plessi e dei diversi incarichi istituzionali in capo a ciascuno di essi. Sullo
specifico tema delle competenze, la loro acquisizione non è considerata un fattore
¶{p. 251}critico, anche se le domande precedenti restituivano un
bisogno formativo marcato.
Molto d’accordo/D’accordo (%)
|
Né in accordo né in disaccordo (%)
|
Molto in disaccordo/In disaccordo (%)
|
|
In
questa scuola, insegnanti e studenti di solito vanno d’accordo
gli uni con gli altri
|
82,5
|
15,9
|
1,6
|
La
maggioranza delle insegnanti in questa scuola ritiene importante
il benessere degli studenti
|
90,5
|
7,9
|
1,6
|
La
maggioranza delle insegnanti in questa scuola è interessata a
ciò che gli studenti hanno da dire
|
84,1
|
9,5
|
6,3
|
Se uno
studente di questa scuola ha bisogno di ulteriore supporto, la
scuola glielo fornisce
|
88,9
|
6,3
|
4,8
|
Molto d’accordo/D’accordo (%)
|
Né in accordo né in disaccordo (%)
|
Molto in disaccordo/In disaccordo (%)
|
|
Interazione con i genitori
|
44,4
|
30,2
|
25,4
|
Interazione con i colleghi
|
22,2
|
41,3
|
36,5
|
Interazione con il/la dirigente
|
9,5
|
27,0
|
63,5
|
Interazione con gli studenti
|
11,1
|
20,6
|
68,3
|
Carico
di lavoro
|
38,1
|
34,9
|
27,0
|
Acquisizione nuove competenze
|
12,7
|
17,5
|
69,8
|
Consegue da tutti gli elementi
esposti un elevato livello di soddisfazione del corpo docente che, interpellati in
modo esplicito, si dichiarano soddisfatti nel 96,8% dei casi. Unendo quindi aspetti
relazionali, didattici, organizzativi il quadro che si compone va in direzione di un
diffuso apprezzamento e passione per la professione svolta, un elemento che depone a
favore di un clima di classe e di istituto favorevole allo sviluppo di competenze
non cognitive.¶{p. 252}
3. Insegnanti competenti, insegnanti che creano competenze?
Acquisite le informazioni
anagrafiche, il questionario ha riservato ampio spazio alla raccolta di informazioni
specifiche relative all’acquisizione e al possesso di competenze da parte delle
insegnanti rispetto ad alcune dimensioni nelle quali le competenze non cognitive possono
risultare essenziali all’interno della classe: interazione alunni-insegnanti, sviluppo
del bambino, metodi di insegnamento specifici per il lavoro in gruppo, gestione
dell’aula, sviluppo delle competenze socio-emotive nei bambini. Nella tabella 8.5 sono
riepilogati i livelli di formazione dichiarati dai docenti su questi specifici temi, in
accordo con gli assunti teorici di questa ricerca, secondo cui le competenze (anche
quelle dei docenti) possono essere l’esito di un processo di apprendimento e formazione
continua. Dalla distribuzione dei dati possiamo osservare che sulla formazione relativa
alle competenze SES in modo specifico le insegnanti riferiscono di una situazione
rispetto alla quale sono necessari ancora investimenti da parte delle scuole: per quanto
il 38% si definisca come molto formato in materia, c’è anche un 15,9% che non si
considera formato affatto e un 46% che si considera solo abbastanza formato.
Soprattutto, e questo dato è
confermato anche dalle interviste condotte con i dirigenti scolastici, non vi sono piani
di formazione per i docenti su questi temi, sebbene se ne ravvisi il bisogno. Gli stessi
dirigenti avevano riferito di una disorganicità di interventi e progettualità su questi
temi, che avrebbero dovuto essere messi maggiormente a sistema e focalizzati in modo
esplicito sul tema delle SES.
Però di certo agli insegnanti in primis serve consapevolezza maggiore e una guida su come indirizzare al meglio il loro lavoro, cioè si dovrebbe passare da modalità improvvisate e inconsapevoli a strumenti strutturati (Intervista a DS scuola Camelia).Il fabbisogno formativo degli insegnanti è molto elevato perché i docenti hanno enormi problemi della gestione d’aula. Sono bravi come conoscenze ma non sanno fronteggiare le sfide dei bambini (Intervista a DS scuola Gelsomino).
Interazione (%)
|
Sviluppo (%)
|
Lavoro in gruppo (%)
|
Gestione aula (%)
|
Formazione SES (%)
|
|
Molto/moltissimo
|
47,6
|
61,9
|
39,7
|
39,7
|
38,1
|
Abbastanza
|
39,7
|
33,3
|
49,2
|
34,9
|
46,0
|
Poco/nulla
|
12,7
|
4,8
|
11,1
|
25,4
|
15,9
|
L’insegnante ha a sua volta molto bisogno di essere supportato e accompagnato, perché di fatto non riceve competenze e conoscenze specifiche e a sua volta ha un bisogno forte, più che un’opportunità è un obbligo ormai, per tutti. Però io avverto anche lo spiazzamento degli insegnanti (Intervista a DS scuola Lavanda).
Peraltro anche gli altri risultati
relativi alle competenze che riguardano il lavoro in gruppo, la gestione dell’aula,
l’interazione con gli alunni mostrano che il livello di formazione non è adeguatamente
sviluppato e adeguato ai bisogni. Bisogni che peraltro sono mutevoli, sia all’interno di
un quinquennio, sia tra cicli successivi: cambiano gli alunni, le famiglie, il tipo di
relazioni e questa continua ridefinizione della situazione richiederebbe strumenti
continuamente aggiornati nelle mani delle insegnanti.
Se quindi molto c’è da fare,
secondo insegnanti e dirigenti, in merito alla formazione delle competenze (sia per le
insegnanti, sia per gli allievi, ma potremmo anche aggiungere per le famiglie), occorre
anche capire come possa essere realizzata, direttamente o indirettamente, questa
formazione.
La rappresentazione di insegnanti
e dirigenti trova rispondenza in dati istituzionali: i report OCSE, già commentati nel
capitolo 1 di questo lavoro, indicano che le SES sono importanti a diversi livelli: sono
predittive di effetti positivi in molti ambiti della vita; sono modificabili e oggetto
di possibili interventi di policy; sono comparabili tra contesti;
sono complessivamente rilevanti per il futuro delle persone. Tutte ragioni che
rafforzano l’idea di una rilevanza della valutazione delle SES tra il personale docente.
I dati illustrati nella tabella
8.6 evidenziano in concreto come viene promosso e sostenuto lo sviluppo delle SES nelle
scuole che hanno partecipato alla ricerca. Se ne ricava l’idea
{p. 254}che le SES costituiscano una dimensione trasversale alla
didattica e all’esperienza educativa in generale per quanto riguarda i bambini: fanno
parte dell’offerta formativa e delle pratiche didattiche e sono oggetto di discussione
con le famiglie degli alunni. Ma ancora mancano progetti e iniziative ad
hoc su questo tema; la formazione stessa delle insegnanti sull’argomento
è per lo più demandata a iniziative personali.
%
di rispondenti che hanno detto sì
|
|
Alle
insegnanti è richiesto di formarsi sulle competenze socio-emotive
come parte della loro crescita professionale
|
69,8
|
Lo sviluppo
delle competenze socio-emotive è uno degli obiettivi inclusi nel
piano dell’offerta formativa
|
84,1
|
Abbiamo
lezioni o attività scolastiche espressamente dedicate allo sviluppo
di queste competenze
|
55,6
|
Attraverso
l’applicazione delle regole disciplinari della nostra
scuola
|
74,6
|
Tramite le
nostre pratiche didattiche in generale
|
95,2
|
Tramite
l’organizzazione di attività extracurricolari
|
52,4
|
Fornendo ai
genitori dei feedback e dei consigli sulle competenze socio-emotive
dei loro figli
|
79,4
|
Ma se queste competenze possono
essere insegnate e apprese, ecco allora la sfida: possono essere valutate e se sì in
quale modo? Ossia c’è un modo per individuare le competenze possedute da un soggetto? E
valutarne l’impatto sia sul soggetto stesso sia su altri? In realtà questo è un nodo
cruciale e in larga parte irrisolto. Nella scuola italiana non esistono al momento
sistemi standardizzati di valutazione delle competenze socio-emotive degli alunni; non
esiste nemmeno un riferimento comune e condiviso di competenze da tenere sotto
osservazione. Meno che mai esistono sistemi di valutazione sulle competenze non
cognitive delle insegnanti, sebbene via sia una diffusa consapevolezza rispetto alla
loro necessità nello svolgimento della professione.
Il problema è sempre sistematizzare e definire, nonché misurare queste competenze e capacità. Alcune è vero sono un po’ innate, sono l’esito della propria storia. Ma altre possono {p. 255}essere apprese o irrobustite [...]. Per esempio il momento della stesura dei giudizi è un’opportunità mancata: noi parliamo solo di apprendimenti perché il Ministero ci blinda su quello, ma in realtà lì dentro dovrebbero andare osservazioni e notazioni di altro tipo, proprio che evidenzino e valorizzino questi aspetti (Intervista a DS scuola Primula).
Se le competenze degli insegnanti
sono terreno su cui è delicato avventurarsi, anche per le competenze socio-emotive degli
alunni la questione è complessa. In passato, negli anni Settanta-Ottanta del secolo
scorso (come previsto dalla legge 517/1977) all’interno del ciclo della primaria era
prevista da parte dei docenti la stesura di giudizi articolati, sia generali sia per
disciplina da parte dell’insegnante su ogni studente (prevalentemente si trattava a quel
tempo di un’insegnante unica). In quel giudizio venivano indicati, anno dopo anno, i
progressi, le criticità, le qualità e le fragilità di ogni alunno, in un percorso
cumulativo che tratteggiava, accanto all’acquisizione di saperi curricolari, anche lo
sviluppo della persona nel suo complesso. La stagione attuale della scuola italiana
prevede un giudizio descrittivo sintetico (In via di prima acquisizione – Base –
Intermedio – Avanzato) limitato alle discipline curricolari (modalità in vigore
dall’anno scolastico 2020-2021 a seguito dell’Ordinanza del 4 dicembre emanata dal
Ministro dell’Istruzione). Fino a questa Ordinanza era prevista, per le primarie, anche
la certificazione delle competenze, ora sostituita dal giudizio globale in cui vengono
indicati i traguardi e le criticità di ogni bambino. Dunque in qualche modo il tema
delle competenze resta all’interno della scuola primaria, ma senza precisi indicatori
che ne misurino il livello, il progresso o viceversa l’arretramento.
Il questionario ha per questo
voluto indagare la presenza di dispositivi di valutazione formale e/o informale
all’interno delle scuole rispetto alle competenze socio-emotive. I risultati indicano
che per le SES esistono in prevalenza valutazioni informali (89% dei docenti ha risposto
in tal senso). Ciò significa che le competenze socio-emotive non sono ancora considerate
al pari delle conoscenze curricolari e per esse non si prevede alcun tipo di
valutazione, o {p. 256}almeno non formalizzata e proceduralizzata. Un
dato che, come si evidenziava sopra, è anche l’esito di un sistema di valutazione
standardizzato che esclude tali competenze dalla formulazione di giudizi complessivi.
