Christoph Cornelissen, Gabriele D'Ottavio (a cura di)
La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c1
Certo, questa era il risultato di una rielaborazione successiva più che di una esperienza diretta dei politici weimariani. Dopo il 1945, in ogni caso, i politici che erano già attivi durante la Repubblica di Weimar difficilmente facevano riferimento a presunte carenze strutturali della Costituzione del 1919. Nelle loro analisi e nelle loro memorie la Costituzione non rivestiva praticamente alcun ruolo nel fallimento della democrazia [18]
, anche se la maggioranza dei componenti della commissione incaricata della stesura della Costituzione che si riunì nell’ex convento di Herrenchiemsee si trovò comunque d’accordo sul fatto che «il presidente federale in nessun caso doveva godere degli ampi poteri che la Costituzione di Weimar aveva riconosciuto al presidente del Reich» [19]
. E nelle deliberazioni del Consiglio parlamentare Theodor Heuss escluse categoricamente, con un verdetto che in seguito sarebbe stato spesso citato, la possibilità di introdurre elementi di democrazia diretta a livello federale. Per la Svizzera, disse, questa era forse una strada praticabile, ma l’esperienza di Weimar aveva dimostrato che lo strumento del plebiscito non andava bene ai fini di un iter democraticamente regolato della formazione della volontà popolare. Per Heuss, infine, in un «Paese democratico di grandi dimensioni» le petizioni e i referendum erano solo «una ricompensa per ogni demagogo» [20]
. Queste prese di posizione, d’altro canto, non favorirono un più intenso dibattito teorico in materia costituzionale.
{p. 41}
Solo nel corso degli anni Cinquanta si cominciò a trarre dalle vicende weimariane una nuova lezione, che non tardò a divenire dominante tra i costituzionalisti, gli storici e i politologi. Un ruolo di primo piano venne svolto, al riguardo, dal giurista Ernst Fraenkel, che al suo ritorno in Germania dall’esilio americano (1951) divenne uno dei principali fondatori ed esponenti della nuova scienza politica tedesca. A giudizio di Fraenkel l’Assemblea nazionale weimariana aveva commesso un gravissimo errore decidendo di introdurre contemporaneamente in Costituzione elementi riconducibili a tre sistemi democratici diversi: il parlamentare, il presidenziale e il plebiscitario. Così facendo, i padri (poche le madri) della Costituzione weimariana avevano creato, secondo il giurista e politologo di Colonia, un dualismo politico-costituzionale foriero di problemi. Nel 1955 Karl Dietrich Bracher riprese questa argomentazione, e nella sua monumentale opera sulla «dissoluzione della Repubblica di Weimar» indicò nella «Costituzione di riserva» presidenziale una delle principali cause della perdita di potere nella crisi che travolse la democrazia [21]
.
Mentre quindi nell’immediato dopoguerra la Costituzione di Weimar rimase relativamente in secondo piano, 10 anni dopo la fine della guerra le esperienze weimariane furono oggetto di una nuova interpretazione. A posteriori appare chiaro che ciò che maggiormente importava ai protagonisti di quella stagione era la legittimazione del sistema politico della Repubblica federale in via di consolidamento. I successi dell’era adenaueriana, in effetti, si basavano sulla presenza di partiti sempre più disciplinati al loro interno, su un sistema parlamentare rigorosamente rappresentativo e su un esecutivo forte da questo sostenuto. Il testo chiave al riguardo lo scrisse Ernst Fraenkel nel 1957 quando le aspre dispute in merito al riarmo atomico della Bundeswehr toccarono il culmine [22]
. {p. 42}In quel periodo il movimento «Kampf gegen den Atomtod» (Lotta contro la morte atomica) organizzò proteste extraparlamentari e programmò anche referendum popolari a carattere consultivo, che tuttavia non vennero ammessi dalla Corte costituzionale federale con la motivazione che non si trattava di forme plebiscitarie di democrazia diretta volte ad accertare la volontà popolare espressamente previste dalla Costituzione. Per avvalorare la decisione della Corte Fraenkel addusse come argomento decisivo quello «di Weimar»: nella Assemblea nazionale costituente del 1919 – disse – correnti minoritarie di sinistra dalle idee grossolanamente superficiali in tema di democrazia avevano dato vita, con correnti minoritarie antidemocratiche di destra, ad una disastrosa coalizione nel segno del «plebiscitarismo». «La Repubblica di Weimar soffriva di un difetto di nascita che ne ha causato la rovina» [23]
.
