L'educazione socio-emotiva
DOI: 10.1401/9788815370327/c5
La conflittualità tra scuola e
famiglia deriva sia dalla diversa interpretazione e socializzazione alle regole (come
poc’anzi evidenziato), sia dallo scarso valore riconosciuto dalle famiglie alla scuola e
ai suoi contenuti didattici ed educativi, sia infine dalla contestazione diretta di
alcuni metodi e richieste che la scuola avanza nei confronti dei bambini e delle
famiglie (ne sono un esempio le richieste di disponibilità da parte della scuola alle
famiglie per la consegna delle pagelle o per la discussione di aspetti comportamentali
dei bambini che sono sintomo di malessere e arrecano turbamento all’intero gruppo
classe, richieste del tutto ignorate da alcune famiglie e da cui si evince un senso di
irresponsabilità nel ruolo genitoriale). Per quanto riguarda invece la distanza
scuola-famiglia, essa assume la forma nel completo disinteresse da parte dei genitori
nei confronti della quotidianità scolastica dei figli (che spesso si presentano in aula
senza i libri, né i quaderni, né i compiti eseguiti come da richiesta delle insegnanti),
ma anche più in generale verso la vita nella scuola (che spazia dalla mancanza di
partecipazione a eventi come recite e feste a occasioni di presentazione di progetti e
attività della scuola di cui bambini e famiglie saranno beneficiari). La scuola è per
queste famiglie qualcosa che deve essere fatto, che sostituisce la famiglia per un
significativo numero di ore, ma il significato educativo più profondo dell’essere a
scuola è completamente trascurato. Lo stesso stile educativo delle famiglie oscilla tra
il modello maternalista (iperprotettivo e accudente) e il modello disciplinare
statutario [teorizzati
¶{p. 183}da Kellerhals e Montandon 1991] che si
traduce in regole ferree e del tutto acritiche, imposte soprattutto dai padri, ma
inerenti ad attività e condotte che esulano del tutto dal contesto scolastico e che
mostrano di avere ricadute educative negative sui bambini in merito ad apprendimenti e
relazioni con i pari, come si vedrà oltre.
Seguendo la classificazione di
Duru-Bellat e Van Zanten [1999], i genitori degli alunni di entrambe le classi
prediligono la modalità di interazione con la scuola fondata sul conflitto, con accenni
di delega che tuttavia non si configura mai come fiduciaria quanto piuttosto come
sostituzione del compito educativo (dalla famiglia alla scuola) senza che tra le due
agenzie vi sia collaborazione e reciproco rafforzamento dei messaggi educativi.
L’ultimo aspetto che accomuna le
docenti di entrambe le classi riguarda il metodo didattico:
entrambe le coppie di docenti prediligono un approccio nozionistico, realizzato mediante
lezioni frontali, con una forte componente esecutiva e ripetitiva da parte dei bambini.
Seguendo anche qui (analogamente a quanto esposto nei precedenti capitoli 3 e 4) il
contributo di Besozzi [2010], possiamo dire che le insegnanti delle due classi
prediligano un approccio didattico fondato sulla trasmissione di saperi codificati,
attraverso modalità tradizionali di insegnamento (lezione dell’insegnante, lavori di
gruppo in aula, studio individuale) e di apprendimento (lineari, sequenziali, basate
sulla cultura scritta e un’oralità diffusa). La scelta di tale approccio è in larga
parte determinata dalle risorse culturali delle famiglie e dal rapporto che esse
intrattengono con la scuola. Siamo infatti in presenza di bambini che ricevono stimoli
modesti fuori dalla scuola, il cui accesso al sapere codificato è limitato, le cui
esperienze sono condizionate dai vincoli (molti) e dalle risorse (esigue) delle loro
famiglie. Inoltre in ragione della mancanza di alleanza educativa, la didattica
tradizionale costituisce un ulteriore vettore della socializzazione normativa rispetto
alla quale le famiglie si mostrano deficitarie. Vi sono di tanto in tanto esperienze
messe in campo dalle docenti che possono essere ricondotte alla didattica innovativa, ma
che si scontrano anche con la ¶{p. 184}limitatezza delle risorse
tecnologiche disponibili all’interno della scuola. Il che rende difficoltoso dare
continuità a tali pratiche e conseguentemente non consente di apprezzarne gli eventuali
effetti sugli apprendimenti, proprio in quanto episodici e non coordinati. Nello
scenario di famiglie poco attrezzate, poco presenti e con un basso livello di
riconoscimento sociale alla scuola, la strategia delle docenti risulta essere non
soltanto motivata ma necessaria.