Tuttavia le SES fanno parte in
qualche modo della vita scolastica, in modi come si è detto per lo più non formali e non
strutturati, ma comunque fanno parte del percorso formativo. Gli stessi metodi didattici
possono essere messi in campo anche con questa finalità, oltre che con quella di
completamento di un obiettivo curricolare. Una domanda del questionario era
espressamente rivolta a indagare con quale frequenza alcuni metodi didattici vengano
adottati per favorire lo sviluppo delle SES all’interno delle classi. Le risposte dei
docenti sono illustrate nella tabella 8.7.
I dati ci presentano una
situazione che può essere polarizzata in due raggruppamenti: nel primo gruppo convergono
attività che hanno a che fare prevalentemente con la socialità e le interazioni tra pari
o tra alunni e insegnanti. Fanno parte di questo primo gruppo Esporre le proprie idee
alla classe e all’insegnante, Socializzare con i compagni, Discutere in aula. Tutte
queste attività vengono messe in pratica con elevata frequenza da parte delle insegnanti
e vengono ritenute utili al fine di sviluppare le SES. Appartengono invece al secondo
gruppo attività di tipo maggiormente didattico: Preparare presentazioni per la classe su
argomenti curricolari, Lavorare a gruppi su compiti specifici, Lavorare su progetti
specifici, Lavorare a gruppi in base ad abilità individuali. Questo secondo gruppo di
attività, da cui si generano secondo le insegnanti intervistate elementi che giocano a
vantaggio dello sviluppo delle SES, viene promosso in alcune lezioni, trova quindi
spazio nella routine scolastica ma con una frequenza inferiore.
Ovviamente la decisione di attuare
metodi didattici utili anche allo sviluppo delle SES dipende da un insieme di fattori,
non soltanto da una specifica iniziativa dell’insegnante e da una sua sensibilità al
tema e dipende anche dal numero di ore disponibili per tali interventi. Dunque sia un
aspetto qualitativo sia quantitativo.{p. 257}
Mai
o quasi mai (%)
|
In
alcune lezioni (%)
|
In
molte lezioni (%)
|
In
tutte o quasi tutte le lezioni (%)
|
|
Agli
studenti è lasciato spazio per esprimere le proprie idee
|
0,0
|
1,6
|
42,9
|
55,6
|
Si
incoraggiano gli studenti a socializzare tra di loro
|
0,0
|
4,8
|
31,7
|
63,5
|
Si tengono
discussioni tra tutta la classe in cui partecipa anche lei
|
1,6
|
14,3
|
31,7
|
52,4
|
Gli studenti
fanno presentazioni al resto della classe
|
6,3
|
58,7
|
28,6
|
6,3
|
Gli studenti
lavorano in piccoli gruppi per trovare soluzioni condivise ai
problemi e ai compiti assegnati
|
0,0
|
44,4
|
47,6
|
7,9
|
Gli studenti
lavorano a progetti che richiedono almeno una settimana di
impegno
|
25,4
|
52,4
|
20,6
|
1,6
|
Gli studenti
lavorano in gruppi divisi per abilità
|
28,6
|
54
|
15,9
|
1,6
|
I progetti come dicevo sono molti, tutti servono, magari anche indirettamente. Però io credo che l’efficacia di un intervento dipenda anche dal contesto (Intervista a DS scuola Mimosa).Certo esistono anche delle differenze legate al fatto che certe volte ti capita una classe dove si concentrano situazioni problematiche e allora lì puoi avere comunque delle difficoltà anche se sei un insegnante bravissimo e motivatissimo (Intervista a DS scuola Primula).Ognuno si deve gestire una situazione dentro la propria scuola... cioè se parlo con le mie colleghe di altre parti della città ci rendiamo conto che è come fare mestieri diversi, ognuna di noi ha dovuto sviluppare abilità e competenze, per restare sul tema, che dipendono dalla sfida del contesto (Intervista a DS scuola Ortensia).{p. 258}
A proposito dell’aspetto
quantitativo, le ore di lezione in modalità non frontale possono costituire una delle
forme di gestione dell’aula e del programma che consentono l’apprendimento, la
valorizzazione e il confronto sulle competenze, non soltanto per i bambini ma anche per
i loro insegnanti. I risultati confermano quanto già illustrato sin qui: quasi il 78%
dei docenti indica un numero di ore di didattica non frontale pari a un massimo di 4 ore
settimanali, pari a poco più di mezz’ora al giorno in questa modalità. È pur vero che la
didattica non frontale viene ritenuta non adeguata ai bambini della primaria, o almeno
non qualificata come strumento privilegiato per la trasmissione dei contenuti educativi.
Ma il tema delle competenze socio-emotive, che fin qui è stato descritto come parte
integrante del processo didattico, in realtà travalica tale ambito. Dalla gestione di
situazioni di stress all’interno della classe, o conflitti tra pari, deficit di
motivazione nell’apprendimento, gli insegnanti sono costantemente impegnati, spesso
inconsapevolmente, nella messa alla prova e nell’implementazione delle competenze
proprie e dei propri allievi. I docenti si definiscono rispetto a tali situazioni molto
capaci di mettere in campo azioni di supporto (il 100% degli intervistati incoraggia i
bambini a credere nelle proprie capacità; il 96,8% aiuta i bambini a riconoscere il
valore dell’apprendimento; il 95,2% si ritiene capace di motivare i bambini; il 92,1% sa
controllare i comportamenti che disturbano; il 92,1% si ritiene in grado di aiutare i
bambini a gestire lo stress). Ciò significa che i docenti intervistati si definiscono e
percepiscono come capaci, competenti, esperti nel loro compito didattico ed educativo,
anche facendo ricorso a competenze socio-emotive. Ne deriva un quadro di positiva
autoefficacia percepita da parte dei docenti nella gestione del loro ruolo educativo.
4. Non tutte le competenze sono uguali: quali sono indispensabili per gli insegnanti?
L’ultima sezione del questionario
è stata dedicata alle competenze SES degli insegnanti: sono state indagate in
{p. 259}particolare capacità organizzative, resistenza allo stress,
cooperazione, creatività, energia. Queste cinque competenze sono state scelte a partire
dai cinque raggruppamenti: collaboration, task
performance, emotional regulation, open
mindedness, engaging with others, secondo il modello
Big Five, illustrato nel capitolo 1.
Prima di entrare nel merito dei
risultati del questionario, è utile ambientare la questione delle competenze
socio-emozionali degli insegnanti ricorrendo alle narrazioni raccolte dai dirigenti
scolastici. Le competenze degli insegnanti sono qui rappresentate come «qualità innate»,
non come esito di processi di formazione specifica; una sorta di equipaggiamento
naturale acquisito attraverso esperienze, formazione, relazioni, pratiche; ma al
contempo si riconosce l’importanza di avviare percorsi formativi ad
hoc su questi temi per sollecitare una riflessione, sia tra coloro che
sono maggiormente attrezzati, sia tra coloro che sono invece carenti in questo aspetto
extracurricolare della professione. È l’eterogeneità stessa tra docenti a renderlo
necessario, proprio in quanto fattori come la coorte di appartenenza, il genere,
l’esperienza pregressa nella scuola, il tipo di classi con cui si è messa alla prova la
propria capacità professionale, il team docente influenzano le competenze non cognitive.
E se tali competenze non cognitive possono essere apprese o migliorate al pari di quelle
cognitive, questo investimento in formazione dei docenti è essenziale. Tanto più
essenziale se, come illustrato nel capitolo 1, esse sono direttamente connesse con gli
apprendimenti, con il clima di classe, con la motivazione e più in generale con le
chance di vita future dei propri alunni.
Sulle soft skills e sulla didattica in generale c’è prima di tutto un fattore personale, perché hai scelto il mestiere, quanto ci investi; se ti piace insegnare ti formi, sei attivo, alcuni non guardano l’orario... altri invece hanno scelto per inerzia, o perché era comodo ai loro tempi, o perché non hanno trovato altro (Intervista a DS scuola Camelia).
Le competenze socio-emotive dei
docenti sono inoltre, come si rammentava sopra, una condizione che favorisce
{p. 260}gli apprendimenti degli alunni, in quanto costituiscono una
risorsa aggiuntiva alla formazione standard di un insegnante.
Sono proprio le competenze sociali ed emotive che consolidano e stabilizzano gli apprendimenti; il problema è l’acquisizione di competenza, non solo l’apprendimento. E queste competenze sono fondamentali per questo (Intervista a DS scuola Azalea).L’insegnante è tutto, è fondamentale, è lì che si gioca la condizione di benessere e motivazione. L’energia dell’insegnante fa la differenza, è quella che crea condizioni favorevoli per l’apprendimento ma anche per il resto. E questo anche relativamente alla cooperazione tra insegnanti (Intervista a DS scuola Dalia).
Attraverso il questionario sono
quindi state proposte ai docenti delle scuole cinque batterie di domande, ognuna delle
quali era riferita a una specifica competenza. Possiamo dividere le competenze in due
gruppi; il primo riguarda capacità individuali legate all’esercizio del ruolo docente in
classe e al modo in cui lo si interpreta: si tratta della creatività e dell’energia. Il
secondo gruppo riguarda competenze che sono legate a una dimensione più sociale e
relazionale: si tratta della cooperazione, della capacità organizzativa all’interno di
un contesto e della resistenza allo stress in ambienti in cui gli elementi di sfida sono
numerosi e mutevoli.
Iniziamo dal primo gruppo (tabb.
8.8 e 8.9). Le risposte delle insegnanti in merito all’Energia evidenziano che esse si
sentono adeguatamente attrezzate: esse infatti dichiarano di avere entusiasmo per ciò
che fanno, di avere una buona percezione della propria autoefficacia ma ammettono anche
di risentire della fatica quotidiana connessa alla professione. L’energia viene a
mancare alla fine di giornate affollate di impegni didattici in conseguenza del
sovraccarico di oneri non soltanto didattici, ma anche relazionali, organizzativi,
pedagogici ed educativi.
Anche rispetto alla Creatività, le
insegnanti hanno risposto in modo positivo, si sentono dotate delle caratteristiche
giuste per interpretare in modo originale e creativo il ruolo di docenti e sanno gestire
le sfide che la gestione della classe pone loro. Tuttavia non sempre la soluzione dei
problemi è {p. 261}semplice o ottenibile in base all’iniziativa
individuale, forse a causa del fatto che alcuni dei problemi che agli insegnanti si
pongono dipendono più che altro da vincoli strutturali e organizzativi difficili da
contrastare o rispetto ai quali l’intervento individuale non è sufficiente.