Bonn, insomma, non era Weimar: questo slogan divenne sempre più accettato come garanzia della propria identità. Con il risultato che si impose una specifica forma della «lezione di Weimar», che aveva come palese bersaglio la Costituzione weimariana, ma che in fondo rispecchiava il modo in cui nei primi anni della Repubblica federale l’establishment di Bonn preferiva vedere se stesso.
Fin dai primi anni del dopoguerra questa autorappresentazione della classe politica di Bonn attirò le critiche dei protagonisti più giovani, a giudizio dei quali la cultura politica della neonata repubblica presentava un chiaro segno «restauratore». A caratterizzare una diagnosi che muoveva dal presupposto che fosse in atto una restaurazione della vecchia situazione politica era l’idea di un sistema partitico autoreferenziale e di un parlamentarismo irrigidito tra vincolo della tradizione e adenaueriana «democrazia del cancelliere». Alla base di queste critiche c’erano anche motivazioni di ordine generazionale. Noti sostenitori della tesi della restaurazione come {p. 43}Walter Dirks, Eugen Kogon e, in campo letterario, Wolfgang Koeppen appartenevano in prevalenza alla «generazione dei giovani di guerra» [24]
. Non a caso questi «giovani» attaccavano gli «anziani» ricorrendo ad argomenti della critica ai partiti e al parlamentarismo già ampiamente adoperati negli anni Venti. Organi come i «Frankfurter Hefte» o il «Ruf» erano costantemente impegnati in una serrata polemica contro la ricaduta in una «centralistica democrazia di massa» e contro lo strapotere dei partiti. «Con i loro ‘vecchi esponenti’, che già una volta sono naufragati, i partiti ripescati dalla ‘massa fallimentare’ di Weimar sono solo un anacronismo» [25]
, era questa una delle accuse più ricorrenti. Giudicata con gli occhiali della critica degli anni Venti, in altre parole, la Repubblica di Bonn appariva una democrazia puramente «formale» [26]
.

3. La Costituzione di Weimar come parte della storia della democrazia tedesca

Con il processo di stabilizzazione della Repubblica federale già nel corso degli anni Settanta e Ottanta, ma soprattutto dopo il 1990 il riferimento alla Costituzione di Weimar andò sempre più perdendo la sua funzione di parametro negativo. Per l’autolegittimazione della Repubblica federale un simile precedente non era più necessario. La Repubblica di Bonn e a maggior ragione quella di Berlino sembravano essere definitivamente uscite dal cono d’ombra di Weimar. Anche {p. 44}tra gli storici degli anni Novanta e Duemila la questione del fallimento di Weimar venne sempre più relegata in secondo piano. Ora a prevalere erano piuttosto prospettive storico-culturali, che sottolineavano l’apertura a sviluppi diversi e il fattore della contingenza storica. Un qualsivoglia modello «occidentale» di stabilità democratica veniva respinto con la motivazione che non bisognava valutare i fatti storici con lo stesso metro di oggi.
In questo contesto si è iniziato a sottolineare sempre più spesso una presunta ‘solidità’ democratica della Repubblica di Weimar, il che ha portato alla completa archiviazione della tradizionale chiave di lettura e di comprensione della fragilità politica e della debolezza della prima democrazia tedesca [27]
. Con il risultato, tra l’altro, di aprire la strada ad un giudizio positivo sulla Costituzione weimariana, a lungo oggetto di aspre critiche. Nell’ambito del centesimo anniversario della fondazione della Repubblica di Weimar si è affermata tra gli studiosi di diritto pubblico e i costituzionalisti la chiara tendenza a sottolineare gli aspetti positivi della Costituzione weimariana. Con qualche esagerazione si è perfino parlato di Weimar come della «repubblica dei diritti fondamentali». Giudizio evidentemente condiviso da Christian Waldhoff, secondo il quale
«… la Repubblica di Weimar è caduta a causa della difficile situazione generale e per l’azione concomitante di numerosi fattori … – ma certo non a causa della sua Costituzione che ha continuato a risplendere fino ad oggi: una Costituzione che è notevolmente moderna e innovativa» [28]
. {p. 45}
Anche il presidente federale Frank-Walter Steinmeier si è mosso in questa direzione cercando di dotare la cultura tedesca del ricordo di una positiva tradizione democratica:
«Il 9 novembre del 1918 è una pietra miliare della storia della democrazia tedesca: segna la nascita della repubblica in Germania, e segna l’avvento della democrazia parlamentare. E per questa ragione ad essa va riservato un posto di assoluto primo piano nella cultura del ricordo di questo Paese» [29]
.