Per passare ora agli elementi
distintivi di ogni singola classe, il primo che è emerso dalle osservazioni riguarda la
relazione tra docenti della stessa classe. Nella classe Camelia
1 il rapporto tra le docenti è equilibrato e coordinato ma è anche condizionato dalla
differenza di età ed esperienza tra le docenti. L’insegnante senior ha una lunga
esperienza di insegnamento e in particolare è da molti anni all’interno della scuola:
questo le conferisce autorevolezza agli occhi della collega junior che ne ripropone lo
stile, sebbene rivisitato. La docente senior riesce a garantire in modo spontaneo la
disciplina della classe, non concede margini ai bambini per sfuggire alle regole, li
sollecita negli apprendimenti, ne sottolinea le lacune ma ne loda anche le qualità; la
maestra junior predilige un approccio autoritario, probabilmente perché non ha la stessa
sicurezza e percezione di autoefficacia della collega. Ne deriva comunque un’immagine
molto coesa della coppia docente che come tale è percepita anche dai bambini.
Nella classe Camelia 2, il
rapporto tra le insegnanti è maggiormente simmetrico, sia per la prossimità anagrafica
tra le insegnanti sia per l’esperienza nel ruolo. Le docenti adottano uno stile molto
simile nell’interazione con i bambini, sono entrambe autoritarie ma con un forte tratto
democratico e hanno relazioni molto affettive con i bambini, quasi materne a tratti.
Sono incoraggianti ma al contempo esigenti; sanno imporre disciplina e pretendere il
rispetto, ma anche motivare i bambini agli apprendimenti.
Per quanto riguarda gli stili
didattici adottati essi sono differenti tra le due classi. La classe Camelia 1 predilige
uno stile didattico misto, in cui sono presenti sia aspetti di didattica frontale
tradizionale, sia alcuni aspetti innovativi. ¶{p. 185}Le insegnanti
utilizzano entrambe questo approccio nelle relative discipline. Le ragioni di questo
mixed method vanno ricercate sia negli obiettivi didattici che
le insegnanti si prefiggono di raggiungere (e che un metodo misto consente di realizzare
con maggiore facilità), sia nelle caratteristiche degli alunni che presentano livelli
bassi nella capacità di attenzione e concentrazione e richiedono di conseguenza
interventi didattici variegati che siano di supporto. Viceversa, nella classe Camelia 2
viene prediletto uno stile didattico tradizionale, fondato sulla lezione frontale,
alcune esperienze di lavoro a coppia o in piccoli gruppi, con interventi ripetuti di
rinforzo delle nozioni e dei concetti affinché essi vengano stabilmente acquisiti. In
questa classe, infatti, le capacità di mantenimento dell’attenzione sono mediamente
basse, al netto di alcuni bambini che mostrano invece capacità decisamente superiori
rispetto al gruppo classe. Non mancano in ragione di ciò da parte delle insegnanti anche
interventi didattici diversificati: mentre si lavora rinforzando ciò che è già stato
spiegato con alcuni i cui apprendimenti sono più lenti e fragili, con altri si mettono
in campo attività didattiche e stimoli adeguati ai livelli di apprendimento raggiunti e
volti a stimolare in modo ottimale le capacità degli alunni che si collocano a livelli
più avanzati.
4. Le competenze degli alunni
Le due classi presentano una
composizione molto simile per numerosità totale, ma si distinguono per la presenza di
alunni di origine straniera: nella Camelia 1 i bambini italiani sono pari al 20% del
totale; nella Camelia 2 i bambini italiani sono il 50% del totale. La composizione delle
classi, per etnia, per la presenza di eventuali disturbi dell’apprendimento, per le
caratteristiche delle famiglie e il loro livello di partecipazione attiva alla vita
scolastica dei figli, è un elemento rilevante ai fini della comprensione delle dinamiche
interne al gruppo classe e allo sviluppo delle competenze. È inoltre un elemento da
tenere in considerazione rispetto agli stili didattici adottati dalle insegnanti e alla
possibilità da parte delle ¶{p. 186}insegnanti stesse di esprimere
alcune competenze in modo particolare. Le due classi, Camelia 1 e Camelia 2, mostrano
alcuni tratti comuni e altri invece divergenti. Fanno parte degli aspetti comuni la
socievolezza, la perseveranza e responsabilità, e la creatività, che si manifestano in
modi similari.