Riesco nelle cose da fare (%)
|
Stanco a fine giornata (%)
|
Pieno di energia (%)
|
Molto entusiasmo (%)
|
Mi
stanco facilmente (%)
|
Ci
riesco (%)
|
Meno attivo di altri (%)
|
Pieno di energie nella giornata (%)
|
Meno energia di altri (%)
|
Scarsa fiducia in me stesso (%)
|
La
mattina ci metto molto ad alzarmi e... (%)
|
|
Completamente d’accordo o in accordo
|
79,4
|
47,6
|
55,0
|
80,9
|
12,7
|
65,1
|
17,5
|
26,9
|
7,9
|
7,9
|
17,5
|
Né in
accordo né in disaccordo
|
17,5
|
31,7
|
31,7
|
17,5
|
17,5
|
25,4
|
15,9
|
33,3
|
27,0
|
19,0
|
15,9
|
Completamente in disaccordo o in disaccordo
|
3,2
|
20,6
|
12,7
|
1,6
|
63,5
|
9,5
|
66,6
|
39,6
|
65,0
|
73,0
|
66,7
|
Trovo nuovi modi per fare le cose (%)
|
Sono originale (%)
|
Trovo buone soluzioni (%)
|
Usare gli oggetti in modi nuovi (%)
|
Fatica a immaginare (%)
|
Mi
piace creare cose (%)
|
Poca creatività (%)
|
Buona immaginazione (%)
|
Nuovi modi di fare le cose (%)
|
Trovo soluzioni che altri non vedono (%)
|
Difficile creare cose nuove (%)
|
|
Completamente d’accordo o in accordo
|
92
|
69,8
|
11,1
|
49,2
|
7,9
|
73,0
|
11,1
|
80,9
|
90,5
|
63,4
|
{p. 262} 9,5
|
Né in
accordo né in disaccordo
|
8
|
28,6
|
20,6
|
41,3
|
11,1
|
19,0
|
17,5
|
12,7
|
3,2
|
9,6
|
9,5
|
Completamente in disaccordo o in disaccordo
|
0
|
1,6
|
68,4
|
9,5
|
80,9
|
8,0
|
71,5
|
6,4
|
6,4
|
27,0
|
81,0
|
Passando ora al secondo gruppo di
competenze, illustrate nelle tabelle 8.10, 8.11 e 8.12, osserviamo che i docenti si
definiscono competenti in merito alla Resistenza allo stress: sia che si tratti di
interagire con le famiglie, o di affrontare le situazioni nuove, o di gestire l’ansia,
l’immagine che ricaviamo dalle risposte fornite dai docenti al questionario è di una
buona capacità di coping nei confronti delle molteplici situazioni
che sfidano la propria capacità professionale, mettono sotto pressione le capacità che
trovano spazio nella pratica professionale e relazionali. È interessante notare come le
situazioni di stress possono essere ricondotte a tre macrocategorie: una è costituita
dalle famiglie e dalla relazione con esse, considerate un elemento spesso sfidante
rispetto alla professione; l’altra dalle situazioni con le quali non si ha familiarità e
che quindi deprimono la capacità di controllo e inducono a uscire dalla propria zona di
comfort; infine dalle ordinarie situazioni di tensione che si pongono nella
quotidianità.
Analogamente per la Cooperazione
che risulta essere, per tutti gli item proposti, la competenza rispetto alla quale vi è
la migliore autovalutazione: dal lavorare proficuamente con gli altri al rendersi
disponibile per fornire aiuto, dal rifuggire da situazioni di scontro all’adottare
regole di cortesia ed educazione nell’interazione con gli altri, tutte le risposte vanno
in direzione di una rappresentazione coerente nella quale la cooperazione risulta essere
la migliore qualità posseduta dai docenti.
La Cooperazione si declina lungo
tre direttrici principali: cooperazione intesa come aiuto concreto agli altri;
cooperazione intesa come interazione educata e appropriata con gli altri; infine
cooperazione come rifiuto della conflittualità con altri. E su ognuna di esse i docenti
dichiarano di sentirsi competenti.
Infine, la competenza
Organizzazione: essa si divide tra {p. 264}le capacità di
problem solving e la perseveranza. Il livello di autoefficacia
dei docenti su questi aspetti è mediamente alta, anche se sembra essere condizionata dal
grado di difficoltà degli obiettivi da raggiungere. Un dato questo che pare coerente con
quanto emerso rispetto ad altre competenze già illustrate: è l’elemento della novità o
della difficoltà a diminuire la definizione della propria competenza. Fintanto che ci si
muove su terreni conosciuti, per quanto onerosi, l’autovalutazione dei docenti resta
alta; è l’elemento spiazzante, imprevisto che modifica la competenza.
Gestisco bene lo stress (%)
|
Mi
agito facilmente (%)
|
Agitato prima di incontrare i genitori (%)
|
Vado facilmente in panico (%)
|
Spesso preoccupato (%)
|
Mi
spavento facilmente (%)
|
Successo (%)
|
Paura di sbagliare (%)
|
Agitato in situazioni nuove (%)
|
Lavoro stressante (%)
|
Calmo in situazioni difficili (%)
|
|
Completamente d’accordo o in accordo
|
52,4
|
8,0
|
12,7
|
4,8
|
17,5
|
3,2
|
34,5
|
19,0
|
12,7
|
27,0
|
55,5
|
Né in
accordo né in disaccordo
|
39,7
|
22,2
|
19,0
|
9,5
|
34,9
|
12,7
|
47,6
|
38,1
|
20,6
|
42,9
|
36,5
|
Completamente in disaccordo o in disaccordo
|
7,9
|
69,9
|
68,2
|
85,7
|
47,6
|
84,1
|
8,0
|
42,8
|
66,6
|
30,2
|
8,0
|
Discuto spesso con gli altri (%)
|
Mi
piace aiutare gli altri (%)
|
Tratto gli altri con rispetto (%)
|
Vado d’accordo con gli altri (%)
|
Pronto ad aiutare tutti (%)
|
Educato e cortese (%)
|
Lavoro bene con altre persone (%)
|
Inizio a discutere con altri (%)
|
Aiutare i colleghi (%)
|
Non
disposto ad aiutare altri (%)
|
|
Completamente d’accordo o in accordo
|
7,9
|
93,6
|
88,9
|
87,3
|
90,4
|
87,3
|
87,3
|
11,1
|
79,4
|
19,0
|
Né in
accordo né in disaccordo
|
31,7
|
4,8
|
6,3
|
11,1
|
7,9
|
7,9
|
4,8
|
23,8
|
17,5
|
{p. 265} 3,2
|
Completamente in disaccordo o in disaccordo
|
60,3
|
1,6
|
4,8
|
1,6
|
1,6
|
4,8
|
8,0
|
65,1
|
3,2
|
77,8
|
Cerco di risolvere i problemi (%)
|
Mi
riescono anche cose difficili (%)
|
Fiducia nelle capacità (%)
|
Meno capace degli altri (%)
|
So
come portare a termine le cose (%)
|
Costanza (%)
|
|
Completamente d’accordo o in accordo
|
95,2
|
44,4
|
80,9
|
4,8
|
92,1
|
74,6
|
Né in
accordo né in disaccordo
|
4,8
|
3,2
|
14,3
|
15,9
|
6,3
|
15,9
|
Completamente in disaccordo o in disaccordo
|
0,0
|
52,4
|
4,8
|
79,4
|
1,6
|
{p. 266} 9,6
|
Evidentemente la competenza
organizzativa è sensibile e condizionata dai contesti: molto dell’operato del docente si
realizza all’interno della scuola, nella quale vincoli e risorse possono depotenziare o
enfatizzare le capacità organizzative. E in questa prospettiva infatti le competenze
prese in esame sono state modificate da un evento eccezionale, di cui si renderà conto
nel prossimo paragrafo.
5. Le competenze socio-emozionali di fronte alla sfida della didattica a distanza
In modo del tutto inatteso e
imprevedibile, sia rispetto alla durata sia rispetto agli effetti, l’emergenza sanitaria
legata all’epidemia Covid-19 ha prodotto una cesura all’interno delle routine
scolastiche (interrompendo la didattica in presenza) e nelle organizzazioni educative
(trasformando relazioni e obiettivi). Anche il tema delle competenze è stato sottoposto
a una sfida inattesa sia per gli insegnanti, sia per i loro alunni. Le istituzioni
scolastiche, con il loro modo di operare e le loro finalità, bambini e famiglie con
schemi consolidati per gli apprendimenti e scansioni del tempo altamente strutturate,
tutti sono stati posti di fronte a una transizione senza precedenti.
La situazione emergenziale legata
alla pandemia non è paragonabile a nessun’altra situazione di emergenza precedente e già
studiata. Esiste una ricca letteratura che si è occupata di eventi emergenziali,
intendendo con essi principalmente catastrofi naturali – per esempio i terremoti
{p. 268}e gli tsunami – emergenze umanitarie in genere circoscritte a
parti del mondo sottosviluppato o in via di sviluppo, e situazioni di guerra. Ognuno di
questi eventi ha avuto un impatto devastante sulla vita di coloro che ne sono stati
toccati, sia dal punto di vista pratico (in ragione del venir meno delle risorse per la
sopravvivenza e dei beni materiali), sia dal punto di vista psicologico (in ragione
della perdita dei riferimenti che consentono di conservare la propria integrità
psicologica e le relazioni affettivamente significative).
L’emergenza sanitaria legata al
Covid-19 ha provocato in tutto il paese una completa destrutturazione delle routine
scolastiche, dei punti di riferimento educativi esterni alla famiglia, e di quella
cornice di senso nella quale i bambini riuscivano, spesso inconsapevolmente, a
collocarsi, sia rispetto agli apprendimenti, sia alle valutazioni, sia alle relazioni
tra pari e con le insegnanti.
I più recenti report OECD su
Covid-19 e sistemi educativi descrivono al riguardo una situazione non certamente
rassicurante. Learning Remotely When Schools Close (aprile 2020)
mostra che l’Italia occupa posizioni di coda per quanto riguarda la diffusione di
Internet a scuola, nonostante l’investimento nel Piano nazionale scuola digitale
(ex legge 107/2015); i docenti sono poco formati a una reale
integrazione delle ICT nella didattica che resta invece ancorata a una mera trasmissione
fonte di contenuti (Education and Covid-19: Focusing on the Long-term Impact
of School Closures); le differenze sociali – per effetto di una sorta di
scotoma selettiva – erano e sono ignorate, come se la «rivoluzione tecnologica» fosse
per sua natura davvero democratica, partecipativa e inclusiva [Giancola e Piromalli
2020, 1-2]. L’OECD continua a indagare l’impatto complessivo della pandemia
sull’apprendimento e pare ormai confermato come, senza un supporto massivo da parte
degli insegnanti, sia improbabile che gli studenti siano in grado di navigare da soli
nel mondo dell’apprendimento online. La maggior parte dei sistemi educativi è chiamato
allora a prestare molta attenzione nel fare in modo che la tecnologia non amplifichi
ulteriormente le disuguaglianze esistenti nell’accesso e nella qualità
dell’apprendimento [Gremigni 2020]. Questo non {p. 269}è solo un
problema di accesso alla tecnologia e alle risorse (aperte o meno) per l’apprendimento,
ciò richiederà anche di mantenere relazioni sociali efficaci tra famiglie, insegnanti e
studenti, in particolare per quegli studenti che non hanno la capacità di recupero, le
strategie di apprendimento o la capacità di imparare.
