Andrea M. Maccarini (a cura di)
L'educazione socio-emotiva
DOI: 10.1401/9788815370327/c8
Le aule della Dad sono molto speciali nel caso dei bambini delle primarie, non solo per la loro giovane età e per le difficoltà a interagire tra loro e con le insegnanti a distanza, senza quel contatto fisico che le insegnanti definiscono come parte integrante e insostituibile della relazione educativa, ma anche per il fatto che la classe è composta da insegnante, bambini e altri adulti (i genitori). Il paradosso della Dad è che la distanza in realtà è ambivalente: da una parte amplifica la lontananza (la scuola si fa lontano da scuola) ma dall’altra riduce la distanza e favorisce l’inserimento nella
{p. 273}relazione didattica ed educativa di altri soggetti. Questo aspetto è ovviamente amplificato dall’età degli alunni che non consente loro l’utilizzo in completa autonomia, dal collegamento allo svolgimento della lezione/interazione è sempre presente un adulto della famiglia a supporto, il che trasforma completamente la relazione educativa e il contesto di apprendimento, nonché spesso la qualità e veridicità della valutazione. La presenza dei genitori (nello scenario più favorevole), o la loro intromissione (con interventi e commenti), quando non addirittura la completa sostituzione ai bambini nell’interazione della classe e con l’insegnante, condiziona anche la stessa attività delle insegnanti che sono poste sotto osservazione (e spesso anche valutazione, di efficacia e di efficienza) dalle famiglie. Questo accade in modo particolare con le scuole di utenza borghese, nelle quali la relazione scuola-famiglia presentava già elementi di complessità, proprio a causa dell’ingerenza continua dei genitori in questioni di competenza delle insegnanti.
Anche il tema della durata e frequenza delle lezioni è divenuta nella Dad elemento di criticità e scontro con alcune famiglie. La didattica tradizionale in aula prevede un calendario serrato di materie che si succedono nella giornata e nei giorni della settimana, pur nella varietà delle classi organizzate a modulo o a tempo pieno. La soglia di attenzione media dei bambini è, in presenza, tra una e due ore continuative con una migliore prestazione nelle prime ore della giornata. Nel caso della didattica a distanza, oltre a prevedere modalità differenti per veicolare i contenuti disciplinari, il tempo medio di collegamento è pari a un’ora per circa 3-5 volte a settimana. Sono segnalati dalle insegnanti anche alcuni sporadici casi di una frequenza maggiore, ma essi costituiscono un’eccezione. Ciò significa che i contenuti didattici veicolati sono molto inferiori come quantità, ma anche spesso difficoltosi rispetto alla qualità, in quanto l’esperienza di didattica blended nella scuola tradizionale è molto limitata, quando non del tutto assente; il modello prevalente adottato dalle scuole consiste nella trasposizione della didattica frontale in aula, in didattica frontale a pc. In questo caso la creatività delle insegnanti stenta a prendere {p. 274}forma perché troppo condizionata da vincoli di natura tecnica e inesperienza rispetto a questa modalità di insegnamento/apprendimento. Il tempo ridotto per la didattica produce reazioni diverse da parte delle famiglie. Per alcune è motivo di critica alle insegnanti e al sistema scuola nel suo complesso, ma per ragioni diverse in base alle classi sociali: per le classi borghesi è l’ossessione performativa che induce alla critica, per altre famiglie di ceto medio soprattutto è la mancanza di un impegno prolungato che liberi dal ruolo di caregiver mentre si è in smart working. Le famiglie maggiormente in sintonia con le insegnanti sono quelle di estrazione operaia e straniere; anche in questo caso però le motivazioni non sono tutte uguali. Accanto a famiglie che apprezzano l’impegno delle insegnanti e l’attivazione delle scuole (per quelle site nei quartieri più poveri le scuole hanno provveduto alla distribuzione di tablet o al loro acquisto per mettere i bambini privi di dispositivi in condizione di seguire le lezioni), ve ne sono altre che continuano con la modalità del disinteresse verso la scuola, come accadeva in presenza.