La
socievolezza si è rivelata ottimale in entrambe le classi: i
bambini sono aperti, estroversi e curiosi. Manifestano questi tratti caratteriali sia
nell’interazione tra pari, pur con alcune preferenze all’interno del gruppo classe per
alcuni compagni o compagne, sia nell’interazione con gli adulti. Le numerose
progettualità a cui le classi aderiscono sollecitano infatti frequentemente
l’interazione dei bambini con adulti diversi dalle insegnanti ma a cui è riconosciuto un
ruolo di formatori ed educatori: anche quando questa interazione è episodica (e ciò
accade con molte attività laboratoriali ed esperienziali dalla durata limitata nel
tempo), i bambini dimostrano un’ottima capacità di interazione, sono attivi, curiosi in
modo adeguato e pertinente rispetto all’attività svolta, rispettosi del ruolo
dell’adulto. Nelle interazioni con il gruppo dei pari, la zona di comfort ottimale per i
bambini della classe è definita dalla classe stessa dove le interazioni sono consolidate
e continuamente sperimentate; più rarefatte e conseguentemente prudenti le interazioni
con bambini di altre classi appartenenti alla stessa scuola con cui comunque si
condividono di buon grado esperienze come la ricreazione in cortile o la pausa della
mensa.
In entrambe le classi la
perseveranza e la responsabilità, intese come
capacità di restare sul compito assegnato, di avere contezza delle conseguenze delle
proprie azioni, soprattutto in riferimento alle attività didattiche, si presentano come
fragili e discontinue. Pur con una notevole eterogeneità tra bambini, è stato comunque
osservato che la capacità di concentrazione e di mantenimento dell’attenzione sono
mediamente basse e diventano via via più problematiche con il passare delle ore della
giornata. Quindi a un’iniziale difficoltà di mantenimento dell’attenzione si associa
anche una fatica più generale che compromette tali capacità a fine giornata. La limitata
perseveranza in vista del raggiungimento di un obiettivo di apprendimento è infatti uno
degli aspetti ¶{p. 187}su cui le insegnanti insistono anche con metodi
alternativi e stratagemmi. Le ragioni che spiegano la bassa soglia di attenzione dei
bambini sono in parte riconducibili a fattori educativi nel senso più ampio del termine,
in parte anche a fattori di tipo psicologico. Rientrano tra i fattori educativi le
richieste da parte delle famiglie in merito alla performatività dei propri figli, che
sono modeste e inoltre depotenziate da un humus culturale povero e
sostanzialmente privo di stimoli ed esperienze arricchenti per i bambini. Anche la
mancanza di regole sull’uso dei dispositivi elettronici in ambito domestico, come
strumenti di intrattenimento e di impiego del tempo libero, e il generale lassismo
genitoriale nei confronti dei bambini e delle regole a loro tutela (andare a dormire a
un’ora adeguata per poter poi frequentare la scuola con profitto; consentire
un’alimentazione sbilanciata a casa e concedere quotidianamente per la merenda o lo
spuntino della mattina merendine confezionate di bassa qualità, ecc.) non giovano
all’incremento delle soglie di attenzione dei bambini. Per quanto riguarda invece i
fattori psicologici, è in diverse occasioni emersa una dinamica fondata sul «restare
nella propria zona di comfort». I bambini hanno mostrato in reiterati momenti della vita
di classe di non amare i cambiamenti, di essere titubanti di fronte alle novità, in
qualche modo di temere ciò che non conoscono e non hanno ancora sperimentato proprio in
quanto il loro livello di controllo in tali frangenti è basso. Una spiegazione nuova,
un’esperienza nuova, un metodo nuovo costituiscono un fattore di stress più che
un’occasione rispetto alla quale i bambini si sentano motivati a migliorare e ad
acquisire nuove conoscenze e competenze, se non a ciò indirizzati e accompagnati dalle
insegnanti.
E infine la
creatività: in entrambe le classi i livelli di tale competenza
si sono manifestati come bassi e ciò a causa principalmente di alcuni fattori. In primo
luogo i bambini sono molto focalizzati sull’esecutività dei compiti loro assegnati (e
questo, come già è stato messo in evidenza, costituisce il metodo didattico maggiormente
praticato dalle insegnanti, in quanto correlato ai migliori risultati e alla migliore
efficacia, stanti le condizioni di contesto non
¶{p. 188}favorenti
l’introduzione di altri metodi); inoltre l’esiguità di stimoli ed esperienze in sedi
extrascolastiche (principalmente per la povertà sociale, culturale e relazionale delle
famiglie cui appartengono); ma anche il forte effetto esercitato dal gruppo dei pari,
che costituisce una risorsa a cui appoggiarsi e nella quale identificarsi, ma che
sollecita prevalentemente comportamenti imitativi piuttosto che creativi; e infine il
timore di sbagliare, mostrando in tal modo quanto non appartenga a questi bambini l’idea
di creatività come libera espressione fantasiosa, come personale riflessione e
reinterpretazione della realtà cui non è in alcun modo correlato un giudizio di
validità. La limitatezza di risorse creative può inoltre costituire un limite negli
apprendimenti proprio in quanto li priva di quelle possibilità di connessioni, relazioni
e rielaborazioni personali che contribuiscono alla creazione di un metodo di studio
efficace.