5.1. Ciò che cambia nella scuola fuori dalla scuola: la digitalizzazione forzata
L’aspetto che è stato
maggiormente stravolto dall’emergenza sanitaria all’interno della scuola è
naturalmente quello didattico e relazionale: tradizionalmente, la scuola primaria si
fonda su una componente trasmissiva in presenza (pur nella varietà di metodi
didattici) e su una componente relazionale/sociale. Entrambi gli aspetti concorrono
a un obiettivo che è educativo (principalmente regolativo) e performativo (ossia
prestazionale e conseguentemente valutativo rispetto a
curricula e apprendimenti). La scuola primaria rappresenta,
evidentemente, il segmento che, per l’età degli alunni, presenta il più elevato
grado di dipendenza dagli adulti (siano essi gli insegnanti o i familiari); e si
tratta del segmento nel quale la componente della socialità e delle relazioni è
particolarmente necessaria, sia in quanto pone le basi e prepara a quanto accadrà
poi nella pre-adolescenza, sia in quanto la scuola primaria (più di qualsiasi altro
ciclo di scuola) occupa un tempo lungo della vita dei bambini, è altamente
strutturante e li colloca in un ambiente che è al contempo di istruzione,
educazione, cura e socialità per otto ore ogni giorno. Inevitabile quindi che
l’annullamento della compresenza tra insegnanti e bambini abbia avuto ricadute a
diversi livelli.
Su questa realtà ha impattato
la didattica a distanza (Dad), che non può essere ridotta alla semplice
trasposizione della didattica in presenza attraverso un medium tecnologico, sia esso
una piattaforma o una app, e supporti diversi dall’aula scolastica, come computer,
tablet o telefoni cellulari. La chiusura delle scuole, e conseguentemente la
{p. 270}necessità di proseguire le lezioni con la didattica a
distanza, ha inoltre evidenziato il numero limitato di insegnanti con una formazione
digitale specifica, l’adozione marginale di dispositivi come tablet e pc per le
attività didattiche nella scuola in presenza, la dotazione non sempre efficiente e
adeguata di infrastrutture per l’utilizzo delle tecnologie: connessioni non sempre
veloci; spesso non adeguate alla contemporanea fruizione da parte di un’intera
classe; indisponibilità di un numero adeguato di dispositivi.
Che ci sia stato un effetto
di spiazzamento di fronte all’emergenza è indubbio; e che essa sia stata amplificata
dalle resistenze di molti docenti all’utilizzo delle tecnologie è un altro dato
acclarato. Non è tuttavia da trascurare il grande potenziale connesso ai dispositivi
che la tecnologia mette a disposizione: le piattaforme educative (e su questo sono
in particolare Google Classroom e GSuite a essere quelle maggiormente diffuse tra i
docenti intervistati) e le principali app che consentono lezioni a distanza in audio
video (Zoom e Meet le più utilizzate dai docenti, seguite dalle videochiamate
whatsapp per i casi in cui non è disponibile atro strumento per raggiungere le
famiglie) sono divenute lo strumento quotidiano per fare lezione e interagire con i
bambini («quest’emergenza ci ha costrette a un salto di qualità nell’uso delle
tecnologie, che forse avremo compiuto in condizioni normali in dieci anni o più»,
focus con insegnanti scuola di Torino Sud).
In relazione all’età degli
alunni si possono veicolare contributi più o meno strutturati o privilegiare invece
un’interazione d’aula, ma il comune denominatore di questi strumenti è la loro
capacità di entrare nelle case e simulare la situazione d’aula, sia negli aspetti
didattici sia in quelli relazionali. Si tratta di aule però molto speciali nel caso
dei bambini delle primarie, non solo per la loro giovane età e per le difficoltà a
interagire tra loro e con le insegnanti a distanza, senza quel contatto fisico che
le insegnanti definiscono come parte integrante e insostituibile della relazione
educativa, ma anche per il fatto che la classe è composta da insegnante, bambini e
genitori. La giovane età degli alunni infatti non consente l’utilizzo in completa
autonomia, è {p. 271}sempre presente un adulto della famiglia a
supporto, il che trasforma ulteriormente la relazione educativa. I bambini vengono
privati di quella relazione esclusiva e speciale con altri adulti fuori dalla
famiglia e si trovano in una compresenza di figure educative che produce
spiazzamento.
La relazione educativa quindi
è stata perturbata da tre fattori: il venir meno della compresenza (tra bambini e
insegnanti; tra bambini); l’inserimento in tale relazione dei genitori in quanto
mediatori indispensabili nell’utilizzo delle tecnologie; e infine i diversi gradi di
esperienza e competenza dei docenti nell’utilizzo delle tecnologie e delle loro
potenzialità.
Riguardo al primo punto,
ossia il fattore compresenza fisica, le insegnanti intervistate nelle interviste di
gruppo hanno messo in luce come la Dad riesca in qualche modo a salvaguardare la
componente trasmissiva delle discipline, perdendo però del tutto l’interazione tra
insegnanti e alunni e con essa l’osservazione dei meccanismi di apprendimento («se
io non vedo come fanno un compito, come risolvono un problema, sono io per prima a
non capire se hanno capito; quello manca», da focus group con
insegnanti di una scuola di Torino Nord) e le possibilità di verifica vengono quasi
del tutto azzerate («Siamo tornati indietro di decine di anni, siamo alla scuola
esclusivamente trasmissiva», da focus group con insegnanti di
scuola primaria Torino Sud).
Quanto al secondo aspetto,
ossia la presenza (e intromissione) dei genitori nella relazione educativa, esso è
di particolare rilevanza sia ai fini degli apprendimenti, sia delle relazioni. La
scuola a distanza è definita «un palcoscenico» (da focus
insegnanti scuola Torino Centro), in cui le insegnanti rappresentano il proprio
spettacolo, vanno letteralmente in scena e i genitori sono spettatori e giudici
della loro performance. Le diverse risorse culturali ed educative delle famiglie
fanno sì inoltre che i bambini ricevano nel proprio nucleo familiare stimoli,
supporti e aiuti differenti nel percorso della scuola a distanza, che quindi da una
parte integrano l’attività di e-learning degli insegnanti, ma
dall’altra possono depotenziarla. La relazione tra pari a distanza è inoltre
condizionata dalla presenza e mediazione {p. 272}degli adulti che
governano i dispositivi per i collegamenti: i bambini della scuola primaria non
possiedono un proprio telefono, in genere sono le mamme a fare da mediatrici in
queste relazioni tra compagni di classe.
La situazione emergenziale
dunque deprime le capacità di agency dei bambini, che hanno
poche capacità di vedere ascoltata la propria voce, che perdono la possibilità di
confronto e costruzione della propria realtà insieme ai pari.
Infine, per quanto riguarda
le competenze degli insegnanti nella gestione della Dad, esse sono state
generalmente modeste, almeno in avvio: poca dimestichezza con i dispositivi, poca
familiarità con le piattaforme. L’utilizzo delle tecnologie ha richiesto loro una
rimodulazione totale dei programmi, una creatività nella trasmissione degli
insegnamenti, e non da ultimo una competenza digitale che era stata fino a quel
momento solo parzialmente utilizzata. «Un sistema paradigmaticamente vecchio –
nonostante la retorica innovativa su cui sono state promosse le ICT – non è ancora
stato né sostituito e neppure lontanamente affiancato da uno nuovo» [Giancola e
Piromalli 2020, 9].
La presenza dell’animatore
digitale all’interno delle scuole ha in alcuni casi aiutato la transizione dalla
didattica tradizionale alla Dad, ma il livello complessivo della preparazione dei
docenti è per loro stessa ammissione modesto.
5.2. Imparare a distanza: la rivoluzione nella didattica passa dalla tecnologia
Le aule della Dad sono molto
speciali nel caso dei bambini delle primarie, non solo per la loro giovane età e per
le difficoltà a interagire tra loro e con le insegnanti a distanza, senza quel
contatto fisico che le insegnanti definiscono come parte integrante e insostituibile
della relazione educativa, ma anche per il fatto che la classe è composta da
insegnante, bambini e altri adulti (i genitori). Il paradosso della Dad è che la
distanza in realtà è ambivalente: da una parte amplifica la lontananza (la scuola si
fa lontano da scuola) ma dall’altra riduce la distanza e favorisce l’inserimento
nella {p. 273}relazione didattica ed educativa di altri soggetti.
Questo aspetto è ovviamente amplificato dall’età degli alunni che non consente loro
l’utilizzo in completa autonomia, dal collegamento allo svolgimento della
lezione/interazione è sempre presente un adulto della famiglia a supporto, il che
trasforma completamente la relazione educativa e il contesto di apprendimento,
nonché spesso la qualità e veridicità della valutazione. La presenza dei genitori
(nello scenario più favorevole), o la loro intromissione (con interventi e
commenti), quando non addirittura la completa sostituzione ai bambini
nell’interazione della classe e con l’insegnante, condiziona anche la stessa
attività delle insegnanti che sono poste sotto osservazione (e spesso anche
valutazione, di efficacia e di efficienza) dalle famiglie. Questo accade in modo
particolare con le scuole di utenza borghese, nelle quali la relazione
scuola-famiglia presentava già elementi di complessità, proprio a causa
dell’ingerenza continua dei genitori in questioni di competenza delle insegnanti.
Anche il tema della durata e
frequenza delle lezioni è divenuta nella Dad elemento di criticità e scontro con
alcune famiglie. La didattica tradizionale in aula prevede un calendario serrato di
materie che si succedono nella giornata e nei giorni della settimana, pur nella
varietà delle classi organizzate a modulo o a tempo pieno. La soglia di attenzione
media dei bambini è, in presenza, tra una e due ore continuative con una migliore
prestazione nelle prime ore della giornata. Nel caso della didattica a distanza,
oltre a prevedere modalità differenti per veicolare i contenuti disciplinari, il
tempo medio di collegamento è pari a un’ora per circa 3-5 volte a settimana. Sono
segnalati dalle insegnanti anche alcuni sporadici casi di una frequenza maggiore, ma
essi costituiscono un’eccezione. Ciò significa che i contenuti didattici veicolati
sono molto inferiori come quantità, ma anche spesso difficoltosi rispetto alla
qualità, in quanto l’esperienza di didattica blended nella
scuola tradizionale è molto limitata, quando non del tutto assente; il modello
prevalente adottato dalle scuole consiste nella trasposizione della didattica
frontale in aula, in didattica frontale a pc. In questo caso la creatività delle
insegnanti stenta a prendere {p. 274}forma perché troppo
condizionata da vincoli di natura tecnica e inesperienza rispetto a questa modalità
di insegnamento/apprendimento. Il tempo ridotto per la didattica produce reazioni
diverse da parte delle famiglie. Per alcune è motivo di critica alle insegnanti e al
sistema scuola nel suo complesso, ma per ragioni diverse in base alle classi
sociali: per le classi borghesi è l’ossessione performativa che induce alla critica,
per altre famiglie di ceto medio soprattutto è la mancanza di un impegno prolungato
che liberi dal ruolo di caregiver mentre si è in
smart working. Le famiglie maggiormente in sintonia con le
insegnanti sono quelle di estrazione operaia e straniere; anche in questo caso però
le motivazioni non sono tutte uguali. Accanto a famiglie che apprezzano l’impegno
delle insegnanti e l’attivazione delle scuole (per quelle site nei quartieri più
poveri le scuole hanno provveduto alla distribuzione di tablet o al loro acquisto
per mettere i bambini privi di dispositivi in condizione di seguire le lezioni), ve
ne sono altre che continuano con la modalità del disinteresse verso la scuola, come
accadeva in presenza.