Alla fine si potevano ricomprendere, per così dire, 100 anni di positive esperienze democratiche tedesche: da Weimar ad oggi passando per la Legge Fondamentale, con il risultato che Weimar è divenuta parte integrante della storia della democrazia tedesca.
Molto depone a favore di questa tesi, e circa la necessità di valutare positivamente la storia della democrazia tedesca e dei democratici che la rappresentano non possono esserci due opinioni. Nondimeno, il quadro è offuscato da due fattori: primo, l’attuale crisi delle democrazie occidentali ha riportato all’ordine del giorno, quasi improvvisamente e in controtendenza rispetto alla ricerca storica e alla stessa cultura del ricordo, il fallimento della Repubblica di Weimar. In un contesto di crescente insicurezza economica e a fronte di un ordine mondiale che appare sempre meno stabile si assiste alla creazione di nuovi nemici, i movimenti e le tendenze di estrema destra riscuotono sempre più consensi e il sistema dei partiti affronta rilevanti trasformazioni – tutti sviluppi che già hanno caratterizzato gli anni Venti e Trenta.
Certo, la storia è sempre unica, non si ripete e non si realizza nemmeno secondo degli schemi ricorrenti. Se ne possono quindi trarre certi insegnamenti, ma non delle precise indicazioni per
{p. 46}l’azione politica [30]
. La storia non può mai sostituire la decisione politica. Ma in ogni caso una delle lezioni che si possono trarre dalle vicende della Repubblica di Weimar rinvia alla necessità di tenere sempre presente la fragilità della democrazia e delle sue fondamenta e di riflettere sulle possibilità e le forme che attengono alla formazione della volontà politica. Di fronte alla crescente confusione concettuale che si riscontra in merito a ciò che la democrazia può e deve essere, rifarsi a Weimar anche a questo proposito appare assolutamente ragionevole. Secondo e più importante punto: il 1933 rimane una data che necessita di una spiegazione. La presa del potere da parte di Hitler, le cause, gli antefatti e l’instaurazione della dittatura si mettono di traverso quando si cerca di inserire lo sviluppo costituzionale tedesco in un normale percorso europeo o anche in una continuità democratica nella storia tedesca; e prendere atto di questo non significa affatto scadere in una teleologia negativa. Per quanto importanti possano essere tradizioni positive e per quanto rilevanti possano essere categorie come contingenza e apertura storica, se le si assolutizzasse e conseguentemente le si portasse fino alle estreme conseguenze Hitler finirebbe per essere considerato il risultato di fattori esogeni, un «demonio» che sedusse i tedeschi o semplicemente un «incidente di percorso» [31]
. E le due cose segnerebbero una fatale ricaduta nella epistemologia degli anni Cinquanta. Occorre ribadire che il 1933 necessita di una spiegazione, e che esso, in realtà, rappresenta un explanandum della storia tedesca che non può essere eluso né dalla contemporaneistica né dalla storiografia giuridica.
Note
[18] A. Wirsching, Konstruktion und Erosion. Weimarer Argumente gegen Volksbegehren und Volksentscheid, in A. Wirsching et al. (edd), Demokratie und Gesellschaft. Historische Studien zur europäischen Moderne, Göttingen, Wallstein, 2019, pp. 40-55 (20031).