L’elemento che le insegnanti sottolineano con forza e che costituisce il principale motivo di frustrazione nello svolgimento dell’attività professionale a distanza è il mancato riconoscimento dell’amplificazione dei tempi di lavoro (nella parte off-line) e della complessificazione dell’attività di preparazione di materiali e lezioni. L’utilizzo delle tecnologie ha richiesto loro una rimodulazione totale dei programmi, una creatività nella trasmissione degli insegnamenti, e non da ultimo una competenza digitale che era stata fino a quel momento solo parzialmente utilizzata. Quindi per le insegnanti, o per la maggior parte di esse, il tempo scuola è rimasto sostanzialmente invariato. Per i bambini il tempo scuola si è ridotto dell’80%, il che sta richiedendo loro una capacità individuale di organizzazione, un’autonomia nella gestione dei compiti e dello studio che fino a questo momento non era mai stata richiesta loro.
È in corso, secondo le insegnanti, una transizione educativa e sociale cruciale: i modi della didattica a distanza costituiscono al contempo un’occasione di crescita e responsabilizzazione dei bambini (variamente assistiti dalle famiglie, {p. 275}come si dirà nei paragrafi successivi) ma al contempo un rischio di smarrimento senza i punti di riferimento dati dalle routine scolastiche e le regole stringenti che la vita a scuola richiede.
Questa fase è rappresentata anche dalle insegnanti come un «presente assoluto», ossia sta venendo meno ogni capacità progettuale e previsionale di rientro nella normalità scolastica: contribuiscono a ciò le informazioni, confuse e non rassicuranti, dei mezzi di comunicazione di massa, ma anche la mancanza di regia da parte delle istituzioni centrali e regionali (dal MIUR agli USR agli USP) fino alla debolezza della capacità di indirizzo, progettazione e riorganizzazione da parte delle singole scuole e istituti comprensivi. Da una parte è certamente responsabile di ciò il ritualismo burocratico che affligge gran parte della scuola italiana e dei suoi dirigenti, attenti esecutori di indicazioni sovraordinate, anche per concreti timori di conseguenze ed effetti derivanti dall’inadempienza formale o dal non adeguato accento sull’ottemperanza ad alcune disposizioni. Tale componente esercita un effetto paralizzante soprattutto sul versante organizzativo che più che mai ora avrebbe bisogno di linfa e nuove idee. La paralisi burocratica genera anche inerzie motivazionali nei singoli docenti, condannando quindi la scuola a un’esecutività puramente tecnica.
D’altra parte è anche importante sottolineare come questo «presente assoluto» debba comunque in qualche modo essere gestito dal punto di vista organizzativo e riorganizzativo: c’è ormai una stabilizzazione rispetto alla routine scolastica della scuola lontano e fuori dalla scuola; c’è anche una crescente consapevolezza da parte delle famiglie dei nuovi ruoli e responsabilità condivise in ambito educativo; manca invece la prospettiva, non tanto relativamente al «quando» si tornerà a scuola dentro la scuola, ma rispetto al «come»: la politica dei singoli istituti è al momento rivolta alla conclusione dell’anno scolastico in corso, le prospettive sono opache, il grado di incertezza sull’evoluzione della pandemia e sulle misure che connoteranno la cosiddetta Fase 2 è ancora troppo elevato perché le scuole riescano a ridefinire il proprio ruolo. È in atto al momento un’operazione di {p. 276}«riduzione della complessità»: molte sarebbero le variabili da porre sotto osservazione, innumerevoli gli elementi di allerta, i fattori di disuguaglianza, le iniquità. Per questo si opta per un modello di sopravvivenza, consapevoli anche del forte carico di stress emotivo che renderebbe ulteriormente gravosa una programmazione ex novo.