L’elemento che le insegnanti
sottolineano con forza e che costituisce il principale motivo di frustrazione nello
svolgimento dell’attività professionale a distanza è il mancato riconoscimento
dell’amplificazione dei tempi di lavoro (nella parte off-line) e della
complessificazione dell’attività di preparazione di materiali e lezioni. L’utilizzo
delle tecnologie ha richiesto loro una rimodulazione totale dei programmi, una
creatività nella trasmissione degli insegnamenti, e non da ultimo una competenza
digitale che era stata fino a quel momento solo parzialmente utilizzata. Quindi per
le insegnanti, o per la maggior parte di esse, il tempo scuola è rimasto
sostanzialmente invariato. Per i bambini il tempo scuola si è ridotto dell’80%, il
che sta richiedendo loro una capacità individuale di organizzazione, un’autonomia
nella gestione dei compiti e dello studio che fino a questo momento non era mai
stata richiesta loro.
È in corso, secondo le
insegnanti, una transizione educativa e sociale cruciale: i modi della didattica a
distanza costituiscono al contempo un’occasione di crescita e responsabilizzazione
dei bambini (variamente assistiti dalle famiglie, {p. 275}come si
dirà nei paragrafi successivi) ma al contempo un rischio di smarrimento senza i
punti di riferimento dati dalle routine scolastiche e le regole stringenti che la
vita a scuola richiede.
Questa fase è rappresentata
anche dalle insegnanti come un «presente assoluto», ossia sta venendo meno ogni
capacità progettuale e previsionale di rientro nella normalità scolastica:
contribuiscono a ciò le informazioni, confuse e non rassicuranti, dei mezzi di
comunicazione di massa, ma anche la mancanza di regia da parte delle istituzioni
centrali e regionali (dal MIUR agli USR agli USP) fino alla debolezza della capacità
di indirizzo, progettazione e riorganizzazione da parte delle singole scuole e
istituti comprensivi. Da una parte è certamente responsabile di ciò il ritualismo
burocratico che affligge gran parte della scuola italiana e dei suoi dirigenti,
attenti esecutori di indicazioni sovraordinate, anche per concreti timori di
conseguenze ed effetti derivanti dall’inadempienza formale o dal non adeguato
accento sull’ottemperanza ad alcune disposizioni. Tale componente esercita un
effetto paralizzante soprattutto sul versante organizzativo che più che mai ora
avrebbe bisogno di linfa e nuove idee. La paralisi burocratica genera anche inerzie
motivazionali nei singoli docenti, condannando quindi la scuola a un’esecutività
puramente tecnica.
D’altra parte è anche
importante sottolineare come questo «presente assoluto» debba comunque in qualche
modo essere gestito dal punto di vista organizzativo e riorganizzativo: c’è ormai
una stabilizzazione rispetto alla routine scolastica della scuola lontano e fuori
dalla scuola; c’è anche una crescente consapevolezza da parte delle famiglie dei
nuovi ruoli e responsabilità condivise in ambito educativo; manca invece la
prospettiva, non tanto relativamente al «quando» si tornerà a scuola dentro la
scuola, ma rispetto al «come»: la politica dei singoli istituti è al momento rivolta
alla conclusione dell’anno scolastico in corso, le prospettive sono opache, il grado
di incertezza sull’evoluzione della pandemia e sulle misure che connoteranno la
cosiddetta Fase 2 è ancora troppo elevato perché le scuole riescano a ridefinire il
proprio ruolo. È in atto al momento un’operazione di
{p. 276}«riduzione della complessità»: molte sarebbero le variabili
da porre sotto osservazione, innumerevoli gli elementi di allerta, i fattori di
disuguaglianza, le iniquità. Per questo si opta per un modello di sopravvivenza,
consapevoli anche del forte carico di stress emotivo che renderebbe ulteriormente
gravosa una programmazione ex novo.
5.3. La destrutturazione delle relazioni
La quotidianità scolastica
per i bambini è un fattore altamente strutturante il loro tempo. Ma dentro questo
tempo non ricade soltanto l’attività di apprendimento, bensì una parte rilevante è
riservata alla socialità e alle relazioni, sia con le insegnanti, sia con i pari. La
scuola primaria è il luogo per eccellenza e in cui si avvia la socializzazione
secondaria e la socializzazione normativa. I bambini a scuola cessano di essere
figli per diventare alunni, quindi acquisiscono il loro primo ruolo pubblico,
ottengono un riconoscimento sociale. Inoltre sviluppano un’identità che è correlata
alla scuola che frequentano, alla classe di cui fanno parte. I bambini si
riconoscono e si definiscono come componenti di un gruppo che è la propria classe.
Il venir meno della «coabitazione» dentro la scuola per cinque giorni a settimana a
tempo pieno significa per molti bambini la perdita pressoché totale di ogni
relazione con i pari.
La condizione di isolamento
fisico porta con sé implicazioni importanti sul piano relazionale e affettivo. Le
insegnanti delle scuole riferiscono di un diffuso senso di disorientamento dei
bambini: a un iniziale momento di euforia legata alla «vacanza» protratta dalla
scuola è subentrata una condizione di profondo abbattimento e nostalgia. Il distacco
dalla scuola e dalla classe come luogo fisico porta con sé anche significati
simbolici: perdita di una parte della propria identità, perdita delle relazioni
quotidiane con compagni e amici, distacco emotivo dalle insegnanti come adulti di
riferimento. Si potrebbe dire che è in corso una fase di social
rebonding che avviene per il tramite della costruzione di nuove
comunità transitorie, ma a differenza di quanto {p. 277}afferma
Gordon secondo cui esse sarebbero caratterizzate da legami molto forti, anche di
fusione, la loro caratteristica in questo contesto è invece riconducibile al fatto
che si tratta di comunità a distanza e costruite più sulla base del criterio
dell’opportunità che non della scelta. Se in condizioni ordinarie i bambini si
sceglievano e costruivano legami speciali di amicizia e affetto con alcuni tra i
compagni di classe, ora le comunità transitorie si costituiscono in base al fatto di
poter avere una connessione, di avere una playstation con cui giocare e luoghi
virtuali in cui trovarsi. Sono quindi comunità in cui i legami possono essere meno
forti, più legati a una circostanza che non a una affinità. Manca inoltre del tutto
la condivisione di esperienze, ludiche e scolastiche, mentre l’unica esperienza
condivisa è quella della pandemia. Ma non soltanto vengono diminuite come quantità
le relazioni con altri al di fuori della famiglia; anche la qualità di tali
relazioni è mediocre, sia per quanto si precisava prima a proposito della
costituzione di gruppi tra pari, sia nella gestione delle interazioni a distanza per
i bambini con gli adulti («i bambini si vergognano, li vediamo diversi quando ci
parliamo a distanza, non sono abituati assolutamente a interagire con noi in questo
modo; e ancora peggio tra di loro», da focus con insegnanti
della scuola Ortensia).
La situazione emergenziale
dunque deprime le capacità di agency dei bambini, che hanno
poche capacità di vedere ascoltata la propria voce, che perdono la possibilità di
confronto e costruzione della propria realtà insieme ai pari e che hanno un limitato
accesso alle informazioni, se non in via mediata dagli adulti.
5.4. Oltre i programmi: ciò che si impara a scuola oltre la scuola
Ben prima dell’emergenza le
finalità della scuola erano state più e più volte ribadite: trasmissione di saperi
curricolari, educazione, relazione. La parte strettamente didattica della scuola
occupa una porzione del tempo pieno. Sia nella veicolazione dei contenuti didattici
(sempre meno trasmissiva {p. 278}e sempre più interattiva) sia
nella vita di classe, i bambini apprendono competenze e regole, imparano a stare
insieme e a gestire le loro differenze, sperimentano esperienze.
La giornata a scuola include
infatti attività laboratoriali, gite, visite esterne, momenti di gioco e
ricreazione, attività di gruppo. Queste attività sono di vitale importanza in
generale, ma lo sono tanto più come strumenti ulteriormente equitativi: i bambini di
classi sociali svantaggiate fruiscono del cinema unicamente con la scuola, visitano
un’altra città soltanto con la propria classe, entrano in biblioteca soltanto con i
propri insegnanti.
La perdita della routine
scolastica accentua quindi le disuguaglianze e produce uno svantaggio educativo che
è ben più che curricolare. La scuola a distanza crea un vuoto di conoscenze per
alcuni, questo è indubbio; ma crea anche una perdita di competenze, siano esse già
presenti nei bambini o in sviluppo o consolidamento. Questo aspetto evidenzia bene
quanto le differenze culturali, specie delle famiglie, in alleanza o in
compensazione rispetto alla scuola e da parte della scuola, abbiano un peso anche
rispetto alle risposte educative nel senso più ampio del termine in una situazione
di emergenza. Non lavorare più in gruppo disabitua alla cooperazione, non essere
sottoposti a verifiche sugli apprendimenti indebolisce la capacità organizzativa e
la resistenza allo stress; la mancanza per molti alunni di stimoli all’interno della
sfera familiare produce un allentamento della creatività, dell’energia, della
fantasia («io alcuni bambini li vedo davvero male, mi sembra che siano regrediti in
modo impressionante... avevano bisogno della scuola per cose molto più importanti
del programma... ci sono situazioni che non si possono neanche immaginare nelle
case, alla fine vengono piazzati 12 ore davanti alla TV», da
focus con insegnante della scuola Primula). Anche per i
bambini che appartengono a famiglie attrezzate culturalmente la distanza fisica
dalla scuola crea un arretramento delle loro capacità e competenze («con il passare
delle settimane, ogni volta che mi collego, io sti bambini li vedo davvero male...
sono apatici, insofferenti, distratti... e i genitori non per forza perché sono
laureati sono capaci di seguirli, o peggio non {p. 279}ne hanno
proprio voglia, stanno emergendo le criticità e i limiti delle relazioni familiari»,
da focus con insegnante della scuola Gelsomino). Questo
rallentamento del processo di crescita e sviluppo cognitivo, relazionale ed
esperienziale dei bambini mette ulteriormente sotto accusa il sistema
scuola-famiglia e la sua incapacità di lavorare in modo cooperativo. Quanta parte di
questa incapacità vada imputata alle famiglie, quanta alla scuola e quanta alle
relazioni pregresse tra le due agenzie di socializzazione è difficile a dirsi, ma
certamente l’incapacità di dare significato e rimodulare comportamenti e aspettative
sembra essere maggiormente a carico delle famiglie, che per troppo tempo hanno
delegato alla scuola compiti e attività. Di questo aspetto si parlerà ulteriormente
nel paragrafo successivo. L’intervento delle insegnanti è, ancora di più per queste
ragioni, ugualmente rivolto alla componente curricolare e al mantenimento delle
competenze acquisite. Ove possibile si incoraggia il lavoro a gruppi a distanza, si
favoriscono situazioni di tutorato tra pari (un compagno più bravo è tutor di un
compagno più debole) con il duplice obiettivo di responsabilizzare i bambini e di
spingerli a costruire relazioni significative con i pari, anche al di fuori
dell’ambito degli amici più stretti. Si veicola in tal modo anche il valore della
solidarietà e si tenta di rafforzare in loro l’idea che la classe sia una comunità
in cui il contributo di ogni membro è indispensabile per la sopravvivenza di tutti.