[19] Il Consiglio parlamentare del 1948-1949. Atti e verbali, pubblicato per il Bundestag tedesco e dall’Archivio federale sotto la direzione di Kurt Georg Wernicke e Hans Booms, in Deutscher Bundestag und Bundesarchiv (ed), Der Verfassungskonvent auf Herrenchiemsee, II, Boppard am Rhein, Boldt, 1981, doc. n. 14, p. 546.
[20] Ibidem, IX: Plenum, revisione di W. Werner, München, 1996, seduta del 9 settembre 1948, pp. 111 s. (la citazione a p. 111).
[21] K.D. Bracher, Die Auflösung der Weimarer Republik. Eine Studie zum Problem des Machtverfalls in der Demokratie, Königstein/Ts., Droste, 19786.
[22] Per un approfondimento al riguardo si veda A. Wirsching, Konstruktion und Erosion.
[23] E. Fraenkel, Die repräsentative und die plebiszitäre Komponente im demokratischen Verfassungsstaat (1958), in E. Fraenkel, Deutschland und die westlichen Demokratien, Stuttgart, Kohlhammer, 1964, pp. 71-109, qui pp. 106 s.
[24] Per una visione d’insieme sul punto: B. Möckel, Erfahrungsbruch und Generationsbehauptung. Die ‘Kriegsjugendgeneration’ in den beiden deutschen Nachkriegsgesellschaften, Göttingen, Wallstein, 2014; W. Koeppen, Das Treibhaus, Stuttgart, Scherz & Goverts, 1953. Cfr., al riguardo, il recente e approfondito lavoro di B. Wintgens, Treibhaus Bonn. Die politische Kulturgeschichte eines Romans, Düsseldorf, Droste, 2019.
[25] K.-W. Böttcher, Die junge Generation und die Parteien, in «Frankfurter Hefte», 3, 1948, p. 757.
[26] Cfr. sul punto A. Wirsching, Restauration oder Modernisierung – Deutungen der Ära Adenauer, in N. Lammert (ed), Christlich-Demokratische Union. Beiträge und Positionen zur Geschichte der CDU, München, Siedler, 2020, pp. 713-744.
[27] Pars pro toto: T.B. Müller, Nach dem Ersten Weltkrieg. Lebensversuche moderner Demokratien, Hamburg, Hamburger Edition HIS, 2014; dello stesso autore, Demokratie und Wirtschaftspolitik in der Weimarer Republik, in «Vierteljahrshefte für Zeitgeschichte», 62, 2014, pp. 569-601.
[28] H. Dreier - C. Waldhoff (edd), Das Wagnis der Demokratie. Eine Anatomie der Weimarer Reichsverfassung, München, C.H. Beck, 2018, p. 7. Cfr. C. Gusy, 100 Jahre Weimarer Verfassung: Eine gute Verfassung in schlechter Zeit, Tübingen, Mohr Siebeck, 2018; U. Di Fabio, Die Weimarer Verfassung: Aufbruch und Scheitern, München, C.H. Beck, 2018; J.-D. Kühne, Die Entstehung der Weimarer Reichsverfassung: Grundlagen und anfängliche Geltung, Düsseldorf, Droste, 2018; M. Dreyer - H. Preuss, Biografie eines Demokraten, Stuttgart, Franz Steiner, 2018. Sul pensiero costituzionale liberal-democratico si veda: J. Hacke, Existenzkrise der Demokratie. Zur politischen Theorie des Liberalismus in der Zwischenkriegszeit, Berlin, Suhrkamp, 2018.
[29] Così il presidente federale Frank-Walter Steinmeier in occasione della cerimonia commemorativa del 9 novembre 1918 al Bundestag (Berlino), p. 4. https://www.bundestag.de/resource/blob/577898/1fabb911443e38b78dc622d2b7d1aee6/Rede_BPraes_09November2018-data.pdf (ultima consultazione 18 ottobre 2020).
[30] Cfr. A. Wirsching - B. Kohler - U. Wilhelm (edd), Weimarer Verhältnisse? Historische Lektionen für unsere Demokratie, Ditzingen, Reclam, 2018.
[31] F. Fischer, Hitler war kein Betriebsunfall, München, C.H. Beck, 1992.