5.3. La destrutturazione delle relazioni

La quotidianità scolastica per i bambini è un fattore altamente strutturante il loro tempo. Ma dentro questo tempo non ricade soltanto l’attività di apprendimento, bensì una parte rilevante è riservata alla socialità e alle relazioni, sia con le insegnanti, sia con i pari. La scuola primaria è il luogo per eccellenza e in cui si avvia la socializzazione secondaria e la socializzazione normativa. I bambini a scuola cessano di essere figli per diventare alunni, quindi acquisiscono il loro primo ruolo pubblico, ottengono un riconoscimento sociale. Inoltre sviluppano un’identità che è correlata alla scuola che frequentano, alla classe di cui fanno parte. I bambini si riconoscono e si definiscono come componenti di un gruppo che è la propria classe. Il venir meno della «coabitazione» dentro la scuola per cinque giorni a settimana a tempo pieno significa per molti bambini la perdita pressoché totale di ogni relazione con i pari.
La condizione di isolamento fisico porta con sé implicazioni importanti sul piano relazionale e affettivo. Le insegnanti delle scuole riferiscono di un diffuso senso di disorientamento dei bambini: a un iniziale momento di euforia legata alla «vacanza» protratta dalla scuola è subentrata una condizione di profondo abbattimento e nostalgia. Il distacco dalla scuola e dalla classe come luogo fisico porta con sé anche significati simbolici: perdita di una parte della propria identità, perdita delle relazioni quotidiane con compagni e amici, distacco emotivo dalle insegnanti come adulti di riferimento. Si potrebbe dire che è in corso una fase di social rebonding che avviene per il tramite della costruzione di nuove comunità transitorie, ma a differenza di quanto {p. 277}afferma Gordon secondo cui esse sarebbero caratterizzate da legami molto forti, anche di fusione, la loro caratteristica in questo contesto è invece riconducibile al fatto che si tratta di comunità a distanza e costruite più sulla base del criterio dell’opportunità che non della scelta. Se in condizioni ordinarie i bambini si sceglievano e costruivano legami speciali di amicizia e affetto con alcuni tra i compagni di classe, ora le comunità transitorie si costituiscono in base al fatto di poter avere una connessione, di avere una playstation con cui giocare e luoghi virtuali in cui trovarsi. Sono quindi comunità in cui i legami possono essere meno forti, più legati a una circostanza che non a una affinità. Manca inoltre del tutto la condivisione di esperienze, ludiche e scolastiche, mentre l’unica esperienza condivisa è quella della pandemia. Ma non soltanto vengono diminuite come quantità le relazioni con altri al di fuori della famiglia; anche la qualità di tali relazioni è mediocre, sia per quanto si precisava prima a proposito della costituzione di gruppi tra pari, sia nella gestione delle interazioni a distanza per i bambini con gli adulti («i bambini si vergognano, li vediamo diversi quando ci parliamo a distanza, non sono abituati assolutamente a interagire con noi in questo modo; e ancora peggio tra di loro», da focus con insegnanti della scuola Ortensia).
La situazione emergenziale dunque deprime le capacità di agency dei bambini, che hanno poche capacità di vedere ascoltata la propria voce, che perdono la possibilità di confronto e costruzione della propria realtà insieme ai pari e che hanno un limitato accesso alle informazioni, se non in via mediata dagli adulti.

5.4. Oltre i programmi: ciò che si impara a scuola oltre la scuola

Ben prima dell’emergenza le finalità della scuola erano state più e più volte ribadite: trasmissione di saperi curricolari, educazione, relazione. La parte strettamente didattica della scuola occupa una porzione del tempo pieno. Sia nella veicolazione dei contenuti didattici (sempre meno trasmissiva
{p. 278}e sempre più interattiva) sia nella vita di classe, i bambini apprendono competenze e regole, imparano a stare insieme e a gestire le loro differenze, sperimentano esperienze.
Note