Tuttavia anche su questo versante la capacità delle insegnanti è estremamente
variabile: sono esse stesse spesso in difficoltà a mettere in campo azioni e
pratiche educative in grado di contenere gli effetti negativi della crisi legata
alla pandemia. Anche rispetto a gruppi di alunni maggiormente svantaggiati e che
necessitano di un intervento educativo più forte e maggiormente costate, soprattutto
per quanto riguarda le competenze socio-emotive, le insegnanti mostrano differenti
capacità di intervento e diversi livelli di attenzione per tali situazioni.
Un elemento emerso
dall’interazione con le insegnanti è di particolare interesse: la competenza che i
bambini riescono, anche in condizioni avverse, a conservare, è la loro creatività.
Anche i compiti vengono svolti ricorrendo {p. 280}alla fantasia, il
disegno è il vettore principale, ma lo sono anche i diari, i giochi inventati dai
bambini, le filastrocche. Esiste quindi una forte capacità di resilienza infantile,
una capacità di adattamento dei bambini e risorse, forse inaspettate, di riflessione
sulla realtà e sulla situazione che stanno sperimentando. Questo almeno accade con
la maggior parte dei bambini, specie quando insegnanti e genitori danno loro spazio
per l’espressione della loro fantasia, ma anche in questo caso se le condizioni
iniziali dei bambini sono di svantaggio estremo, questa situazione si ripercuote
fortemente sulle loro capacità di resilienza.
Infine, un aspetto che
irrompe inatteso in questo scenario è quello della socializzazione normativa: i
bambini che a scuola si opponevano alle regole, le trasgredivano o le subivano, ora
nella domesticità le domandano, ne sentono il bisogno, e cercano di riprodurle. Le
insegnanti mostrano esse stesse sorpresa per questa autonormatività. Le norme non
sono soltanto un obbligo da rispettare, costituiscono uno strumento di
normalizzazione della quotidianità, sono l’espediente attraverso il quale i bambini
riescono a gestire le proprie giornate, dare senso alle attività che svolgono,
inserirsi in una scansione di orari, ritmi, scadenze. Soprattutto i bambini degli
ultimi anni della primaria hanno profondamente acquisito le regole che governano la
quotidianità scolastica, sia negli apprendimenti, sia nei momenti di gioco. Molti di
loro riescono ad autolimitarsi nell’uso dei giochi elettronici, si dedicano
spontaneamente allo studio, hanno scoperto il piacere della lettura, cantano le
canzoni che hanno imparato in classe. Questi elementi ci portano a ipotizzare che,
seppur privati di spazi e tempi regolati dagli adulti, i bambini trovino il modo per
riproporre, reinterpretandola, quella stessa regolazione.
6. Una nuova alleanza educativa?
Uno degli elementi ricorrenti
quando si parla di scuola è quello della relazione con le famiglie. Poco fa abbiamo
accennato come anche questa dimensione sia stata rimessa {p. 281}in
gioco, problematicamente, dalla situazione della didattica a distanza.
In termini generali, prima della
pandemia, tale relazione era andata trasformandosi in due direzioni principali: da una
parte si è attuata una crescente delega da parte della famiglia alla scuola, non
soltanto sul mandato strettamente curricolare ma educativo e regolativo nel senso più
ampio. D’altro canto, la scuola è stata messa sotto scacco dalla famiglia: contestata,
sfidata, criticata per i suoi metodi, le sue risorse educative, le sue (in)capacità di
dare formazione e risposte; continuamente criticata per non essere all’altezza delle
sfide educative, in ritardo con i programmi, non abbastanza performante. Da entrambi gli
elementi è derivata una frattura netta della sempre citata e mai di fatto realizzata
alleanza educativa.
Per altro verso, per dirla con
Furedi [2016], possiamo vedere la scuola fortemente in crisi, attraversata da tendenze
per certi versi paradossali: basse aspettative nei confronti dei ragazzi, la tendenza a
infantilizzarli attraverso una forte psicologizzazione del rapporto educativo e un
continuo maternage, la centratura costante sulle loro motivazioni,
il declino dell’autorità degli adulti minano ciò a cui l’istruzione dovrebbe mirare,
cioè la formazione di persone autonome, critiche, capaci di una propria visione del
mondo. Al tempo stesso, la scuola sembra essere pensata in maniera sempre più funzionale
all’economia e al lavoro. Si dovrebbe allora – sempre secondo Furedi – portare una
costante riflessione, in sostanza, sull’individuazione delle condizioni dell’educazione
e dell’educabilità nelle specifiche condizioni attuali, cogliendone gli aspetti
problematici ma anche quelli innovativi. A tal proposito, quale può essere allora una
modalità positiva per ripensare la relazione tra genitori e istituzione scolastica?
Alcuni studi [Corradini 1993] affermano che il rapporto fra istituzione scolastica e
genitori può strutturarsi positivamente sulla base della condivisione di due aspetti
principali. Il primo aspetto è che migliorando lo stile educativo dei genitori si creano
le condizioni ottimali perché migliorino anche i figli nei loro apprendimenti e nel
successo scolastico. Il secondo aspetto {p. 282}è che quanto più mature
e fluide diventeranno le relazioni tra scuola e famiglia, tanto maggiore vantaggio ne
ricaverà la scuola stessa nello sviluppo dei suoi obiettivi educativi e formativi. Vi è
una corposa quantità di studi e meta-analisi nella letteratura educativa che hanno
evidenziato i benefici associati al coinvolgimento dei genitori. Esso è considerato sia
un fattore chiave per migliorare i risultati scolastici degli studenti, sia una strada
per ridurre il divario tra i risultati scolastici degli studenti di classi sociali
diverse. Altri benefici possono racchiudersi in un range che va da
una maggiore autostima da parte degli alunni a una maggiore motivazione
all’apprendimento, dallo sviluppo di migliori abilità sociali e di autoregolamentazione
a minori difficoltà comportamentali [Changkakoti e Akkari 2008; Deslandes 2009; 2010].
Nel corso degli anni, tali ricerche hanno anche identificato i fattori che influenzano
la quantità di coinvolgimento dei genitori, tra cui le caratteristiche dei genitori e
delle famiglie (livello di istruzione, dimensioni e struttura della famiglia, etnia), le
caratteristiche dei bambini (età, rendimento scolastico, sensibilità all’influenza della
famiglia) e le caratteristiche e le pratiche degli insegnanti e delle scuole (valori,
formazione). Questi possono essere fattori di rischio o di protezione. Ad esempio, la
cura della formazione degli insegnanti su come lavorare con i genitori può essere vista
come un fattore di protezione se, in seguito, si utilizzano strategie efficaci per
promuovere il coinvolgimento dei genitori [Deslandes, Fournier e Morin 2008].
Ovviamente, il coinvolgimento dei genitori favorisce la collaborazione scuola-famiglia e
viceversa. Alla scuola e ai suoi insegnanti è stato invece richiesto – nella
rappresentazione delle insegnanti stesse – di sostituirsi ai
genitori, cioè di educare in modo esclusivo i bambini – per esempio
spiegando loro le regole e il significato delle regole. Tale attività educativa e
regolativa non riguarda soltanto le attività didattiche (a titolo esemplificativo: fare
i compiti entro la consegna, rispettare le scadenze, alzare la mano prima di parlare,
ecc.), ma più in generale tutta la quotidianità scolastica (rispettare la fila per
andare in bagno, rispettare i turni di parola, mangiare seduti e composti in mensa,
usare le formule di cortesia nell’interazione, chiedere {p. 283}scusa
se si è stati maleducati o scortesi, stare in silenzio nei corridoi, rimanere in gruppo
e aspettare le indicazioni della maestra per attraversare la strada, ecc.). Gran parte
di queste regole si trasferiscono poi anche nell’ambiente domestico, ma spesso secondo
le maestre non vi è né cooperazione da parte delle famiglie rispetto a questo mandato
educativo, né un intervento di rinforzo di quanto appreso a scuola. In questo caso
quindi la scuola assumerebbe su di sé per intero il compito educativo.
La mancanza di quotidianità
scolastica a causa dell’emergenza sanitaria ha introdotto un ulteriore elemento in
questo contesto. Le narrazioni delle insegnanti riferiscono di una polarizzazione negli
atteggiamenti dei genitori, non necessariamente corrispondente a quanto già accadeva
nella routine ante-emergenza. Da un lato vi sono i genitori che hanno recuperato un
rapporto con i figli, che si dedicano a loro quasi continuamente lungo la giornata,
aiutando nei compiti, interagendo con le insegnanti, provando a loro volta (su
indicazione delle insegnanti stesse sollecitate in tal senso) ad accompagnare gli
apprendimenti dei figli. Sono i genitori «di ritorno», quelli che nella quotidianità
sono assorbiti a tempo pieno da uno o più lavori, che hanno più figli, vite piene e poco
tempo. Questi genitori sono anche coloro che maggiormente si confrontano con gli
insegnanti, li cercano come esperti autorevoli e spesso come profondi conoscitori dei
loro figli.
Dall’altro lato stanno i genitori
apprensivi e ossessivi, che già ritenevano la scuola inadeguata e insufficiente e ora
l’accusano di non fare abbastanza, di non dare abbastanza compiti, di non monitorare
abbastanza gli apprendimenti. Sono i genitori del «non è mai abbastanza». Ma sono anche
i genitori che spesso formulano queste accuse perché non hanno alcun interesse a
occuparsi in prima persona dei figli. Questi genitori, inoltre, destituendo del tutto di
autorevolezza le figure docenti, creano un disorientamento profondo nei loro figli: i
bambini faticano a seguire le lezioni e i materiali delle insegnanti e vengono
monopolizzati dai genitori, che tuttavia spesso non dimostrano alcuna competenza
didattica ed educativa in senso ampio.{p. 284}
È certo che per tutti la
destrutturazione del tempo abbia avuto un impatto significativo sulle dinamiche
familiari, le abbia rimodulate, esasperandone i tratti caratteristici, mettendo in luce
le fragilità di alcuni e viceversa le risorse di altri. La situazione emergenziale ha
richiesto una riorganizzazione di tempi, responsabilità, ruoli, scopi, priorità, regole
e le famiglie hanno mostrato, indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza,
una difficoltà di adattamento. Due sembrano essere i principali fattori di stress a cui
le famiglie sono esposte e che si riflettono negativamente sull’attività scolastica e
parascolastica dei figli: la mancanza di alleanza educativa con la scuola, che oggi non
è più in grado di assumersi compiti educativi, di intrattenimento, di regolazione e di
saturazione del tempo; la difficoltà a gestire la coabitazione e la convivenza con figli
che sono in larga parte cresciuti da altri; l’incapacità dei genitori a entrare
efficacemente nella quotidianità scolastica dei figli, a seguirli nei compiti, negli
apprendimenti, nei programmi a causa di una distanza dalla scuola, dai suoi metodi e dai
suoi contenuti che dura da molto tempo, per molti dal primo ingresso dei bambini nel
circuito educativo.
