L'educazione socio-emotiva
DOI: 10.1401/9788815370327/c1
Queste formulazioni sono
apparentemente semplici e compatte. Indicano disposizioni dei soggetti umani che
siano
¶{p. 31}i) relativamente
stabili, ii) non
misurabili attraverso test del QI o altri test standardizzati di prestazioni
cognitive, iii)
modificabili attraverso interventi educativi,
iv) dipendenti da fattori situazionali
e v) potenzialmente produttive di vari
tipi di beni, personali e sociali [Duckworth e Yeager 2015].
Tuttavia, nell’ambito delle scienze umane e sociali si trovano vari altri termini,
che coprono uno spazio concettuale almeno in parte sovrapponibile a questo e sono
espressione di interessi disciplinari e tematici diversi, così come di diverse
prospettive di analisi sulla società in generale. Per esempio, si parla di
competenze non cognitive, carattere, capitale umano, tratti di personalità,
soft skills, e altro ancora. Il volume non ha l’obiettivo
di ricostruire esaustivamente il vasto dibattito che ne risulta. Per i nostri scopi
è sufficiente dirimere alcuni dilemmi fondamentali e argomentare le scelte compiute
in questa ricerca.
Per quanto riguarda la nozione
di soft skill, è facile osservare che essa rimane vaga, non
indicando con precisione a quali capacità si riferisca. Inoltre, la distinzione tra
ciò che è soft e ciò che è hard appare
piuttosto arbitraria. Per esempio, perché il coraggio, la perseveranza o la
resistenza allo stress dovrebbero essere definiti soft, mentre
la conoscenza della geografia, della biologia o di altri contenuti disciplinari
sarebbe hard? In che senso e con quale rilevanza? Peraltro, le
competenze disciplinari tendono oggi notoriamente a invecchiare rapidamente; sono
dunque certamente più instabili e meno «robuste» delle SES sul piano temporale.
L’idea di «tratti» di
personalità – rispetto a quella di «competenze» – porta con sé il rischio di
riferirsi a caratteristiche innate, non modificabili e quindi poco utili in campo
educativo.
Viene in conto poi il concetto
di capitale umano, elaborato in ambito economico. Esso ha a che vedere con le SES in
quanto, come abbiamo visto, alcuni dei benefici che da esse si attendono riguardano
la sfera dell’attività lavorativa. Dunque, esse farebbero parte delle risorse, cioè
del «capitale» che i soggetti umani possiedono – e per altri versi del capitale che
essi rappresentano per le imprese. Tuttavia, la sovrapposizione tra i due concetti è
soltanto parziale. Da un ¶{p. 32}lato, le SES contribuiscono anche
ad altri esiti socialmente desiderabili, al di fuori della sfera economica.
Dall’altro, il capitale umano comprende altre componenti – per esempio le conoscenze
e competenze cognitive in senso stretto – che non sono SES. Infine, l’idea di SES
rispetto a quella di «capitale» intende sottolineare fortemente l’aspetto dinamico,
flessibile e «attivo», non sono assimilabili a uno stock.
Più complesso è il terzo dei
problemi definitori, che riguarda l’integrazione di una capacità di
prestazione e di una dimensione
morale. La maggior parte delle definizioni correnti confonde
questi aspetti in modo non riflessivo. Si dice, per esempio, che le SES implicano la
capacità di sviluppare cura e premura per gli altri e gestire situazioni difficili
in modo etico e costruttivo [CASEL 2013]. E nei lunghi elenchi di «competenze»
presenti in letteratura si ritrovano, senza distinzione, elementi quali diligenza,
integrità, apertura all’esperienza, propensione al rischio, disciplina,
affidabilità, abnegazione, empatia, leadership, energia,
entusiasmo, capacità di ascolto, equanimità, pensiero critico, gratitudine, e molte
altre. Con tutta evidenza, si mescolano qui tre dimensioni diverse:
a) competenze; b) virtù morali;
c) atteggiamenti complessi e multidimensionali
[14]
. Queste dimensioni indicano componenti diverse delle qualità personali
di cui ci stiamo occupando, che vanno distinte-e-relazionate
esplicitamente, per ragioni concettuali ed empiriche. Dal punto di
vista concettuale, alcuni degli elementi sopra citati chiamano in causa
atteggiamenti che eccedono per definizione l’idea di
«competenza» e portano nella sfera degli impegni al valore [come nota anche Kankaraš
2017]. Per esempio, è solo in modo improprio che disposizioni quali la gratitudine,
l’empatia o l’introversione/estroversione vengono pensate (esclusivamente) come
«competenze». Dal punto di vista empirico, alle SES vengono spesso associati effetti
che non possono derivare (soltanto) da una competenza. Per esempio, le ricerche
indicano una correlazione tra SES e calo dei comportamenti criminali, ma avere un
elevato ¶{p. 33}livello di certe SES non significa immediatamente
che un giovane sia motivato a tenere comportamenti moralmente
irreprensibili. Gli individui che commettono atti di bullismo o di
mobbing – a scuola o in un’azienda – sono spesso abili
manipolatori, capaci di piegare le dinamiche sociali di un gruppo ai loro scopi.