7. Un ritorno alla responsabilità sociale della scuola?
L’ultimo ventennio della scuola
italiana è stato caratterizzato dalla presenza incombente di stereotipi in merito alle
sue qualità, alla sua organizzazione, alle sue risorse umane.
La scuola primaria in particolare
è stata spesso scambiata per un luogo in cui «sistemare» i figli, garantendo cura (e
anche apprendimenti, ma in misura meno cruciale) durante le attività lavorative dei
genitori («Non dobbiamo dimenticare che da quando io insegno almeno per molti genitori
la scuola è sempre stata solo un parcheggio, un posto dove mettere i figli, del resto o
non importava niente o si criticava o si ragionava solo per luoghi comuni, come se fare
l’insegnante fosse un’attività banale alla portata di tutti», da
focus con insegnanti della scuola Primula). La rappresentazione
sociale degli insegnanti è andata cristallizzandosi nel tempo
{p. 285}in un’immagine svalutativa, per conoscenze, competenze, metodi
didattici, aggiornamenti; a questo si associavano i luoghi comuni in merito a una
professione con pochi oneri e molti vantaggi: orario corto (mentre così non è), numero
di giorni lavorati nell’anno molto inferiore a qualsiasi altro dipendente.
Se un cambiamento positivo
l’emergenza ha portato, esso è, secondo alcune insegnanti, quello che riguarda la
rivalutazione sociale della scuola e dei suoi insegnanti. Il discredito generale sulle
istituzioni scolastiche ha lasciato man mano il posto a una rappresentazione
maggiormente realistica, fatta di lezioni in diretta (che i genitori hanno potuto
osservare e ascoltare insieme ai figli), di interazioni didattiche ed emotive tra i
propri figli e le insegnanti, di lavoro nell’ombra fatto di correzioni, preparazione di
materiali, attuazione di pratiche didattiche innovative, creative e costruite su misura
per i propri alunni. Siamo quindi in presenza di un ripensamento della scuola e sulla
scuola.
Secondo le narrazioni delle
insegnanti, a tratti anche eccessive su questo punto e amplificate dalla congiuntura
pandemica, dopo molto tempo la scuola starebbe tornando al centro e le verrebbe
riconosciuto un ruolo sociale indispensabile: non soltanto infatti è in capo ad essa lo
svolgimento di programmi didattici e la verifica degli apprendimenti, ma su di essa
ricadono attività che includono competenze, relazioni, interazioni, capacità di
motivare, risorse emotive. La scuola sta diventando, ai tempi del Covid-19, il luogo
simbolico della normalità di un’intera generazione di studenti, la maggior parte dei
genitori la vede oggi con occhi nuovi. Mutano l’interazione tra genitori e insegnanti,
si attribuisce un valore nuovo a quelle otto ore quotidiane nelle aule scolastiche («È
la prima volta da quando insegno, e non è poco tempo, che davvero tutti i genitori si
rivolgono a noi insegnanti con rispetto e fiducia, capiscono finalmente il nostro
lavoro, il nostro ruolo e quanto facciamo ogni giorno per e con i loro bambini», da
focus group con insegnanti della scuola Ortensia).
La nuova immagine della scuola
non è soltanto un restyling momentaneo ed effimero, bensì è
l’epifenomeno {p. 286}di risorse che già sono da sempre al suo interno:
dirigenti scolastici che coordinano gruppi di lavoro, animatori digitali che incentivano
gli apprendimenti delle tecnologie, insegnanti che si aggiornano. Che queste qualità
stiano finalmente venendo alla luce e vengano riconosciute è un dato di fatto e questo
processo rappresenta una delle forme con cui si ricostruisce il senso della comunità a
cui si appartiene, se ne scopre il valore e l’indispensabilità. La nuova reputazione
della scuola offre una nuova cornice di senso alle famiglie e ai bambini, innesca
meccanismi positivi perché aiuta a rimodulare il tempo domestico, a scandire i giorni
feriali dai festivi, a imporre regole sull’uso del tempo, a riconoscere ruoli e
responsabilità internamente ed esternamente alla famiglia.
Tuttavia non è possibile
descrivere l’intero mondo della scuola in modo lusinghiero: anche su questo punto le
eterogeneità sono massime, tra parti del paese e tra istituti. Le attivazioni per
rispondere all’emergenza sono state molto diverse, hanno avuto tempi di reazione
diversi: accanto a scuole pronte ve ne sono state altre che sono rimaste spiazzate,
inerti; alcune di queste hanno saputo svegliarsi dal torpore e attivare risorse talora
anche impensate tra i loro insegnanti, altre invece sono ancora inerziali e con questo
corrono il rischio, individuale, di compromettere apprendimenti e relazioni con i propri
alunni; nonché di dare nuova forza a quella retorica della scuola che non funziona e non
sa cogliere le sfide del suo tempo.
Un evento spiazzante di portata
planetaria come l’emergenza Covid-19 ha ricadute a diversi livelli.
È un evento emergenziale che
mette sotto gli occhi dei cittadini le disuguaglianze, che le enfatizza: mostra quanto
siano diverse le scuole tra loro, quanto lo siano gli insegnanti, quanto lo siano le
famiglie. E mostra anche quanto la portata equitativa della scuola, che da sempre è tra
gli obiettivi dei sistemi formativi ed educativi, sia fragile e facilmente attaccabile
da eventi esogeni.
Un evento del tutto estraneo ai
sistemi educativi ha messo sotto scacco anche la principale agenzia di
socia{p. 287}lizzazione insieme alla famiglia: ne ha mostrato i limiti
sul piano organizzativo, ha evidenziato le lacune nelle dotazioni infrastrutturali, ha
mostrato l’inadeguatezza degli investimenti in formazione degli insegnanti e del Piano
nazionale per la scuola digitale. La regia centrale è stata modesta, e le attivazioni
locali lasciate alle iniziative dei singoli.
Una cosa ha funzionato nella
scuola: la valorizzazione delle sue risorse umane migliori. Chi tra gli insegnanti ha
lavorato in direzione dell’alleanza educativa ha avuto un vantaggio con le famiglie, chi
ha mantenuto un costante aggiornamento su metodi, pratiche e innovazioni nella didattica
ha saputo fronteggiare l’imprevedibile. E lo ha fatto con esiti apprezzabili sia per gli
apprendimenti e le relazioni con i bambini, sia per le interazioni con le loro famiglie.
Gli insegnanti resilienti hanno
scoperto una nuova professionalità, e sono stati al contempo incubatori e acceleratori
di una nuova modalità didattica ed educativa. Hanno saputo trasferire anche a distanza
molto di più dei contenuti curricolari e sono diventati punti di riferimento essenziali
per famiglie e bambini disorientati dall’emergenza prima e dai nuovi ruoli che si
trovavano costretti ad assumere poi.
8. Nuove competenze per una nuova scuola?
Le cinque competenze già
osservate nei docenti attraverso la survey e le osservazioni d’aula
sono state oggetto di ulteriore indagine attraverso le interviste di gruppo.
Alcune di esse hanno mostrato
interessanti punti di intersezione e di rafforzamento reciproco, altre hanno mostrato
evidenti segnali di sfilacciamento.
L’aspetto organizzativo si è
rivelato cruciale in tempi di emergenza sanitaria. In questo specifico frangente infatti
gli aspetti organizzativi si sono declinati a tre livelli: in primo luogo si sono
strutturati a livello centrale, ossia nella cabina di regia presieduta dal dirigente
scolastico (a sua volta in collegamento con l’Ufficio scolastico regionale e
provinciale). In questa sede si è trattato di pianificare la didattica in tempi di
distanziamento sociale. Hanno fatto parte di questa {p. 288}cabina di
regia quindi sia le figure strumentali di ogni singolo plesso, sia i tecnici su cui
grava il compito di predisporre piattaforme, procedure e accessi per la didattica a
distanza. Sono stati oggetto di organizzazione e riorganizzazione sia gli aspetti
informatici della didattica a distanza, sia i contenuti delle lezioni rispetto ai piani
curricolari, sia il planning settimanale riguardante le ore di collegamento per singola
classe. Quindi questo primo livello ha riguardato le linee guida generali all’interno di
ogni singola scuola, in relazione alle sue caratteristiche, dotazioni strumentali e
tecniche, nonché caratteristiche dell’utenza e del corpo docente.
Il secondo livello coinvolto
nell’organizzazione è stato quello relativo all’interclasse: si è trattato in questo
caso di avviare un piano di coordinamento tra le classi quinte e le loro insegnanti al
fine di individuare un format comune da applicare nella didattica a distanza. In questa
fase si sono uniti un aspetto formale riguardante quantità di ore settimanali di
collegamento, di dislocazione nelle diverse fasce orarie, divisione del lavoro tra
docenti della stessa classe per area disciplinare e per attività in compresenza. In un
momento successivo si sono aggiunte anche indicazioni in merito agli aspetti valutativi,
come da indicazioni ministeriali recepite poi dagli uffici scolastici regionali.
Infine il terzo livello
organizzativo ha riguardato le singole classi, ma non soltanto per aspetti di
programmazione oraria e contenutistica, quanto piuttosto per metodi didattici, tipi di
interazione con i bambini, relazioni con le famiglie, presa in carico degli alunni con
bisogni speciali o con caratteristiche individuali di maggiore fragilità sia rispetto
agli apprendimenti sia rispetto all’interazione con i pari, evidentemente molto
compromessa dal distanziamento sociale.
Complessivamente le scuole hanno
dato prova di buone capacità organizzative: la complessa macchina di ogni Istituto
Comprensivo si è attivata in modo specifico in relazione alle proprie priorità e
urgenze. Possiamo individuare tre gruppi di scuole raggruppate per tipo di risposta
organizzativa all’emergenza sanitaria.
Il primo gruppo riguarda le
scuole che hanno agito all’insegna della tempestività, dell’efficacia e dell’efficienza.
Sono {p. 289}le scuole che già disponevano di risorse
tecnico-informatiche avanzate, la cui utenza non presentava particolari fattori di
criticità a cominciare dalla disponibilità di dispositivi digitali, e con una discreta
esperienza pregressa delle insegnanti e dei bambini durante la didattica tradizionale
nell’utilizzo di tablet, pc e altre risorse tecnologiche.
Nel secondo gruppo confluiscono
le scuole con caratteristiche diametralmente opposte: utenza complessa per esiguità di
risorse tecnologiche, fragilità economica, limitate risorse culturali che consentissero
di affiancare i figli nella didattica a distanza; limitate risorse anche all’interno
della scuola e scarsa familiarità con i dispositivi elettronici durante la didattica
tradizionale.
Infine il terzo gruppo che si è
caratterizzato per una netta cesura tra due fasi: un esordio critico caratterizzato da
un forte disorientamento e una carenza di risorse tecnologiche, seguito da
un’attivazione forte e concertata tra docenti che hanno individuato modalità, contenuti
e strumenti praticabili e adeguati per alunni e famiglie.
Altrettanto rilevante si è
rivelata la capacità di cooperazione, che ha favorito, ove presente, la realizzazione
della didattica a distanza e la conservazione, nei limiti del possibile, degli aspetti
relazionali tipici dell’interazione d’aula.
La cooperazione si è realizzata
su due diversi livelli: il primo è stato quello tra docenti, e ha mostrato maggiore
facilità a prendere forma in soluzioni concrete nei casi in cui il team docente già
lavorava in modalità cooperativa. Molto complessa e critica invece la situazione delle
scuole nelle quali la coppia delle insegnanti aveva rapporti soltanto formali e il
metodo didattico e quello educativo tendevano a essere completamente divergenti.
Tuttavia, in ragione delle peculiarità della didattica a distanza (in cui da una parte
si accentua il distanziamento tra insegnanti e alunni ma dall’altra si accorcia quello
tra insegnanti e genitori che diventano a tutti gli effetti parte integrante della
relazione educativa, quando non addirittura sostituti dei figli o competitor degli
insegnanti), l’altro asse lungo il quale ha preso forma la cooperazione è stato proprio
quello tra insegnanti e genitori.{p. 290}
Anche in questo caso è stata la
pregressa qualità della relazione (e la presenza di una più o meno solida alleanza
educativa) con le famiglie a fare la differenza. Nel caso in cui tale relazione sia
stata caratterizzata da conflitto, prevaricazione da parte delle famiglie, ripetuta
critica nei confronti dell’operato delle insegnanti, anche nella didattica a distanza
tali caratteristiche sono emerse. Ne è derivata un’ulteriore compromissione della
relazione scuola-famiglia, una diminuzione della motivazione delle insegnanti e della
percezione della propria autoefficacia, e un arroccamento esclusivamente sul livello
esecutivo e sulla regolarità formale della propria attività professionale.
Nei casi in cui invece il
rapporto scuola-famiglia sia stato fondato su collaborazione e delega fiduciaria, tale
clima si è riproposto anche nella didattica a distanza, anche con un notevole
investimento supplementare da parte delle insegnanti per venire incontro (e spesso in
soccorso) a famiglie le cui dotazioni tecnologiche erano quasi inesistenti, le risorse
culturali esigue e il capitale economico molto vincolante. La scuola in questo caso ha
predisposto misure di supporto quali la distribuzione di tablet (in possesso della
scuola o ordinati ad hoc con i fondi ministeriali a ciò preposti)
alle famiglie sprovviste di dispositivi idonei alla fruizione della didattica a
distanza.
Infine il gruppo di scuole
caratterizzate nella didattica in presenza da un rapporto distante e scarsamente
partecipativo da parte delle famiglie ha mostrato andamenti controversi: da una parte un
disinteresse persistente e un’accentuazione della distanza rispetto alla scuola;
dall’altra invece una parziale riscoperta della scuola e del suo valore, come a rendersi
conto per la prima volta di ciò che la scuola rappresenta sia materialmente, sia
simbolicamente nella vita dei figli.
Le prime due competenze
esaminate, organizzazione e cooperazione, profondamente legate tra loro come si è visto,
hanno anche evidenziato legami con energia e resistenza allo stress. La situazione di
generale difficoltà e soprattutto la sua elevata imprevedibilità ha compromesso, almeno
nella fase iniziale, l’energia delle docenti. Ha prevalso infatti nella fase confusa e
caotica della chiusura delle scuole un senso {p. 291}di
disorientamento, ulteriormente alimentato dalla mancanza di indicazioni su un’eventuale
ripresa. Le diverse capacità di reazione e riorganizzazione delle scuole, anche a
livello centrale, prima ancora che di singola classe, hanno avuto un impatto
significativo sulle risorse delle docenti. A questa fase di disorientamento ha fatto
seguito, nella maggior parte dei casi, una reazione di contrasto e un successivo
adattamento al nuovo stato di cose. Tuttavia le motivazioni alla base di questa capacità
di resistenza allo stress sono state diverse tra le insegnanti: per alcune si è trattato
di una competenza che ha trovato il suo fondamento nel senso di responsabilità e la
professionalità nello svolgimento del proprio lavoro, acuito dalla rappresentazione
sociale sulla scuola e i suoi limiti. Si è trattato, in questi casi, di una risposta sia
individuale, sia istituzionale.
Per altre invece la capacità di
reazione è stata indotta dal timore di critiche, soprattutto da parte delle famiglie,
con cui l’interazione era divenuta forzatamente più assidua e dalle quali provenivano
continue richieste, critiche, commenti sull’adeguatezza del ruolo.
Infine per altre si è trattato di
un’attivazione rivolta alla protezione dei bambini, divenuti la priorità assoluta, tanto
più nei casi in cui il paracadute familiare non era così protettivo. In condizioni di
fragilità pregressa, la chiusura delle scuole faceva correre il serio rischio ad alcuni
bambini di essere completamente esclusi dalla scuola, e per suo tramite anche dalle
relazioni con i pari.
È evidente che in una situazione
emergenziale diffusa, dalla durata imprevedibile, con scenari altrettanto imprevedibili
la competenza che più di tutte ha sofferto è stata la creatività: le risorse delle
insegnanti sono state convogliate verso aspetti dapprima tecnici e organizzativi,
successivamente verso una sorta di autovalutazione e autocorrezione man mano che la
didattica procedeva al fine di raggiungere la massima efficacia possibile, e infine
verso aspetti nuovamente organizzativi e gestionali legati non soltanto alla chiusura di
un anno scolastico, ma di un ciclo di cinque anni, e delle relative incombenze anche in
termini di continuità con il ciclo successivo. Poche le risorse residue per
{p. 292}mettere in campo la creatività, né nella didattica né nelle
relazioni.
9. Dentro le scuole: quanto contano le competenze socio-emozionali?
Anche nell’eterogeneità delle
caratteristiche socio-culturali dell’utenza delle scuole (e conseguentemente anche degli
stimoli cui i bambini vengono esposti fuori dalla scuola e che possono contribuire a
sviluppare competenze), i dirigenti convergono sulla rilevanza del tema delle SES. I
contenuti curricolari, indispensabili, non sono però più ritenuti sufficienti a
preparare gli alunni, sia in vista della transizione alla scuola media inferiore, sia in
riferimento alle molteplici sfide cui sono esposti in ambito familiare, tra pari, e
anche nel tempo libero e di gioco ormai costellato di attività, sovraccaricato di ansie
da prestazione e fortemente condizionato anche da modelli che promanano dai media. È
ritenuto cruciale avere una visione complessiva del benessere infantile, che superi la
dimensione esclusivamente curricolare («L’obiettivo è sempre anche di lavorare sullo
sviluppo psicologico ed educativo. C’è sempre grande attenzione e sensibilità nella
progettazione per l’ascolto dei bambini, e in questo il tema delle competenze
socio-emotive è cruciale», Intervista a dirigente scuola
Azalea). La socializzazione alle competenze è inoltre
essenziale per rafforzare i processi di apprendimento («perché sono proprio le
competenze sociali ed emotive che consolidano e stabilizzano gli apprendimenti; il
problema è l’acquisizione di competenza, non solo l’apprendimento. E queste competenze
sono fondamentali per questo. Un ambiente sereno, di condivisione, produce migliori
apprendimenti e apprendimenti plastici che si moduleranno nei diversi ambienti e questo
prima lo si fa e meglio è», Intervista a dirigente scuola Primula).
Quanto al secondo punto, ossia la
formazione specifica dei docenti su questo tema, i dirigenti concordano rimarcando la
mancanza di preparazione sull’argomento e la difficoltà {p. 293}a far
acquisire una diversa prospettiva educativa ai docenti («Il fabbisogno formativo degli
insegnanti è molto elevato perché i docenti hanno enormi problemi della gestione d’aula.
Sono bravi come conoscenze ma non sanno fronteggiare le sfide dei bambini che sono
adolescenti molto prima e meno che mai sanno fronteggiare le famiglie», Intervista a
dirigente scuola Gelsomino). A questo si aggiungono le caratteristiche individuali che
rendono un docente sensibile a dimensioni diverse da quelle strettamente curricolari e
altri invece poco motivati («L’insegnante è centrale, anzi di più ma è ben difficile
imparare le SES e l’empatia con i bambini. Insegnante ci nasci. Talvolta ci sono
insegnanti non fenomenali dal punto di vista delle conoscenze, e si cerca di
aggiornarli; questo è più facile. Però hanno capacità spiccate, infondono il piacere
dello studio, sono sereni, comunicativi. Questo è quello che sviluppa e sostiene le
competenze, oltre che gli apprendimenti», Intervista a dirigente scuola Ginestra). E il
ruolo dell’insegnante si potenzia o depotenzia in riferimento anche al tipo di relazione
con le famiglie. La relazione scuola-famiglia sarà oggetto di approfondimento negli
studi di caso che si tratteranno oltre, ma è evidente che anche qui ne viene
sottolineata l’importanza ai fini di un risultato educativo che vada oltre la
valutazione e la performance («L’insegnante fa ciò che può peraltro, perché se non ha il
sostegno della famiglia è difficilissimo», Intervista a dirigente scuola Corniolo).
Per quanto riguarda le competenze
tutte le scuole riferiscono di una consistente presenza di progetti per ogni anno
scolastico e per diversi aspetti cognitivi, educativi, in parte anche relazionali e
affettivi. Tuttavia nulla è mai stato fatto in modo specifico sulle competenze
socio-emotive, sebbene il bisogno fosse emerso in modo trasversale in tutti i contesti
(«indirettamente si fa molto, cioè non si fanno progetti ad hoc
anche perché di fatto non si può insegnare con un corso o un laboratorio queste cose ai
bambini. C’è una modalità di lavoro trasversale, è necessario lavorare con attenzione
alle altre competenze non strettamente cognitive perché serve alle classi. Cioè alla
fine credo che non esista un corso specifico per questo, esiste una metodologia
didattica che {p. 294}più in generale può aiutare», Intervista a
dirigente scuola Ortensia). Inoltre, la maggior parte dei progetti attivi che potrebbero
avere ricadute anche sul piano delle competenze socio-emotive scontano due limiti: la
disorganicità dei progetti e la discontinuità. In particolare sulle competenze
socio-emotive sono indispensabili interventi coordinati e reiterati nel tempo.
Note
[1] https://dati.istruzione.it/opendata/opendata/catalogo/elements1/ ?area=Personale%20Scuola.