Senza la dimensione morale, le SES costituiscono un arsenale di capacità operative
senza un chiaro obiettivo positivo
[15]
. Il SEL potrebbe quindi diventare una sorta di
antropotecnica [Sloterdijk 2009], il cui nesso con l’etica
rimane da chiarire e rimanda a un processo di socializzazione complessiva della
persona. La volontà dei ricercatori di neutralizzare le
dimensioni motivanti e morali attraverso la nozione di competenza chiaramente non
risolve questi problemi.
Insomma, il termine SES può
essere riduttivo, dimenticando o incorporando silenziosamente caratteristiche
personali che non sono semplicemente «competenze».
L’alternativa consiste nel
designare tali caratteristiche con termini quali «carattere»
(character) [Arthur 2005; Berkowitz, Althof e Bier 2012;
Tough 2013; Kristjánsson 2013]. Questo esprime un insieme di qualità personali molto
prossime a quelle definite come SES, ma colte nella loro dimensione motivante e
moralmente qualificata. In alcune formulazioni, il carattere è definito come:
il valore etico che assegniamo ai nostri desideri e alle nostre relazioni con gli altri. [...] Il carattere si esprime attraverso la lealtà e la dedizione reciproca, o attraverso il perseguimento di obiettivi di lungo termine, o praticando il differimento della gratificazione in nome di un fine futuro [Sennett 1998, 10].
Compaiono qui alcuni tratti
tipici della definizione di SES, ma chiaramente caricati di una valenza etica. Lo
stesso si può dire delle versioni secondo cui il carattere si riassume in spirito di
disciplina (inteso come capacità di resistere a pulsioni negative, esterne e interne
al soggetto), attaccamento ¶{p. 34}a un bene (per esempio a
obiettivi di lungo periodo) e senso di autonomia personale [Hunter 2000; Porpora 2001]
[16]
.
La distinzione tra
performance character e moral
character [Berkowitz, Althof e Bier 2012; Lickona e Davidson 2005;
Seider 2012] rappresenta appunto una modalità riflessiva attraverso cui la teoria
prende atto della questione che abbiamo ora rapidamente discusso. Tale formula ha il
merito di distinguere e integrare impegni e principi motivanti
con tratti e disposizioni capacitanti. Queste ultime possono
allora essere viste come condizioni necessarie perché comportamenti
moralmente positivi vengano applicati adeguatamente in vari contesti
e situazioni. È in questo senso che si parla talora di character
skills. Questa espressione sintetica può essere pragmaticamente utile
– anche se prioritizza comunque il termine skill – a patto di
esplicitare l’argomento latente che la sostiene e di trattare i vari fattori in modo
non confusivo e non riduzionistico. Per esempio, la connotazione simbolica, quindi
la particolarità delle culture, nel definire competenze e virtù dev’essere inclusa
nel discorso.
Un’ultima considerazione
riguarda la diffusa formula «competenze non cognitive»
[Lipnevich, Preckel e Roberts 2016], che anch’essa insiste sullo stesso ambito
semantico. In realtà, le SES non sono affatto estranee all’ambito cognitivo. In
primo luogo, ogni aspetto del funzionamento mentale implica una qualche forma di
elaborazione d’informazioni, in senso astratto e generale [Duckworth e Yeager 2015;
Kankaraš 2017]. Inoltre, le teorie dello sviluppo umano includono tipicamente una
dimensione cognitiva, una affettiva e una comportamentale e questa struttura
triadica ¶{p. 35}si riflette nelle definizioni del concetto di
character a cui abbiamo fatto riferimento sopra. L’aspetto
cognitivo è presente altresì nel processo di apprendimento socio-emotivo. Per
esempio: una relazione cooperativa implica la capacità di percepire e comprendere la
diversità di Alter, d’interpretarne i sentimenti e le relative
espressioni psicologicamente e culturalmente connotate; implica poi la capacità di
entrare in sintonia affettiva con l’altro e infine la capacità di attuare e
sostenere nel tempo comportamenti coerenti. Per questo, tra l’altro, le competenze
sociali sono spesso concettualizzate come una forma d’intelligenza
[17]
.
Ciò che rimane corretto nella
connotazione «non cognitiva» è l’idea che le competenze in questione non siano
specificamente legate a un certo tipo di compito da svolgere (non task
specific), né a determinati ambiti disciplinari.
Per concludere: sulla base delle
considerazioni precedenti, in questa ricerca adottiamo la nozione di
competenze socio-emotive o
caratteriali. Sono stati misurati i livelli di alcune
competenze socio-emotive (vedi par. 3 infra), intendendo con
ciò osservare primariamente le capacità di prestazione. Perciò gli strumenti
impiegati sono assunti dalla letteratura sulle SES. Al tempo stesso, lo studio delle
dinamiche quotidiane della vita scolastica ha portato l’attenzione anche
sull’intenzionalità educativa nel senso motivante, di trasmissione di principi e
valori, di costruzione d’impegni e premure. L’integrazione sistematica tra queste
dimensioni richiede senz’altro ulteriori e più raffinati sviluppi, ma speriamo di
contribuire ad avviare una riflessione orientata in tal senso.
2.3. Il quadro di riferimento concettuale
Le competenze, così definite,
sono state sistematizzate in molteplici modelli concettuali, che ne articolano le
dimensioni ritenute importanti per la struttura della personalità e per gli effetti
che a esse si associano. A seconda degli
¶{p. 36}interessi
scientifici e delle impostazioni teoriche, questi modelli organizzano diversamente
la materia. Mi limito qui ad alcuni esempi, senza alcuna pretesa di esaustività: la
P21 (Partnership for 21st Century Skills) ha affermato le
cosiddette «quattro C»: pensiero critico, comunicazione, collaborazione e
creatività. Nel celebre testo di Tony Wagner, The Global Achievement
Gap [2010], sono elencate sette «competenze per la sopravvivenza»:
problem solving e pensiero critico, collaborazione con reti
diverse e capacità di leadership, flessibilità e adattabilità,
iniziativa e imprenditorialità, efficacia comunicativa (orale e scritta), capacità
di accedere e analizzare informazioni, curiosità e immaginazione.
Note
[14] Questo avviene in Durlak et al. [2015] e nella maggior parte della letteratura basata sulla nozione di SES.
[15] Analoghe considerazioni valgono per il concetto di capitale sociale e sono emerse per esempio nel dibattito sul suo nesso con le organizzazioni criminali.
[16] Queste considerazioni spiegano anche che SES e character sono quasi sempre espressione di psico-semantiche differenti sul piano della corrispondenza macro-sociologica. L’idea di character è più spesso associata a una semantica «critica», secondo cui capitalismo, materialismo e individualismo espressivo «corrodono» le migliori qualità personali. Questo concetto implica dunque una qualche forma di resistenza psichica, antropologica e culturale. La nozione di SES si avvicina invece normalmente a una visione che enfatizza la necessità di adattamento e integrazione in contesti di lavoro e interazioni quotidiane sempre più complessi, interconnessi e collaborativi.
[17] Come ricorda ancora Kankaraš [2017], citando Marlowe [1986]; Murphy e Hall [2011].